In primavera sarà designato il nuovo presidente di Confindustria. Da mesi si fanno i nomi di potenziali candidati. Tre di questi tra gli attuali vicepresidenti: Giovanni Brugnoli, Alberto Marenghi, Emanuele Orsini. A valutare il passo avanti sarebbero (così si dice nei corridoi delle territoriali) anche il presidente di Federacciai Antonio Gozzi, il past president Antonio D’Amato e il presidente di Confindustria Veneto, Enrico Carraro.
Davvero ha intenzione di candidarsi?
«Io una poltrona ce l’ho già, al vertice della mia impresa — evita i giri di parole Enrico Carraro —. Quest’anno arriveremo quasi ai 900 milioni di fatturato. È un lavoro entusiasmante e sfidante allo stesso tempo. E poi io sono uomo di fabbrica, ruvido, distante dai salotti romani. Detto questo, stiamo prendendo il problema dal lato sbagliato».
Quale sarebbe quello giusto?
«Si moltiplicano le indiscrezioni sui potenziali candidati ma pochi, anche dentro al sistema, si confrontano sulla Confindustria di cui il Paese ha bisogno».
Il Veneto non ha mai espresso un presidente…
«Abbiamo bisogno di un presidente all’altezza dei tempi, indipendentemente dal fatto che venga dal Veneto o dalla Basilicata. Certo, il Veneto incide sul 10% del Pil del Paese, i suoi industriali l’idea dei bisogni ce l’hanno chiara. Proprio per questo le preoccupazioni non mancano».
Che cosa la preoccupa?
«I potenziali candidati di cui si parla con più insistenza fanno già parte del Consiglio di presidenza di Viale dell’Astronomia, parliamo di imprenditori di taglia piccola o medio-piccola. Sia chiaro: nulla da ridire sulle persone. Ci sono imprenditori straordinari con realtà sotto i 5 milioni di euro di fatturato. Ma in questo momento Confindustria ha bisogno di un presidente che arrivi da una realtà medio-grande, multilocalizzata e con presenza sui mercati esteri, qualcuno che abbia il polso delle esigenze di un’industria proiettata sui mercati e che abbia a che fare con relazioni industriali complesse. E poi non si può pensare che a far cambiare passo all’organizzazione sia chi ha gestito le cose finora».
La presidenza Bonomi non la ha convinta?
«Carlo Bonomi ha affrontato una delle presidenze più difficili degli ultimi anni, alle prese con il Covid e i sussulti sui mercati dovuti a due guerre. Ma non ci sono profili adatti a tutte le stagioni. Il prossimo presidente dovrà ripensare il modo di fare rappresentanza perché – se vogliamo dirci le cose come stanno – tutta la rappresentanza è in crisi e servono modelli nuovi».
Idee?
«Non abbiamo bisogno di un presidente-direttore generale che dedichi il 110% del suo tempo a Confindustria ma di un presidente che ci metta la faccia, sì, la faccia di un’impresa di alto profilo come fecero Agnelli, Merloni e Pininfarina. Ma nello stesso tempo si lasci affiancare da teste e competenze a cui affidare i dossier. Non dimentichiamo che in passato abbiamo avuto direttori come Annibaldi, Savona e Cipolletta».
I grandi industriali sembrano sempre meno interessati a “metterci la faccia”…
«Gli imprenditori con un alto standing non hanno nessun interesse a farsi coinvolgere in campagne elettorali rumorose. Se fossero “chiamati” a questo ruolo dal basso, con un largo consenso, sarebbe più facile avere la loro disponibilità».
Quindi no ai professionisti di Confindustria…
«I ruoli di rappresentanza andrebbero visti come una specie di servizio civile a vantaggio della comunità».
Nel merito delle politiche da attuare?
«Aumentare la presenza in Europa. Tutte le questioni importanti dell’industria si decidono là».
Le territoriali stanno già negoziando il loro sostegno a questo o quel candidato…
«Abbiamo ancora un po’ di tempo per fare uscire un nome adeguato a cui offrire un ampio sostegno. L’appello ai miei veneti è a guardare a questa competizione tutti insieme, senza fare la corsa a chi arriva prima. Pensando al bene del sistema e non semplicemente a una poltrona in più».
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23 dic 2023
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