Il dirigente di Hezbollah e il raid sull'Iran: «Due pesi, due misure. Scandaloso il silenzio sull'attacco a Damasco»
Il dirigente di Hezbollah: pronti a rispondere
«Hezbollah non riconoscerà mai Israele, neppure se lo dovessero fare i palestinesi in terra di Palestina», esclama senza esitazioni Houssein Hajj Hassan, 64 anni, dirigente di punta del «Partito di Dio» sciita libanese legato al regime di Teheran, oggi deputato e in passato ministro dell’Agricoltura e dell’Industria. L’abbiamo incontrato nel suo ufficio a Beirut la mattina di due giorni fa, proprio mentre giungevano i primi dettagli degli attacchi sull’Iran.
Sembra che Israele abbia compiuto un raid debole per evitare l’escalation...
«Per ciò che riguarda l’attacco contro l’Iran, sono i suoi leader che decideranno come reagire. Per ciò che concerne invece il Libano posso ribadire che noi risponderemo puntuali a ogni loro raid con le armi e le strategie decise dalla nostra Resistenza. Non va dimenticato che all’origine di tutti i problemi del Medio Oriente e della sua instabilità cronica c’è la creazione nel 1948 di un’entità terrorista, razzista e aggressiva quale è Israele con il pieno sostegno di voi occidentali».
Sono affermazioni molto preoccupanti, più interessate a darvi una legittimità, che non a trovare una soluzione pacifica. Voi escludete a priori ogni compromesso, alimentate l’estremismo radicale, fanatico e in effetti non fate che perpetuare una guerra destinata a non finire mai, visto che intendete distruggere Israele...
«Perché nessun governo occidentale ha condannato il raid israeliano sul consolato iraniano a Damasco il primo aprile? Se una pietra viene tirata contro un’ambasciata europea a Beirut, subito tutti puntano il dito contro l’Iran. Ma il vostro silenzio è scandaloso, due pesi e due misure».
Gli israeliani replicano che le sedi diplomatiche iraniane sono usate come basi militari per aggredirli. Inaccettabile, non crede?
«Argomento rifiutato: il consolato è aperto a qualsiasi iraniano, non fa differenze tra politici e militari».
Non ha risposto alla prima domanda. Ma ora crede che la guerra tornerà in Libano?
«Noi siamo pronti a rispondere a ogni attacco».
Non rischiate di perdere ancora più popolarità di quanto successo nel 2006, quando sparaste oltre 4.000 razzi, oggi che ne avete oltre 100 mila?
«Non sono un militare. Ma so che negli ultimi 6 mesi Israele ha provato sulla sua pelle un piccolo assaggio dei nostri arsenali. Se provocasse, per Israele sarebbe peggio. Noi oggi siamo molto più forti che nel 2006. Spero che i libanesi non subiscano alcun danno se si riaccendesse un conflitto aperto, ma la libertà comporta un prezzo da pagare. Il governo Netanyahu mira a espellere tutti i palestinesi di Cisgiordania e Gaza. Se vincesse sarebbe una tragedia per il Medio Oriente inondato da milioni di profughi, anche per il Libano. Meglio allora combattere subito».
I libanesi non ci stanno, non vi seguono…
«Chi lo dice? Dopo il 2006 abbiamo ricevuto il 70 per cento del voto sciita e assieme ad Amal il 90. E il dato resta costante sino a oggi».
Il vostro leader, Nasrallah, è molto attento: sa che l’Iran appoggia la vostra ala militare, però cerca di rispondere alle preoccupazioni dei libanesi.
«Gli iraniani sono nostri alleati, ma noi siamo prima di tutto libanesi».
Teheran ha ucciso quasi mille donne iraniane che chiedevano libertà…
«Gli israeliani ne hanno massacrate decine di migliaia coi loro figli a Gaza».