Così gli Usa provano a fermare Israele su Rafah: ecco perché la chiave è in Arabia Saudita

diViviana Mazza

Netanyahu a Biden: «Sono preoccupato per la Corte penale internazionale

Normalizzazione con Riad: la tela di Washington per fermare Israele su Rafah

Il ministro degli Esteri dell’Arabia Saudita, il principe Faisal bin Farhan bin Abdullah, a destra, e il segretario di Stato americano Antony Blinken, il secondo a destra, ieri a Riad  (Ap)

DALLA NOSTRA CORRISPONDENTE
NEW YORK -
Antony Blinken è tornato in Medio Oriente. Prima di volare oggi in Israele e in Giordania, ieri a Riad si è detto «speranzoso» che Hamas accetterà l’ultima proposta per un cessate il fuoco e il rilascio degli ostaggi. Il segretario di Stato americano ha definito «straordinariamente generosa» l’offerta, affermando che Hamas è al momento l’unico ostacolo all’accordo.

Gli Stati Uniti fanno pressione attraverso qatarini, turchi, sauditi, egiziani: alleati dell'America che hanno sostenuto o avversato Hamas, ma tutti dell'idea che la guerra debba finire al più presto poiché aumenta l’instabilità anche nei loro Paesi e nell’intera regione.

Nel frattempo, gli americani spingono su Israele. Washington sta lavorando ad un accordo di normalizzazione dei rapporti tra Israele e l’Arabia saudita, che però è in stallo finché lo Stato ebraico non accetta una delle condizioni: la creazione di uno Stato palestinese. In una intervista alla Cnn venerdì, Blinken ha detto che «ci sia o meno un cessate il fuoco», americani e sauditi potrebbero lavorare ad un accordo che preveda normalizzazione in cambio di una soluzione dei due Stati, ma per poterlo davvero realizzare devono esserci due condizioni: la fine del conflitto a Gaza e «una risoluzione della questione palestinese o almeno un accordo su come risolverla». 

La ragione di queste parole, come osserva Tom Friedman sul New York Times, è che la Casa Bianca vuole finalizzare la parte dell’accordo tra Usa e Arabia in modo da poter porre la questione a Netanyahu: vuoi essere ricordato come il leader della tragedia del 7 ottobre o come il fautore della normalizzazione con il più importante Paese musulmano? 

Gli Stati Uniti stanno cercando di convincere Netanyahu a rinunciare a «una invasione di ampia scala a Rafah per tentare di finire Hamas, sempre che ciò sia possibile» offrendogli invece la normalizzazione con l’Arabia saudita, una forza di peacekeeping araba a Gaza, con possibile assistenza logistica americana e una alleanza a a guida Usa contro l’Iran. 

Ieri il ministro degli Esteri saudita Faisal Bin Farhan ha osservato che la conclusione degli accordi con Washington è «molto, molto vicina», e ciò vale anche per il futuro governo a Gaza dopo la fine del conflitto: «Abbiamo a grandi linee definito quello che pensiamo debba accadere sul fronte palestinese»; ma ha aggiunto che il percorso verso uno Stato palestinese è «l’unica strada da percorrere».

Una operazione a Rafah, prima o dopo un cessate il fuoco, infiammerebbe ulteriormente anche i campus americani. Aumenterebbero le pressioni sul presidente Biden a porre condizioni per gli aiuti militari a Israele. La prossima settimana il segretario di Stato Blinken dovrà prendere una decisione su un aspetto su cui non c’è consenso nel suo stesso dipartimento, ovvero se le armi americane siano state usate da Israele nel rispetto dei diritti umani.

E a proposito di violazioni dei diritti, nella telefonata di domenica con Biden il premier Benjamin Netanyahu ha espresso preoccupazione per la possibilità che la Corte penale internazionale possa emettere un mandato di arresto per lui e altri alti funzionari israeliani. Sollecitata su questo punto ieri la portavoce della Casa Bianca Karine Jean-Pierre è stata netta, dicendo che l’amministrazione non è favorevole all’inchiesta perché «non crediamo che (la Corte, ndr) abbia giurisdizione in questa situazione».

30 aprile 2024

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