I consigli del «caporale Shalit»: così conforta i parenti degli ostaggi

di Davide Frattini

L’ex soldato fu prigioniero di Hamas per cinque anni. Oggi ne ha 37, sposato, appassionato di basket. Liberato grazie a uno scambio con oltre mille palestinesi

I consigli del «caporale Shalit»: così conforta i parenti degli ostaggi

DAL NOSTRO CORRISPONDENTE
GERUSALEMME
Per cinque anni il padre aveva cercato di fargli arrivare un paio di occhiali, durante l’attacco aveva perso la montatura dalle lenti spesse che tutti gli israeliani avevano imparato a riconoscere nelle foto in divisa. Non strabuzza gli occhi nella prima immagine lasciata emergere dai rapitori che lo tenevano a Gaza, neppure un miope ha da guardar lontano rinchiuso in un tunnel.
Per� — e questo pap� Noam lo sapeva — senza poter riconoscere le espressioni sui volti di chi ci circonda, di chi ci tiene prigioniero, ci si sente sfuocati anche dentro. �Senza occhiali � sperduto�, cos� aveva implorato la Croce Rossa che non ha mai convinto i carcerieri di Hamas a consegnarli, temevano le microspie.

Mentre era di guardia

Noam Shalit � morto nel 2022, 11 anni dopo essere riuscito a riportare a casa il figlio Gilad, portato via mentre era di guardia con la sua squadra di carristi a qualche centinaio di metri dalla Striscia di Gaza. Per i famigliari che in questi tre mesi stanno lottando per riavere indietro gli amati sequestrati negli assalti del 7 ottobre, � un simbolo, un modello di strategia: non aveva mai smesso di organizzare le marce da tutto il Paese verso la residenza del primo ministro a Gerusalemme (a incalzare prima Ehud Olmert e poi Benjamin Netanyahu), si era esposto in tentativi di negoziati diretti scavalcando quelli ufficiali, non aveva mai rinunciato a crederci. Gilad era tornato pi� magro e allampanato di quando i jihadisti lo avevano trascinato dentro al cunicolo scavato sotto al muro di cemento, pi� vecchio di cinque anni, lo sguardo sempre sperduto.

L’incontro con i familiari

La vita normale � tornata pi� tardi. Ma � tornata. Ed � quello che ha voluto spiegare ai parenti del centinaio di ostaggi ancora tenuti nella Striscia. Oltre 100 giorni fa avevano preferito non incontrarlo, temevano che rivedere il caporale Shalit — come tutti gli israeliani lo chiamavano durante la lunga crisi — segnasse il destino delle madri, dei padri, dei figli, dei fratelli catturati negli attacchi al Sud del Paese, che anche a loro toccassero quei cinque anni di inferno, nell’angoscia dei primi momenti speravano che tutto si risolvesse in poco tempo.
Adesso la sua esperienza e la promessa che � possibile ricominciare possono essere di conforto.

Duemila giorni

Shalit ha 37 anni, si � laureato, sposato e da appassionato giocatore di basket ha tenuto una rubrica di sport su Yedioth Ahronoth, il quotidiano pi� venduto. Era stato liberato in uno scambio con 1.027 detenuti palestinesi, da allora ha evitato il pi� possibile di esporsi, di raccontare in pubblico i 2.000 giorni di prigionia.
Il colloquio con i famigliari — rivelato dal telegiornale del Canale 12 — deve avergli anche alleggerito il peso sullo stomaco per �il peggior accordo nella Storia di Israele� come lo aveva definito un giornale, tra gli scarcerati c’era anche Yahya Sinwar, il capo dei capi di Hamas e il pianificatore della mattanza nei kibbutz e nelle cittadine israeliane attorno a Gaza. Ha spiegato di come sia riuscito a resistere l� sotto, li ha rassicurati che per i terroristi ha pi� valore tenere in vita i rapiti, che le rare notizie filtrate dall’esterno lo avevano sostenuto.
Li ha spinti a non allentare la pressione sul governo come aveva fatto suo padre, si � offerto di aiutarli, di metterci anche il peso dei pochi chili che ha ripreso.


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16 gennaio 2024 (modifica il 16 gennaio 2024 | 23:14)

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