I tre motivi del ritiro dell'Idf dal Sud di Gaza. Ma non è la fine della guerra

TEL AVIV – A sei mesi esatti dal massacro nei kibbutz che ha segnato l’inizio della guerra a Gaza, Israele ritira l’ultima divisione dell’esercito che aveva nella parte Sud della Striscia. Già nella mattinata di ieri migliaia di sfollati palestinesi che vivevano nelle tende per strada a Rafah hanno cominciato a ritornare a Khan Yunis, trovando una città in rovina e cumuli di macerie che una volta erano case. E gli israeliani si chiedono se quella dello Stato maggiore delle Israeli Defence Forces (Idf) sia solo una mossa per soddisfare le richieste degli Stati Uniti o il preludio di un attacco nemico da Nord. Oppure, entrambe le cose.

Le truppe della 98esima divisione, che include le brigate Commando, Givati e la Settima, circa quindicimila soldati, hanno lasciato l’area che si trova a Sud del Wadi Gaza, il fiumiciattolo che divide in due la Striscia. Quattro mesi fa hanno assediato e preso Khan Yunis, ora si sono spostate acquartierandosi nelle basi poco oltre il confine. Vuol dire che in questo momento in tutta Gaza sono rimaste soltanto le unità combattenti della brigata Nahal, a Nord, a guardia del cosiddetto “corridoio Netzarim”: una fascia cuscinetto larga più o meno 400 metri che taglia da Est a Ovest la Striscia poco sotto Gaza City e che i bulldozer dell’Idf hanno provveduto a spianare, demolendo palazzi, il quartiere universitario e tutto quanto c’era. Secondo l’intelligence, 18 dei 24 battaglioni di Hamas sono stati eliminati, ne rimangono 4 a Rafah e 2 nell’area centrale.

La spiegazione ufficiale del ritiro, così come l’ha presentata il comandante in capo dell’Idf, spegne la speranza di vedere a breve la fine di un’occupazione che ha stremato la popolazione (33mila i morti secondo le autorità locali, 1,7 milioni gli sfollati, la carestia che incombe). «Non aveva più senso rimanere lì, la 98esima divisione ha distrutto le brigate di Hamas a Khan Yunis uccidendo migliaia di terroristi. Hamas ha smesso di funzionare come organizzazione militare. Quel che bisognava fare l’abbiamo fatto, ma la guerra è lontana dall’essere terminata», sostiene il generale Herzi Halevi. «I leader si stanno ancora nascondendo, li andremo a prendere. Abbiamo un piano e lo attueremo al momento giusto».

Da quel che si apprende, il piano allarga a tutto il territorio della Striscia il campo di quelle «operazioni mirate e circoscritte» che la Casa Bianca chiede da novembre e che l’Idf finora ha condotto solo nella parte Nord. Come esempio di «caccia mirata ad Hamas» citano la seconda incursione all’ospedale di al Shifa, durata due settimane e da poco conclusa, che secondo i dottori e diversi testimoni oculari in realtà si è tradotta in un tappeto di cadaveri di civili attorno alla struttura. Non è ancora da escludersi la possibilità dell’ingresso a Rafah, l’unico angolo della Striscia non calpestato dagli stivali dei soldati israeliani. Netanyahu aspettava il via libera dal suo governo, Biden gli ha fatto capire che non è il caso, vista la catastrofe umanitaria che ne deriverebbe.

Questa è la linea ufficiale. Ma cosa c’è dietro, davvero? Per quanto sia lo Stato ebraico sia la Casa Bianca lo neghino, Netanyahu di fatto sta cedendo alle pressioni del presidente americano. Lo si era già visto sul tema degli aiuti, con il premier che per la prima volta ha annunciato che aprirà il valico di Erez, e lo si vede con il ritiro dei soldati dal Sud, che allenta la morsa sulla popolazione e dovrebbe limitare le vittime civili. Due circostanze che facilitano lo sblocco al Cairo del negoziato con Hamas per il rilascio dei circa 130 ostaggi (non tutti vivi) ancora nelle mani dei miliziani: le proteste di piazza a Tel Aviv e Gerusalemme per il ritorno a casa dei sequestrati e per elezioni anticipate si sono fatte più partecipate e calde, il governo Netanyahu ha un problema di tenuta del fronte interno.

Su Israele, tuttavia, si allunga l’ombra di Teheran. I servizi segreti accumulano segnali di una rappresaglia imminente per l’attacco al consolato iraniano di Damasco. Michael Milshtein, professore a capo del Palestinian Studies Forum al centro Moshe Dayan, legge così la notizia. «L’annuncio del ritiro della 98 esima è drammatico, ora l’Idf controlla solo il corridoio Netzarim e non il resto della Striscia perciò Hamas valuta lo sviluppo positivamente», dice a Repubblica Milshtein. «La voce che gira è che in questo modo l’Idf si stia preparando a entrare a Rafah, ma io credo che in realtà tutto sia connesso alle tensioni al confine Nord col Libano e all’attesa reazione dell’Iran». Del resto, ancora ieri il ministro della Difesa Yoav Gallant, a proposito di una reazione iraniana, ha detto: «Siamo pronti a tutto». E nello scenario peggiore, è meglio avere l’alleato americano strettamente a fianco