Netflix e Apple non vogliono più le serie tv israeliane, l’allarme: «Stiamo diventando come la Russia»

di Gianluca Mercuri

Da Apple tv a Netflix, i giganti dello streaming stanno bloccando la messa in onda di molti prodotti del Paese che negli ultimi anni era diventato un modello per l’industria globale dell’intrattenimento. Un altro degli effetti della guerra in corso a Gaza

Netflix e Apple non vogliono più le serie tv israeliane, l’allarme: «Stiamo diventando come la Russia»

Come sarebbero state le nostre serate di questi anni senza le serie tv israeliane? Per esempio, come avremmo superato i lockdown?

Ma la domanda adesso � un’altra: rischiamo che le nostre serate dei prossimi anni siano pi� vuote, senza serie tv israeliane?

La questione — anche questa — � posta dalla guerra. Le stragi quotidiane a Gaza hanno riflessi pesanti sull’immagine di un Paese che in questi anni si era illuso di una sopraggiunta normalit� grazie ai suoi successi economici e tecnologici — la startup nation — e agli stilemi televisivi imposti felicemente a tutto il pianeta. �Da diversi anni Israele ci ha abituati a serie tv di ottima fattura, in grado di circolare ed essere adattate in tutto il mondo. Su tutti, Homeland e In Treatment, autentici capolavori che hanno consacrato un modello di produzione originale, innovativo, mai superficiale nello sguardo e nel racconto�, ha scritto quattro anni fa Aldo Grasso. In particolare Homeland, la serie americana che meglio di tutte ha raccontato il mondo del dopo 11 settembre — il nostro mondo — non ci sarebbe stata senza l’ispirazione della splendida Hatufim (�rapiti�), prototipo dei prodotti dalla trama adrenalinica, dai personaggi tratteggiati alla perfezione e dalla recitazione in ebraico (o in arabo) che ci incollano senza scampo alla tv.

Il western all’israeliana

Poi � arrivata Fauda, il western all’israeliana (lo schema di base � cow boys contro indiani, ma molto pi� raffinato) che tutto condensa e tutto esalta se si parla della capacit� dei narratori televisivi israeliani di ipnotizzare qualsiasi tipo di pubblico, compreso quello arabo. Come Homeland, non a caso, la serie che racconta imprese e tragedie dell’unit� d’�lite infiltrata nei Territori palestinesi ha anticipato l’evoluzione parossistica che viviamo, a cominciare dall’appropriazione da parte di Hamas delle modalit� tipiche dell’Isis che il 7 ottobre ha gettato Israele (e il mondo) in un nuovo precipizio. Non � un caso nemmeno che il ferimento a Gaza di una delle star di Fauda, l’attore e soldato riservista Idan Amedi, sia tra le notizie sulla guerra pi� cliccate.

L’inversione del trend

Il problema � che il trend sta girando e sembra il riflesso di un trend pi� grande. �Rischiamo di finire come la Russia�, come un Paese che gran parte della comunit� internazionale tratta come un paria: e se a dirlo al quotidiano Haaretz � un operatore televisivo, con riferimento al suo settore e non solo, e non un analista, un militare o un leader politico, sotto c’� qualcosa di preoccupante. Prendiamo Tehran: la strage della settimana scorsa in Iran alla commemorazione del generale Soleimani sembra una classica scena della serie che racconta le vicende di una agente israeliana infiltrata nel Paese degli ayatollah. Apple Tv ha comprato i diritti per 20 milioni di dollari e ha trasmesso le prime due stagioni. Quando � scoppiato il conflitto con Hamas, la produzione stava finendo di girare la terza stagione — che in teoria Apple dovrebbe trasmettere quest’anno — e stava impostando il lavoro della quarta, le cui riprese erano previste sempre quest’anno. Ma dopo il 7 ottobre, racconta la produttrice Shula Spiegel, �Apple ci ha chiesto di interrompere la stesura della sceneggiatura, perch� la nuova realt� stava causando incertezza sui contenuti. Solo un mese dopo ci hanno detto che potevamo continuare a scrivere�. Ora che di mesi ne sono passati tre, Spiegel descrive un clima di incertezza che preoccupa tutti i suoi colleghi: �Ogni emittente si sta chiedendo: “Che cosa sono disposto a prendere da Israele e in quale forma dovrebbe essere raccontato?”. In questo momento, hanno pi� domande che risposte�.

