Per gli Usa la Corea del Nord è pronta ad attaccare Seul con una “azione letale”

PECHINO - Guerra sì, no, forse. Da quando è stato pubblicato lo scorso 11 gennaio sul sito specializzato in questioni nordcoreane 38North l’intervento di due esperti analisti come Robert Carlin e Siegfried Hecker dal titolo “Kim Jong-un si sta preparando alla guerra?”, la questione se il Maresciallo sia pronto o meno a scatenare un conflitto contro i vicini del Sud sta mettendo in apprensione il mondo. Ora, sostengono funzionari statunitensi citati dal New York Times, "Kim Jong-un potrebbe intraprendere una qualche forma di azione militare letale contro la Corea del Sud nei prossimi mesi, ma non c’è un rischio imminente di una guerra su larga scala nella penisola coreana”.

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I colloqui Usa-Cina

Le tensioni coreane (e non solo quelle, anche i rapporti Washington-Pechino, la questione Taiwan e la crisi nel Mar Rosso) saranno al centro degli intrecci diplomatici tra Stati Uniti e Cina in queste ore: il consigliere per la sicurezza nazionale Usa Jake Sullivan e il ministro degli Esteri cinese Wang Yi che si vedono in campo neutro a Bangkok, e il viceministro degli Esteri cinese che sbarca a Pyongyang.

Le azioni letali della Corea del Nord

Con l’espressione “azioni letali” i funzionari Usa citano come esempio quanto successe nel 2010 quando i nordcoreani scaricarono la loro artiglieria sull'isola di Yeonpyeong, uccidendo quattro persone. L’isola ospita una base militare sudcoreana. Pure venti giorni fa il Nord ha sparato 200 colpi al largo della sua costa occidentale, verso Yeonpyeong appunto: nessuna vittima. “Kim potrebbe effettuare gli attacchi in un modo che, secondo lui, eviterebbe una rapida escalation”.

Perché Kim non sembra volere una guerra totale

Nell’articolo su 38North i due esperti scrivevano che Kim ha preso la decisione strategica di entrare in guerra. “Ma finora le autorità statunitensi non hanno rilevato segni concreti che la Corea del Nord si stia preparando al combattimento o a una guerra su larga scala”, continua il Nyt citando i funzionari americani. Una delle ragioni risiede nel fatto che Kim sta mandando alla Russia proiettili e missili per la guerra di Putin in Ucraina: se Kim stesse realmente pianificando un’operazione militare farebbe scorta di munizioni e non il contrario. La seconda ragione è che il Maresciallo sa molto bene che un bombardamento contro il Sud o un’invasione di terra trascinerebbe nel conflitto gli Stati Uniti e porterebbe il suo regime in una missione suicida.

Kim comunque continua a testare nuovi missili e a far lavorare il reattore di Yongbyon, “che potrebbe aiutare il Paese a produrre fino a una dozzina di nuove armi nucleari all’anno”, scrive in un report appena pubblicato l’Institute for Science and International Security. Anche se non è chiaro se il sito sia completamente in funzione al 100%.

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Dossier nordcoreano che sarà uno dei temi in agenda degli intrecci diplomatici tra Stati Uniti e Cina in queste prossime ore. Il viceministro degli Esteri cinese Sun Weidong è arrivato a Pyongyang per colloqui con il suo omologo: quest’anno è il 75esimo anniversario delle relazioni diplomatiche tra i due Paesi e la visita rientra nello scambio di cortesie diplomatiche visto che a dicembre era stato il viceministro di Pyongyang ad andare a Pechino. La Cina potrebbe rivelarsi un freno a qualsiasi avventurismo militare di Kim: sebbene abbia aiutato la Corea del Nord a eludere le sanzioni, non vuole un conflitto armato nella regione. “Mezzo secolo di pace in Asia orientale, un periodo di crescita senza precedenti per la Cina, si fermerebbe di colpo", diceva qualche giorno fa al New York Times John Delury, professore di studi cinesi all'Università Yonsei di Seul.

Contemporaneamente alla missione cinese in Corea del Nord, a Bangkok oggi e domani si vedono il consigliere per la sicurezza nazionale degli Stati Uniti Jake Sullivan e il ministro degli Esteri cinese Wang Yi. Segnale importante per continuare a dialogare e rimettere in carreggiata le relazioni tra le due superpotenze. Un incontro che prosegue l'impegno assunto da entrambe le parti al vertice del novembre 2023 tra Biden e Xi di mantenere una comunicazione strategica e di gestire responsabilmente le relazioni. I due “scambieranno opinioni su questioni internazionali e regionali di interesse comune”, dice la diplomazia cinese. In agenda, oltre alla Corea del Nord, ci sarà spazio anche per la questione Taiwan e la crisi nel Mar Rosso. Gli Usa chiedono da giorni che Pechino usi la sua influenza su Teheran per fermare gli Houti. "La Cina ha influenza sull’Iran. E ha la possibilità di avere conversazioni con i leader iraniani che noi non possiamo avere”, dice il portavoce del Consiglio di sicurezza nazionale della Casa Bianca John Kirby. “Accoglieremmo con favore un ruolo costruttivo da parte della Cina”.

Le preoccupazioni di Pechino

Pechino si è detta in queste settimane “preoccupata per la rapida escalation delle tensioni nel Mar Rosso" e che era in stretto contatto con "varie parti" per allentare le tensioni. Ora l’agenzia Reuters, citando fonti iraniane, scrive che i cinesi qualche pressione la stanno facendo. "Se i nostri interessi vengono danneggiati in qualche modo, ciò avrà un impatto sui nostri affari con Teheran. Quindi dite agli Houti di mostrare moderazione", ha detto un funzionario iraniano informato sui colloqui, che ha parlato con Reuters a condizione di anonimato, riassumendo il pensiero di Pechino.

Nonostante qualche piccola e sconosciuta compagnia stia provando ad approfittare della presunta immunità garantita dagli Houti alle navi cinesi, come ha scritto il Financial Times, colossi delle spedizioni come la cinese Cosco si stanno tenendo alla larga da quella rotta pericolosa.