Davvero Kamala Harris farà rinascere la magia di Obama?
A molti democratici americani sembra di sognare. Improvvisamente negli ultimi nove giorni hanno l’impressione di rivivere il 2008, il clima di eccitazione e di euforia che circondò la prima campagna elettorale di Barack Obama. Tutto grazie all’abbandono di Joe Biden e alla nomination sostanzialmente certa di Kamala Harris.
C’è chi definisce Kamala come “Obama 2.0”, la versione aggiornata e con upgrade. Perché rappresenta al tempo stesso la minoranza black, quella degli immigrati asiatici, e naturalmente vi aggiunge il fatto di essere donna.
Se l’elezione del primo presidente afroamericano nel 2008 fu una svolta storica, quella di Kamala il 5 novembre sarebbe storica al multiplo. Tra i fattori che spingono a parlare di un nuovo “effetto Obama” ci sono due indicatori: l’aumento dei volontari che si offrono di partecipare alla campagna elettorale, e l’afflusso di donazioni. L’euforia dei media amici fa il resto.
Il clima è cambiato, senza dubbio. Ma è giusto mettere alla prova il paragone con Obama 2008, la campagna del “Yes, We Can”.
Un esperto di analisi demografica ed elettorale, Ruy Teixeira, è convinto che il paragone sia sbagliato. Tra Obama e la Harris c’è un divario immenso, che lui condensa in un dato: il consenso dei lavoratori non laureati, della classe operaia in senso lato. Obama lo aveva, lei no.
Kamala conquista perfino meno consensi di Joe Biden e di Hillary Clinton, tra le classi lavoratrici. È un tema sul quale Teixeira attira l’attenzione dei democratici, accusandoli di avere «cancellato le classi sociali» dalla loro analisi della società americana. Il suo richiamo è giustificato da questi numeri: «I lavoratori senza laurea saranno il 60% di coloro che andranno a votare il 5 novembre. Saranno una percentuale ancora più alta nei sei Stati-chiave, quelli in bilico dove si deciderà il risultato: Arizona, Georgia, Michigan, Nevada, Pennsylvania e Wisconsin».
Teixeira è un personaggio speciale nel mondo della scienza politica americana. Viene dalla sinistra democratica anche se di recente ha preso le distanze. Fu il massimo teorico di una sorta di determinismo etnico: l’idea che l’immigrazione avrebbe spostato per sempre a sinistra l’asse politico-elettorale, favorendo il partito democratico e riducendo in eterna minoranza i repubblicani. Poi si ricredette, di fronte all’evidenza: più gli immigrati si integrano più si spostano a destra. È stato uno dei primi e dei più autorevoli a segnalare e analizzare il fenomeno delle minoranze etniche che votano per Donald Trump. (Lui stesso ha radici straniere).
Tutto è relativo. I democratici mantengono una maggioranza di consensi tra le donne, i giovani, i neri, i latinos: quella che per l’appunto viene descritta come “la coalizione Obama”, ora rilanciata dall’effetto-Kamala. Però certi vantaggi si sono ridotti, ed è questo che fa la differenza.
Un esempio citato da Teixeira (attingendo all’ultimo sondaggio del New York Times) riguarda proprio le classi lavoratrici “non bianche”, quindi tutto l’universo dei non laureati di colore che include black e ispanici. La Harris vince le intenzioni di voto di questa categoria di elettori con uno scarto di 29 punti su Trump. Può sembrare un vantaggio enorme. Quel che dovrebbe preoccupare è la perdita di consensi, invece, perché in questa stessa categoria Biden nel 2020 godeva di 48 punti di vantaggio su Trump, Hillary Clinton ne ebbe 60. In quanto a Obama, vinse con 67 punti di scarto sul suo rivale repubblicano Mitt Romney, tra i lavoratori non bianchi, nel 2012. C’è quindi una costante e sostanziale erosione di consensi, la “coalizione Kamala” si è persa per strada più di metà del vantaggio che Obama aveva tra i non laureati di colore.
Una delle ragioni per cui Teixeira respinge l’equivalenza tra Kamala e Barack, è proprio l’appeal fra i lavoratori non laureati. O la mancanza di appeal. Obama fu capace di conquistare un quasi-pareggio tra gli operai maschi bianchi nel 2008 contro il repubblicano John McCain: quel suo exploit smentì il luogo comune secondo cui la spiegazione dominante del trumpismo sarebbe il razzismo dei bianchi. Nessun democratico ci è più riuscito dopo Obama, neppure due candidati bianchi come Hillary e Biden. In quanto a Kamala, è messa peggio di tutti. Trump la batte con 38 punti di distacco secondo il sondaggio New York Times.
Guardando alle classi lavoratrici, manodopera non laureata, nel loro insieme e cioè prescindendo dall’appartenenza etnica, Obama nel 2012 le conquistò con 4 punti di vantaggio, Hillary nel 2016 le perse per 3 punti, Biden le perse con soli 2 punti di svantaggio su Trump nel 2020. Ma oggi stando all’ultimo sondaggio del New York Times il vantaggio di Trump in questo mondo è cresciuto a ben 15 punti.
«Il guaio è che oggi nessuno nel partito democratico pensa più in termini di classi sociali», commenta Teixeira.
Non era così ai tempi dei… padri di Barack e Kamala. C’è un tratto che unisce le due figure: Obama Senior, che lasciò presto la madre (bianca) di Barack per tornarsene nel nativo Kenya; e il padre afro-giamaicano di Kamala, anche lui presto divorziato dalla madre indiana. Ambedue si occupavano di economia, ambedue si erano formati sui testi della dottrina marxista. Di conseguenza ambedue analizzavano il mondo in termini di rapporti economici, conflitti tra classi sociali; la razza secondo la loro visione del mondo aveva un impatto marginale. Il padre di Obama (figura importante nel primo libro di Barack, “Dreams of My Father”), a proposito del Kenya scrisse che non vedeva alcuna differenza tra i capitalisti neri e i capitalisti bianchi, in quanto a sfruttamento dei lavoratori.
Quell’attenzione “dei padri” alle classi sociali è sparita nel mondo di Kamala, formatasi in una California dove comanda l’ideologia “woke”, e ogni problema viene interpretato alla luce del razzismo bianco, o del sessismo. È una sinistra culturalmente distante anni luce da quella degli anni Sessanta che formò il pensiero di Obama Senior e del padre di Harris.
In quanto a Barack, l’atmosfera esaltata del 2008 fece dimenticare che lui veniva da una tradizione moderata del Midwest, e in effetti una volta arrivato alla Casa Bianca governò come un moderato di centro: a partire dai salvataggi di banche e case automobilistiche dopo la crisi del 2008. Non a caso fu contro le politiche dell’Amministrazione Obama che insorse il movimento Occupy Wall Street, segnale precursore dell’ascesa della sinistra radicale con leader come Bernie Sanders ed Elizabeth Warren.
Dunque, attenzione ad equiparare frettolosamente il fenomeno Kamala al fenomeno Obama, le differenze rischiano di prevalere.
30 luglio 2024, 13:26 - modifica il 30 luglio 2024 | 13:43
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