DAL NOSTRO CORRISPONDENTE
GERUSALEMME — Per cinque anni il padre aveva cercato di fargli arrivare un paio di occhiali, durante l’attacco aveva perso la montatura dalle lenti spesse che tutti gli israeliani avevano imparato a riconoscere nelle foto in divisa. Non strabuzza gli occhi nella prima immagine lasciata emergere dai rapitori che lo tenevano a Gaza, neppure un miope ha da guardar lontano rinchiuso in un tunnel.
Per� — e questo pap� Noam lo sapeva — senza poter riconoscere le espressioni sui volti di chi ci circonda, di chi ci tiene prigioniero, ci si sente sfuocati anche dentro. �Senza occhiali � sperduto�, cos� aveva implorato la Croce Rossa che non ha mai convinto i carcerieri di Hamas a consegnarli, temevano le microspie.
I consigli del «caporale Shalit»: così conforta i parenti degli ostaggi
L’ex soldato fu prigioniero di Hamas per cinque anni. Oggi ne ha 37, sposato, appassionato di basket. Liberato grazie a uno scambio con oltre mille palestinesi

Mentre era di guardia
Noam Shalit � morto nel 2022, 11 anni dopo essere riuscito a riportare a casa il figlio Gilad, portato via mentre era di guardia con la sua squadra di carristi a qualche centinaio di metri dalla Striscia di Gaza. Per i famigliari che in questi tre mesi stanno lottando per riavere indietro gli amati sequestrati negli assalti del 7 ottobre, � un simbolo, un modello di strategia: non aveva mai smesso di organizzare le marce da tutto il Paese verso la residenza del primo ministro a Gerusalemme (a incalzare prima Ehud Olmert e poi Benjamin Netanyahu), si era esposto in tentativi di negoziati diretti scavalcando quelli ufficiali, non aveva mai rinunciato a crederci. Gilad era tornato pi� magro e allampanato di quando i jihadisti lo avevano trascinato dentro al cunicolo scavato sotto al muro di cemento, pi� vecchio di cinque anni, lo sguardo sempre sperduto.
L’incontro con i familiari
La vita normale � tornata pi� tardi. Ma � tornata. Ed � quello che ha voluto spiegare ai parenti del centinaio di ostaggi ancora tenuti nella Striscia. Oltre 100 giorni fa avevano preferito non incontrarlo, temevano che rivedere il caporale Shalit — come tutti gli israeliani lo chiamavano durante la lunga crisi — segnasse il destino delle madri, dei padri, dei figli, dei fratelli catturati negli attacchi al Sud del Paese, che anche a loro toccassero quei cinque anni di inferno, nell’angoscia dei primi momenti speravano che tutto si risolvesse in poco tempo.
Adesso la sua esperienza e la promessa che � possibile ricominciare possono essere di conforto.
Duemila giorni
Shalit ha 37 anni, si � laureato, sposato e da appassionato giocatore di basket ha tenuto una rubrica di sport su Yedioth Ahronoth, il quotidiano pi� venduto. Era stato liberato in uno scambio con 1.027 detenuti palestinesi, da allora ha evitato il pi� possibile di esporsi, di raccontare in pubblico i 2.000 giorni di prigionia.
Il colloquio con i famigliari — rivelato dal telegiornale del Canale 12 — deve avergli anche alleggerito il peso sullo stomaco per �il peggior accordo nella Storia di Israele� come lo aveva definito un giornale, tra gli scarcerati c’era anche Yahya Sinwar, il capo dei capi di Hamas e il pianificatore della mattanza nei kibbutz e nelle cittadine israeliane attorno a Gaza. Ha spiegato di come sia riuscito a resistere l� sotto, li ha rassicurati che per i terroristi ha pi� valore tenere in vita i rapiti, che le rare notizie filtrate dall’esterno lo avevano sostenuto.
Li ha spinti a non allentare la pressione sul governo come aveva fatto suo padre, si � offerto di aiutarli, di metterci anche il peso dei pochi chili che ha ripreso.
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16 gennaio 2024 (modifica il 16 gennaio 2024 | 23:14)
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