
Intervista al ministro Pichetto Fratin: “Siamo per il nucleare ma no a nuove centrali”
DUBAI — «Sì al nucleare, ma mai più centrali atomiche in Italia». Il ministro dell’Ambiente e della Sicurezza energetica Gilberto Pichetto Fratin coglie l’occasione della sua presenza alle giornate finali della Cop28, per chiarire la politica climatica del governo. Lo fa, subito prima di un bilaterale con il ministro dell’Energia saudita Abdulaziz bin Salman, tornando sullo scivoloso argomento dell’energia atomica.
Proprio qui a Dubai, nelle giornate inaugurali della 28esima Conferenza Onu sul clima, la premier Giorgia Meloni era apparsa assai tiepida sul nucleare tradizionale (quello basato sulla fissione atomica), optando per la più pulita (ma futuribile e ancora tutta da sperimentare) fusione.
E questo dopo che i partiti di governo in Parlamento e lo stesso Pichetto Fratin si erano dati da fare per rimettere in moto l’atomo made in Italy, con il varo nei mesi scorsi di una Piattaforma per il nucleare sostenibile.
Ministro Pichetto Fratin, è cambiata la politica del governo sul nucleare?
«Assolutamente no. Ma voglio precisare che noi non costruiremo mai nuove centrali nucleari in Italia. Lo Stato non realizzerà reattori, saranno eventualmente i distretti industriali o le singole aziende energivore a dotarsi di piccoli reattori modulari di quarta generazione. Lo Stato si limiterà a essere un soggetto regolatore. La Piattaforma che abbiamo lanciato continua a lavorare e non si occupa solo di fissione ma anche di fusione».
Si aspettava che in questa Cop emiratina diventasse centrale il dibattito sull’addio ai combustibili fossili?
«Mi aspettavo la posizione degli Emirati Arabi: fin dalla Pre-Cop di un mese fa avevano manifestato l’intenzione di avviare l’uscita dai fossili, che però sarà necessariamente graduale».

I rappresentanti Ue, a cominciare dalla vicepremier spagnola Teresa Ribera, spingono decisamente per l’uscita dai fossili. È una posizione condivisa dall’Italia?
«Noi siamo allineati alla Ue, ma partecipiamo attivamente alla discussione. Perché il phase out dei fossili deve valutare anche le condizioni dei singoli Paesi. E il nostro è ancora fortemente dipendente dai fossili, con una serie di imprese che non possono arrivare alla decarbonizzazione pura. Occorre individuare percorsi di transizione per le imprese altamente energivore, magari adottando nuove tecnologie come la cattura della Co2 emessa, o, appunto, i piccoli reattori modulari».
L’Italia ha firmato l’accordo per triplicare, a livello globale, le rinnovabili installate entro il 2030?
«Sì. Anche perché si tratta di un obiettivo che era già stato incluso nel nostro Piano nazionale integrato energia e clima (Pniec). Il solare crescerà da 21.650 megawatt (2020) a 79.921 nel 2030 (+369,15%) e l’eolico passerà da 10.907 megawatt a 28.140 (+258%)».

Questo sulla carta. Nella realtà l’Italia fa molta fatica a realizzare nuovi parchi eolici e fotovoltaici.
«Abbiamo un territorio particolare, per i due terzi montano o collinare, con un patrimonio di beni culturali enorme e un comparto agricolo importante. Quindi dobbiamo usare tutta una serie di cautele, trovare percorsi compatibili con la tutela del territorio o delle attività. Ma ci arriveremo».
Le ha attirato critiche il ritardo del decreto sulle “aree idonee”, che avrebbe dovuto snellire le procedure. A che punto è?
«Ho chiuso il confronto con le Regioni e uscirà nelle prossime settimane».
Alla luce di quanto sta emergendo in questa Cop28 (auspicato addio ai fossili e triplicazione delle rinnovabili) come valuta l’operato di Eni ed Enel? Eni continua a comprare combustibili fossili e in uno studio appena pubblicato risulta il principale partner straniero di Adnoc, la compagnia degli Emirati. Il Financial Times ha sottolineato il taglio degli investimenti in rinnovabili da parte di Enel...
«Per quanto riguarda Eni, i combustibili fossili, e nel nostro caso soprattutto il gas, servono ad accompagnare il cammino verso la neutralità carbonica. È un percorso che va portato a termine nel 2050, e nei prossimi trent’anni il nostro Paese avrà un ruolo assai diverso rispetto anche al recente passato. L’Italia diverrà centrale, perché il gas arriverà da Sud invece che da Nord: saremo probabilmente noi che lo dovremo fornire a Paesi come l’Austria, la Germania o l’Ungheria. Questo significa incrementare, con il piano RePower Eu, i nostri gasdotti. Ma comunque il Pniec prevede una diminuzione entro il 2030 di oltre 10 miliardi di metri cubi nel consumo. Nel caso di Enel, invece la valutazione del nuovo management credo abbia a che fare con il bilancio aziendale. È una società grande e importante, con un grande forza ma anche con un forte indebitamento. Per poter investire quanto necessario sulle infrastrutture di decarbonizzazione in Italia, in particolare le reti, è comprensibile che disinvesta nelle realtà in cui ha una presenza marginale».