
Diario da Gaza: “La morte di mio padre, la casa che non rivedrò, mio fratello sotto le bombe: dopo sei mesi a Gaza non mi resta più nulla”
RAFAH – Prima del 7 ottobre pensavo, ed eravamo in tanti a pensarlo, che Hamas non avrebbe più lanciato una guerra contro Israele. Nelle ultime due aggressioni non avevano più preso parte ai combattimenti che erano stati portati avanti principalmente dalla Jihad Islamica, così credevamo che ci fossero le condizioni per iniziare a lavorare a un accordo che portasse le due parti a non essere più attive. Per la prima volta dopo tempo iniziavamo a immaginare una stabilità. La immaginavo anche io al punto che quattro mesi prima del 7 ottobre avevo acquistato un appezzamento di terra al Nord. Era un’area bellissima, che guardava verso il mare. Avevo iniziato a piantare degli alberi e stavo lavorando alla progettazione di una piccola casa dove, dopo tanti anni di lavoro, avrei finalmente trascorso insieme alle mie figlie, e magari ai miei nipoti, gli anni della pensione. Era un sogno che pensavo diventasse realtà. Il 7 ottobre è stata la fine dei miei sogni. Ora non mi resta più niente.
La casa distrutta
Il mio appartamento è stato distrutto, così come la casa di famiglia, il mio piccolo pezzo di terra è andato. Niente di quello che oggi è Gaza mi può permettere di tornare ai miei sogni, di essere di nuovo stabile in questo Paese. Ho perso tutto, ho perso persino la speranza di continuare a stare qui. Questi sei mesi sono stati il periodo peggiore della mia vita. A Gaza non ho più le mie cose, libri, i miei abiti, i miei profumi, le memorie, il quartiere con i piccoli caffè e i ristoranti e gli amici che li frequentavano. Ora siamo tutti lontani, separati, non c’è più anima, atmosfera che può aiutarti a rimanere, tutto è grigio, brutto. Non ho più tempo a disposizione nella mia vita per aspettare che Gaza venga ricostruita. Appena la guerra finirà me ne andrò dalla Striscia.

Dopo il 7 ottobre niente è più lo stesso. Non c’è più la mia bella, meravigliosa, Gaza, la città favolosa rovinata dal regime di Hamas che ci ha portato in questa terribile guerra. Ho sempre pensato però che il regime sarebbe finito prima o poi e ci avrebbe lasciato la nostra Gaza da tornare a vivere. Invece Israele ha distrutto tutto: la moschea al-Omari, il palazzo di Qasr el-Basha con il museo archeologico, la nostra storia, la nostra identità. Quello che stiamo vivendo scrive una pagina nuova nella storia di Gaza e della Palestina: Israele sta dividendo la Striscia in due, il Nord e Gaza City e la zona Sud, sta costruendo una linea di confine e questo sarà il futuro se mai ci sarà di nuovo vita dopo tutta questa distruzione.
I momenti più duri
Dopo la guerra Gaza sarà tornata indietro di venti anni per quanto riguarda le comunicazioni, internet, la società, l’economia, la politica. Ci vorranno altri 20 anni per tornare a prima del 7 ottobre. Se chiudo gli occhi e penso a questi sei mesi sono tre i momenti che più di tutti ho trovato insopportabili. Poco dopo l’inizio della guerra quando ho carico in macchina le mie gemelle e i miei genitori e siamo dovuti scappare dal Nord: sapevo che avrebbero distrutto tutto e che non saremmo mai più tornati. Sono nato al Nord e ho vissuto tutta la mia vita lì e lasciando la mia casa, che ho costruito per anni pietra su pietra, sapevo che non c’era speranza di rivederla di nuovo. Ho pianto.
Più avanti, a novembre, durante l’assedio all’ospedale al-Quds di Gaza City ho vissuto giorni di inferno. Lì lavorava mio fratello, siamo molto legati, lui è rimasto sotto le bombe e gli spari dell’esercito israeliano continuando a lavorare e a vigilare sulle decine di sfollati che avevano trovato rifugio nella struttura. Ogni giorno mi arrivavano notizie di personale medico ucciso, le comunicazioni erano interrotte e non ero in grado di contattarlo per sapere se era ancora vivo. Ho veramente pensato che fosse morto. È stato troppo doloroso.

Infine, più di un mese fa, forse il momento più duro quando mio padre è morto. Si è spento per colpa della guerra perché si era ammalato non mangiando più bene e non bevendo acqua potabile. Lo abbiamo portato in ospedale ma i medici ci hanno detto che non potevano curarlo, c’erano troppe persone in emergenza e troppe poche medicine e personale. È morto davanti i nostri occhi lasciandoci inermi, senza poter fare niente per salvare la sua vita. È allora che ho guardato le mie figlie e la mia famiglia e ho pensato che presto saremmo morti tutti. Allora ho desiderato essere il primo, per non doverli vedere morire così. Per questo ho fatto tutto affinché le mie gemelle potessero uscire dalla Striscia: non volevo vederle morire davanti ai miei occhi.