Taglio del cuneo fiscale, il paracadute per superare il limite dei 35 mila euro di reddito
di Massimiliano Jattoni Dall’Asén
L’innalzamento del taglio del cuneo fiscale è stasto confermato per tutto l’anno 2024 dalla nuova Legge di Bilancio. Il taglio è innalzato al 7% per i redditi fino a 25.000 euro e al 6% per i redditi fino a 35.000 euro. Ma c’è un paradosso e a spiegarlo è stata la presidente dell’Ufficio parlamentare di bilancio, Lilia Cavallari, che ha parlato in Senato di fronte alle Commissioni Bilancio congiunte: «La modalità per fasce - ha detto Cavallari - fa cessare ogni beneficio oltre la soglia di retribuzione lorda di 35.000 euro». Ma c’è di peggio: superata questa soglia anche di un solo euro «la perdita è di circa 1.100 euro».
di Massimiliano Jattoni Dall’Asén
Proviamo a spiegarlo meglio. Il cuneo fiscale è la somma delle imposte (dirette, indirette, contributi previdenziali versati sia dal lavoratore che dal datore), ovvero la differenza tra lo stipendio lordo versato dal datore di lavoro e la busta paga netta ricevuta dal lavoratore. Quando si abbassa il cuneo fiscale, con una tassazione minore del costo del lavoro, automaticamente aumenta lo stipendio netto del lavoratore. In sostanza, si tratta di uno sconto sulle trattenute in busta paga che diventa di fatto un vero e proprio “bonus” per i lavoratori dipendenti. Il governo ha confermato il taglio del cuneo fiscale del 6% per chi ha un reddito da lavoro dipendente fino a 35 mila euro e del 7% per chi ha un reddito inferiore ai 25 mila euro lordi. Lo sconto non viene applicato alla tredicesima, cosa che comporta un’incidenza effettiva inferiore a quella nominale e pari, rispettivamente, a 6,5 e a 5,5 punti nelle due fasce di decontribuzione. La riduzione dei contributi in termini assoluti, che aumenta in proporzione alla retribuzione lorda, raggiunge un massimo di circa 1.600 euro in corrispondenza del limite superiore della prima fascia (20.000 euro) e di poco più di 1.900 euro in corrispondenza di quello della seconda fascia (35.000 euro). Buona parte della portata redistributiva della decontribuzione è tuttavia dovuta alla sua modalità applicativa per fasce, che fa cessare ogni beneficio oltre la soglia di retribuzione lorda di 35.000 euro, con una perdita, appunto, di circa 1.100 euro superando di un solo euro tale soglia.
E poi c’è il tema della revisione dell’Irpef, che «riduce da 4 a 3 le aliquote e interviene sulle detrazioni, con un importo pari a circa 4,3 miliardi. Il beneficio è di 75 euro annui per i redditi da lavoro dipendente tra 8.000 e 15.000; a partire dai 15.000 fino a 28.000 il vantaggio aumenta progressivamente con il reddito fino a un massimo di 260 euro; oltre i 50.000 euro il beneficio può azzerarsi per effetto del taglio delle detrazioni per oneri e spese non sanitarie», ha aggiunto Cavallari. La presidente ha ricordato in audizione che il beneficio è di «75 euro annui per i redditi da lavoro dipendente tra 8.000 e 15.000; e a partire dai 15.000 fino a 28.000 il vantaggio aumenta progressivamente con il reddito fino a un massimo di 260 euro». L’incidenza dei benefici sul reddito imponibile (la variazione dell’aliquota media) è massima e pari a circa lo 0,9% in corrispondenza delle soglie di 15.000 euro e di 28.000 euro (pannello in alto a destra); oltre i 28.000 euro scende progressivamente, a fronte di un beneficio che rimane costante a 260 euro; attorno ai 50.000 euro l’incidenza del beneficio connesso con la riduzione dell’aliquota è pari a circa lo 0,5% del reddito imponibile. Mentre oltre i 50.000 euro il beneficio può azzerarsi «per effetto del taglio delle detrazioni per oneri e spese non sanitarie».
di Enrico Marro, Mario Sensini e Andrea Ducci
Oltretutto, questo meccanismo perverso penalizza le contrattazioni sia nel pubblico che nel privato, perché vincere la battaglia per un leggero aumento di stipendio può portare a un nulla di fatto poi sullo stipendio reale. La presidente dell’Ufficio parlamentare di bilancio lo ha detto chiaramente: «Nell’eventualità di ulteriori proroghe vi sarebbe un forte disincentivo al lavoro e si renderebbe più complesso il raggiungimento degli accordi di rinnovo contrattuale». Ovviamente, la conferma del taglio del cuneo «garantisce un importante supporto ai redditi da lavoro bassi e medi». In particolare, ha sottolineato Cavallari, «il reddito degli operai, incrementando la capacità redistributiva del complesso del prelievo contributivo e fiscale». Ma la modalità per fasce è luci e ombre. Il taglio del cuneo è infatti «la misura più rilevante della manovra, pari a 10,7 miliardi», ma bisogna ricordare che «è finanziata temporaneamente in deficit», ha concluso Cavallari. Dunque, una eventuale ulteriore estensione «richiederà l’individuazione di misure di copertura strutturali».
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