Spalletti e i lampi di genio: la mossa Pellegrini, la riaggressione. L'Italia può sperare

diFabrizio Roncone

Dopo pochi allenamenti il ct Luciano Spalletti ha già lasciato il segno. Andare sotto è stata una follia ma lui aveva forgiato i suoi. Ora sentiamo speranza ed entusiasmo, ma restiamo calmi

L'entusiasmo e la speranza sono i due sentimenti forti dentro cui restiamo stretti, adesso che la partita è finita. Ma dobbiamo lasciare che a prevalere sia la ragione. E dirci che l’unica cosa da fare è mantenere la calma, continuando ad affidarci a Luciano Spalletti.

Sanguina calcio. È il suo genio, il suo carisma. Gli è bastato allenare questi azzurri per qualche giorno di seguito. Ritrovarseli al campo ogni mattina. Guardarli con i suoi occhi pieni di brace. E trasferirgli le sue magnifiche ossessioni (Walter Sabatini, amandolo, sostiene che è «un dirimpettaio della follia»). È il motivo per cui il nostro cittì vuole che i suoi giocatori, tutti, indistintamente, vivano di aspirazioni sublimi. Uno schema banale lo demoralizza, lo mortifica.
Osservando l’armonia di gioco degli azzurri si intuivano alcuni suoi colpi d’ingegno. Forse il più evidente: l’idea che Pellegrini, galleggiando a sinistra, diventasse nel palleggio un regista laterale, aggiunto, e per gli albanesi inatteso. Per lunghi tratti, abbiamo poi visto gli azzurri difendere a due, con Di Lorenzo e Bastoni, perché Calafiori diventava, in modo sistematico, una mezzala. Certo, è quello che gli ha fatto fare Thiago Motta a Bologna, per buona parte della stagione. Ma per mettere questo ragazzo esordiente in Nazionale a suo agio negli ingranaggi proprio alla prima partita di un campionato d’Europa, ci vuole coraggio e una certa visionaria consapevolezza.

La riaggressione e i comandamenti di Spalletti 

È un dato sicuro che si siano apprezzati molti di quelli che, tra stupore e comprensibile enfasi, nel ritiro di Coverciano erano stati presentati come i «comandamenti» di Spalletti. La squadra è stata, spesso, davvero prepotente. La cosiddetta «riaggressione» alta, successiva alla perdita del pallone, non si è rivelata forse ancora feroce e battente come la vorrebbe lui, il cittì: ma gli albanesi hanno faticato, al secondo passaggio si ritrovano quasi sempre accerchiati dai nostri (bravissimi, in queste operazioni, Frattesi e Barella e anche Scamacca, il che non era esattamente scontato). Quanto a una delle sue principali fissazioni, la distanza tra i reparti, la determinazione ad essere corti: in alcuni momenti, la squadra di Spalletti è sembrata (quasi) perfetta.

Ora l'esame Spagna 

Queste sono riflessioni scritte a partita in corso. Verso la metà del secondo tempo siamo calati, il cittì un po’ s’ingobbisce pensieroso e un po’ inizia a sbracciarsi come fa lui, gli ingressi di Cristante e Cambiaso portano una scocca robusta e ordinata e più gamba. Il concetto di fondo resta identico: una squadra equilibrata e imprevedibile. Quelli che parlano e scrivono complicato lo chiamano calcio relazionale. Al tecnico azzurro piace il calciatore che sappia adattarsi alla situazione di gioco. Vuole che le linee di passaggio nascano dai movimenti che fa rispetto a quelli dell’avversario. Possiamo raccontarci che con la Spagna sarà tutto molto più complicato. E questo è possibile e probabile. Però anche l’Albania, alla vigilia, ce la siamo raccontata come un’avversaria temibile, ad alto rischio. Che abbiamo corso, come sappiamo. Andare sotto dopo 23 secondi, e per giunta per una follia, è durissima. Ma Spalletti aveva forgiato i suoi. Immaginare di affidarsi alla fortuna anche per un solo corner, lo fa letteralmente infuriare. Non sa cosa sia, la fortuna. Mai incontrata in una sua partita. Si è dovuto sempre fidare della fatica. Della passione. Dello studio profondo. Della sua capacità di essere concentrato (è facile immaginare cosa abbia pensato di Dimarco, in quel momento).

16 giugno 2024

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