Spalletti sbuffa: «Datela a Jorginho», poi si arrende: «Spagna più forte»
La sconfitta con la Spagna, ma ancor meno il gioco scarso dell'Italia, non è andata giù al c.t. Spalletti che per tutto il primo tempo ha difeso Jorginho: «Se non si passa palla a lui, non si gioca»

Nico Williams pressa Di Lorenzo: l’esterno della Spagna ha messo sempre in crisi la difesa azzurra (Afp)
In piedi, le mani in tasca, la delusione sul volto, il ghigno tirato, il passo lento. Non è contento, Luciano Spalletti, non può esserlo. La immaginava diversa, questa notte. Se si trattava del primo grande esame della sua Italia, l’abbiamo fallito. «La differenza l’ha fatta la freschezza, loro lo erano molto più freschi di noi, noi abbiamo ritardato troppo le letture — ammette alla Rai —. La chiave del problema è sempre la stessa: eravamo sotto livello per reazione, in accompagnamento, nel ritornare sui retropassaggi, nel guadagnare posizioni basse. Ci hanno creato problemi con le loro scelte».
«Dovremo essere bravi a togliergli il pallino, sennò diventa difficile» aveva avvertito prima del via. Ci aveva visto giusto: non ci siamo riusciti ed è stata una sofferenza. «Quando ho messo 3 o 4 giocatori più freschi, siamo stati più intensi, abbiamo creato situazioni che ci potevano portare al pareggio — aggiunge il c.t. azzurro —. Ma loro sono stati molto più forti di noi, hanno vinto meritatamente. Troppo netta la differenza. La Croazia? Dipenderà da come ci si arriva noi, la differenza la facciamo noi con le nostre scelte. Se non le abbiamo, non abbiamo scelte».
È stata lunga e ansiosa, la notte di Gelsenkirchen: urlano in cinquantamila sulle tribune della Veltins-Arena, che ha il tetto retrattile, all’occorrenza si chiude, quindi l’effetto acustico è amplificato. Stavolta, a differenza del debutto con l’Albania a Dortmund, sono in maggioranza gli italiani. A tifare per la Roja c’è anche il re Felipe VI. Soffre e sbuffa. Esattamente come fa, sotto di lui, Spalletti. Uno show nello show, il suo. Non ha cambiato niente, il c.t. azzurro, rispetto al debutto vincente. Una scelta che non pagherà. È soprattutto a centrocampo e in difesa che le sue convinzioni sono nette e convinte: avanti con Bastoni e Calafiori, gli stopper «giochisti». A centrocampo, spazio al quadrato (stasera per niente) magico Barella-Jorginho-Frattesi-Pellegrini.
Una strategia chiara, quella di Lucianone. Ma che non funziona. Perché la palla ce l’hanno sempre gli spagnoli. «Datela a Jorginho, la palla deve passare da lui altrimenti non si gioca», si sbraccia, passeggiando nervosamente. Il duello nel duello col suo omologo spagnolo Luis de la Fuente è intenso: il confronto in alcuni momenti è acceso, volano scintille. L’arbitro sloveno Vincic fischia la fine del primo tempo, l’uomo di Certaldo si ferma in panchina per tre minuti con i collaboratori a studiare le contromosse.
Entrano Cristante e Cambiaso, ma non cambia nulla. Arriva l’autogol di Calafiori, «il Bello», come l’hanno chiamato gli spagnoli in questi giorni. «Olé», cantano i tifosi della Roja. Finisce così. Prima d’infilarsi nel tunnel, il c.t. saluta uno ad uno i suoi giocatori. «Dobbiamo continuare sulla nostra strada» chiude Big Luciano, rialzando la testa. Ora, lunedì a Lipsia, la terza e ultima partita. La Croazia non è la Spagna, ma servirà un’altra Italia. E lui lo sa meglio di chiunque altro.