Il futuro è del protezionismo. E la Cina si adegua | Oriente Occidente, di Federico Rampin

L’ondata protezionista è solo agli inizi. Le ultime raffiche di dazi, prima quelle decise da Joe Biden poi quelle dell’Unione europea, sono un’avvisaglia di quello che verrà. 

Donald Trump promette di imperniare sui dazi doganali una autentica rivoluzione fiscale. La Cina prepara rappresaglie (la Francia sarà la più colpita) ma soprattutto ha una strategia per aggirare le misure protezioniste dell’Occidente… che di conseguenza potrà essere costretto a rincarare la dose. 

I più pessimisti sostengono che stiamo cancellando un secolo di libero scambio con i suoi benefici, veri o presunti. Ma questo è il mondo che avanza, ci piaccia o no. E gli ultimi risultati delle elezioni europee non sembrano preludere a un’inversione di tendenza, anzi.

La Cina di Xi Jinping ha fatto la sua parte, forse la parte del leone, per accelerare questo cambio di paradigma: da tempo ormai la leadership cinese ha smesso di rassicurarci sul carattere “«win win» della globalizzazione, sulla possibilità che l’integraizone fra noi e loro sia un gioco a somma positiva in cui tutti ricaviamo benefici; la visione di Xi rivela invece la certezza di un declino dell’Occidente che la Cina è felice di assecondare. Pechino ha praticato il protezionismo e gli aiuti di Stato prima che l'Occidente replicasse.

«All tariff», il nuovo slogan repubblicano

La nuova escalation dei dazi è poca cosa rispetto a quel che preannuncia Trump. Il 45esimo presidente degli Stati Uniti, nonché candidato a diventare il 47esimo, è tornato pochi giorni fa al Congresso. Una visita carica di simbolismo: era la prima volta che Trump si recava a Capitol Hill dopo il fatidico 6 gennaio 2021, il giorno in cui aveva arringato i suoi seguaci sul giardino davanti alla Casa Bianca, e alcuni di loro avevano dato l’assalto alla sede del Parlamento. Stavolta Trump è stato accolto con il massimo rispetto e con tutti gli onori dai repubblicani, ivi compresi molti di coloro che avevano condannato gli eventi del 6 gennaio. Il partito si ricompatta, a un mese dalla convention che lancerà ufficialmente la candidatura di Trump e l’ultima volata nella competizione per la Casa Bianca. 

In questa visita al Congresso Trump ha lanciato la sua proposta: un sistema fiscale finanziato pressoché interamente con i dazi sui prodotti stranieri, al punto da sostituire e abolire l’imposta sul reddito. 

«All-Tariff» può diventare un nuovo slogan, l’idea di una rivoluzione fiscale perfino più dirompente della “«flat tax» (quest’ultima abolisce la progressività ma non l’imposta sul reddito). Trump non ha dato dettagli su un progetto così radicale. 

Due osservazioni. 

Primo: per sostituire davvero l’imposta sul reddito i dazi sulle importazioni dovrebbero essere altissimi, non basterebbe quella tassa doganale del 10% su tutti i prodotti esteri, di cui Trump aveva già parlato in passato. 

Secondo: i dazi in questione non si limiterebbero a colpire le vendite cinesi ma anche quelle di paesi alleati e amici come gli europei. Conclusione: «All-Tariff» è uno slogan che può piacere nei comizi ma difficilmente sarà realizzato nel modo integrale che il termine evoca. Tuttavia è la conferma che il protezionismo ha il vento a favore. Del resto Biden ha dato ragione a Trump: quest’ultimo era stato vituperato dagli economisti quando varò i primi dazi nel 2017; il presidente democratico li ha mantenuti tutti in vigore e ne ha aggiunto dei suoi.

Usa e Ue allineati (o quasi) sull'auto elettrica cinese

Vengo agli ultimi dazi, quelli di Biden, appunto, ai quali si è accodata l’Unione europea. L’America è stata più vigorosa, l’Europa più timida, nel colpire le importazioni di auto elettriche cinesi. I dazi di Biden arrivano al 100% del prezzo, quelli di Ursula von der Leyden vanno dal 17,4% al 38,1% a seconda dei modelli. Washington ha aggiunto anche dazi del 25% sulle batterie elettriche cinesi. Pechino sta preparando le sue rappresaglie che colpiranno importazioni dall’Europa in vari settori (aerei, bevande alcoliche, altri prodotti agroalimentari). Xi vorrà danneggiare Macron più che Scholz perché la Francia è stata decisiva per la decisione sui dazi mentre la Germania aveva resistito.

Cosa c'è dietro l'ottimismo di Pechino

L’industria automobilistica cinese non ha reagito in modo esagitato, anzi. La verità è che le case produttrici della Repubblica Popolare avevano previsto da tempo questi dazi, e avevano predisposto le loro contromisure. 

Queste sono di tre ordini. 
Primo: delocalizzare l’assemblaggio di vetture in paesi del sud-est asiatico o altri paesi emergenti che sono filo-occidentali ed esenti dai dazi, come Thailandia Vietnam Messico. 
Secondo: produrre direttamente sul territorio dell’Unione europea o degli Stati Uniti. 
Terzo: dirottare una parte delle vendite verso i mercati emergenti. Infine nel caso di alcuni modelli è perfino possibile che le elettriche cinesi restino competitive (almeno in Europa) anche dopo l’imposizione dei dazi, visto il margine di competitività di cui godono sui costi di produzione. Le case cinesi meglio piazzate per fabbricare in Europa sono Byd, Cherry, Leapmotor. È significativo il fatto che le azioni di Byd in Borsa sono salite dopo l’annuncio Ue sui dazi: gli investitori si aspettavano di peggio.

Xi Jinping adatta la sua strategia

La morale della storia? L’export cinese ha sopravvissuto molto bene alla prima ondata di dazi varata da Trump. Addirittura siamo entrati in un nuovo boom delle esportazioni, una fase in cui la Repubblica Popolare ha aumentato le sue quote di mercato nel resto del mondo. È convinta di poter continuare così, anche perché ne ha un disperato bisogno. Con la domanda interna che stagna, le fabbriche cinesi sono sature di prodotti che non riescono a smerciare all’interno del paese, devono aumentare gli sforzi (sussidiati dallo Stato) per invadere i mercati esteri. Così facendo però la spirale continua ad avvitarsi su se stessa. 

I paesi occidentali, America in testa, se vedranno che l’invasione di made in China procede, cercheranno nuovi accorgimenti protezionistici. I paesi del Grande Sud globale a loro volta hanno delle industrie locali da difendere contro la concorrenza cinese, e già alcuni di loro cominciano a prendere provvedimenti. La nuova stagione protezionista è ancora giovane. Con o senza Trump.

Dazi commerciali oppure strategici

Le elezioni Usa del 5 novembre possono fare la differenza, marginalmente, sul tipo di protezionismo. 
Un Trump bis insisterebbe sulla dimensione esclusivamente commerciale, e colpirebbe anche gli alleati. 
Un Biden bis probabilmente darebbe una sterzata geopolitica al suo protezionismo, aggiungendo sanzioni alla Cina per il sostegno che dà alla Russia in Ucraina. 
Ognuno vorrà imprimere il suo marchio, ma sempre protezionismo sarà.

16 giugno 2024

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