Lo stop di Netflix

Il segnale pi� allarmante arriva da Netflix. Il gigante dello streaming, racconta il giornale, �ha sospeso la trasmissione di diverse serie israeliane�, dal dramma d’azione Border Patrol, acquisito a settembre dopo la prima sul canale televisivo via cavo Hot, alla commedia Through Fire and Water, che doveva debuttare su Netflix a novembre ma � stata rinviata. Racconta la coproduttrice Danna Stern: �I trailer dovevano andare in onda il 10 ottobre. Due giorni prima hanno detto che dovevano verificare se era il caso di rimandare la messa in onda, perch� si trattava di una commedia e noi eravamo nel bel mezzo di una tragedia e di una guerra�. Rinviato anche il thriller Trust No One , il cui protagonista Yehuda Levy interpreta il capo dello Shin Bet: doveva andare in onda a novembre sull’israeliano Keshet (Canale 12) e subito dopo la sua conclusione su Netflix, che lo ha comprato in settembre. Tutto bloccato. Sono solo alcuni esempi, spiega Stern: �Ci sono parecchie serie israeliane acquistate da emittenti straniere che ora sono ferme sullo scaffale. Stanno aspettando di programmarle in un momento pi� tranquillo e appropriato�. Il che solleva interrogativi sul futuro commerciale dei prodotti israeliani, �perch� se un’emittente acquisisce una serie svedese, � ragionevole supporre che non ci siano condizioni geopolitiche che possano influenzare la data di trasmissione�.

I timori delle tv europee

I broadcaster si faranno sempre pi� prudenti, pi� Scandinavia e meno Medio Oriente? Sta gi� succedendo. Finora l’Europa accoglieva con gioia le serie da Israele perch� erano garanzia di qualit� alta e budget bassi. Ma il 7 ottobre � come se fosse stato premuto il tasto off. A confermare il panico tra gli operatori, il fatto che molti di quelli contattati vogliano restare anonimi: �Era come il nostro hi tech: eravamo accolti calorosamente ovunque andassimo, eppure � finita all’improvviso. Ora anche gli attori europei hanno paura di essere scritturati in serie israeliane�, dice uno. �Dalla guerra in poi hanno iniziato a dirci: “Non sappiamo cosa succeder� ora, dobbiamo fermarci e aspettare giorni migliori”. Un produttore e un’emittente europei hanno annunciato il loro ritiro da una serie di cui erano partner�, racconta un altro, descritto da Haaretz come un veterano del mercato televisivo.

La paura, secondo queste testimonianze, � soprattutto europea. Le nostre tv temono di essere identificate con Israele molto pi� di quelle americane, che �sono grandi e potenti, e investire in una serie con noi non � considerato cooperare con Israele perch� siamo insignificanti rispetto a loro. Ma anche loro stanno valutando la disponibilit� dei loro spettatori a guardare contenuti israeliani�. I timori europei, par di capire, sono pi� politici, quelli americani pi� commerciali.

La dipendenza dai finanziamenti stranieri

Il problema recente, oltretutto, ne aggrava uno preesistente. Negli ultimi anni, i produttori israeliani si sono talmente abituati al successo internazionale che praticamente non avviano un progetto se prima non raccolgono fondi stranieri. Sono le tv israeliane a imporglielo: appena un produttore si presenta, gli dicono di procurarsi gran parte dei soldi all’estero. Vogliono cio� la certezza di costi bassi e guadagni alti, grazie ai cofinanziamenti internazionali. Una tendenza problematica, spiega un altro protagonista del settore, �perch� crea una situazione in cui l’industria locale � sostenuta da denaro straniero. Quasi tutti gli spettacoli prodotti in Israele negli ultimi tre anni hanno dovuto raccogliere capitali stranieri. Il colpo di stato giudiziario (il riferimento � alla “riforma” tentata dal governo Netanyahu per indebolire la Corte Suprema e salvare il premier dai processi per corruzione, ndr) ha rallentato le cose. Ma la vera crisi � arrivata con la guerra e le serie si sono fermate�.

Lo spettro della Russia

L’ultimo allarme � il pi� drammatico: �Rischiamo di diventare come la Russia, che dopo la guerra in Ucraina � diventata persona non grata nell’industria dell’intrattenimento globale e c’� una sorta di boicottaggio non dichiarato dei suoi contenuti e dei suoi creatori. Lo dicono diverse emittenti, che aspettano di vedere la nostra posizione e si preoccupano del sentimento anti-israeliano�.

� l’inizio della fine per uno dei pi� significativi successi di questi vent’anni? Non � ottimismo da fan pensare di no. Perch� la guerra non durer� in eterno, e anche in questi mesi stimoler� la parte migliore della societ� israeliana, la sua capacit� di riflessione e anche di autocritica. Gli autori televisivi ne sono tra le massime espressioni. Passato l’orrore, o a orrore ancora in corso, le prossime versioni di Fauda et similia saranno ancora pi� belle, avvincenti, necessarie.

Questo articolo � tratto dalla newsletter “Il Punto - La Rassegna” del Corriere della Sera. Per riceverla potete iscrivervi qui


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11 gennaio 2024 (modifica il 11 gennaio 2024 | 15:51)

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