Rider, salta l’accordo sulla direttiva Ue per la tutela dei lavoratori delle piattaforme
di Valentina Iorio
La Corte costituzionale allarga la tutela del reintegro nel posto di lavoro (articolo 18 dello Statuto dei lavoratori) che il Jobs Act voluto dal governo Renzi (decreto legislativo 23 del 2015) aveva fortemente limitato per tutti i nuovi assunti (col contratto a tutele crescenti introdotto dallo stesso Jobs act). La Consulta, con la sentenza numero 22 del 2024 ha infatti dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’articolo 2, primo comma, del decreto legislativo 4 marzo 2015, n. 23, limitatamente alla parola «espressamente».
di Valentina Iorio
L’articolo in questione dice: «Il giudice, con la pronuncia con la quale dichiara la nullità del licenziamento perché discriminatorio (…) ovvero perché riconducibile agli altri casi di nullità espressamente previsti dalla legge, ordina al datore di lavoro, imprenditore o non imprenditore, la reintegrazione del lavoratore nel posto di lavoro, indipendentemente dal motivo formalmente addotto». Tale disposizione, spiega la Corte in una nota, «è stata ritenuta illegittima nella parte in cui, nel riconoscere la tutela reintegratoria, nei casi di nullità previsti dalla legge, del licenziamento di lavoratori assunti con contratti a tutele crescenti (quindi a partire dal 7 marzo 2015), l’ha limitata alle nullità sancite “espressamente”».
di Redazione Economia
La questione di legittimità era stata sollevata davanti alla Consulta dalla Corte di cassazione, secondo la quale il decreto legislativo 23 ha violato l’articolo 76 della Costituzione che regola l’attuazione delle leggi delega. Il Jobs Act fu varato secondo questa procedura, che prevede a monte una legge delega approvata dal Parlamento che indica i principi della riforma, e a valle uno o più decreti legislativi emanati dal governo che attuano gli stessi principi. Ora, aveva osservato la Cassazione, nei principi della legge delega si dice che la riforma avrebbe dovuto prevedere la tutela del reintegro nel posto di lavoro in tutti i casi di “licenziamenti nulli”, senza distinzione alcuna. Avendo invece il governo, con il decreto legislativo 23, limitato questa tutela ai soli licenziamenti nulli «espressamente» previsti dalla legge, avrebbe abusato della delega, non attenendosi alle indicazioni del Parlamento. «Prevedendo la tutela reintegratoria solo nei casi di nullità espressa», si legge nella nota della Consulta, il decreto «ha lasciato prive di specifica disciplina le fattispecie “escluse”, ossia quelle di licenziamenti nulli sì, per violazione di norme imperative, ma privi della espressa sanzione della nullità, così dettando una disciplina incompleta e incoerente rispetto al disegno del legislatore delegante».
di Valentina Iorio e Isidoro Trovato
Per capire meglio la portata della sentenza, bisogna raccontare il caso che l’ha originata. Tutto nasce in Toscana dal licenziamento per motivi disciplinari di un autista di trasporto pubblico urbano, impugnato davanti alla magistratura perché l’azienda non aveva rispettato le procedure previste per consentire al lavoratore di difendersi davanti al consiglio di disciplina. La Corte di Appello di Firenze aveva dato ragione al lavoratore, riconoscendo la nullità del licenziamento, ma aveva concluso di non poter disporre il reintegro nel posto di lavoro perché in questo caso il motivo di nullità non era tra quelli espressamente previsti dalla legge. E quindi, anche in presenza di un licenziamento nullo, il lavoratore aveva diritto solo a un indennizzo pari a sei mesi di stipendio. La sentenza era stata impugnata da entrambe le parti davanti alla Corte di Cassazione, la quale ha appunto sollevato la questione di legittimità costituzionale. Nel giudizio davanti alla Consulta è intervenuto il governo attraverso la presidenza del Consiglio, che ha chiesto che la questione sollevata dalla Cassazione fosse dichiarata «manifestamente infondata». Ma i giudici costituzionali hanno invece dichiarato l’illegittimità della limitazione del reintegro ai casi «espressamente» previsti dalla legge di licenziamento nullo.
di Claudia Voltattorni
«Il regime del licenziamento nullo – stabilisce la sentenza - è lo stesso, sia che nella disposizione imperativa violata ricorra anche l’espressa (e testuale) sanzione della nullità, sia che ciò non sia espressamente previsto, pur rinvenendosi il carattere imperativo della prescrizione violata». Infine, la Consulta, invita il legislatore, come già fatto in altre pronunce in materia di licenziamento, a «ricomporre secondo linee coerenti una normativa di importanza essenziale, che vede concorrere discipline eterogenee, frutto di interventi frammentari».
Iscriviti alle newsletter di L'Economia
Whatever it Takes di Federico Fubini
Le sfide per l’economia e i mercati in un mondo instabile
Europe Matters di Francesca Basso e Viviana Mazza
L’Europa, gli Stati Uniti e l’Italia che contano, con le innovazioni e le decisioni importanti, ma anche le piccole storie di rilievo
One More Thing di Massimo Sideri
Dal mondo della scienza e dell’innovazione tecnologica le notizie che ci cambiano la vita (più di quanto crediamo)
E non dimenticare le newsletter
L'Economia Opinioni e L'Economia Ore 18