Intelligenza artificiale, la nascita del lavoro «ibrido» e gli altri vantaggi per l’umanità: la guida
Tutto parte da un’immagine, quella di un ghepardo in corsa. A chi lo fotografa comparirà sempre troppo indietro o troppo avanti rispetto allo scatto. La sfida è fotografarlo esattamente com’è. In un libro intitolato "Intelligenza artificiale, come usarla a favore dell’umanità", il giornalista Gabriele Di Matteo e il data scientist Eugenio Zuccarelli provano a immortalare l’Intelligenza artificiale come si fa con l’animale a macchie nere. Fermano il tempo per fornire ai lettori gli strumenti utili a cogliere le opportunità e i rischi, le prospettive di lavoro e le criticità etiche portate dall’Ai.

Il libro
Il volume, edito da Mondadori, esplora in 251 pagine il ruolo dell’Intelligenza artificiale nei principali ambiti di sviluppo del Paese. Dalla salute alla pubblica amministrazione, passando per l’educazione e l’agricoltura. Gli autori hanno fornito un quadro delle possibili applicazioni e degli scenari che già oggi si possono distinguere. Ogni capitolo è corredato da una storia, da quella del fondatore di OpenAI Sam Altman a quella di Luciano Floridi, docente universitario e direttore del Digital ethics center dell’Università di Yale. Di fondo c’è un assunto: l’Intelligenza artificiale fa già parte delle nostre vite e per cavalcarla bisogna conoscerla.
L’impatto dell’AI sul lavoro
Quello occupazionale è il settore su cui l’intelligenza artificiale sarà decisivo. In un saggio introduttivo di Mauro Macchi, presidente e amministratore delegato del gruppo Accenture, vengono presentati i numeri del posizionamento dell’Italia in ambito tecnologico e digitale e la tech vision dell’azienda. Secondo i dati raccolti da Accenture, negli ultimi vent’anni, l’Italia ha lasciato indietro circa 330 miliardi di euro di Pil perché non è riuscita a sfruttare adeguatamente il motore della tecnologia.
La diffusione di sistemi di Intelligenza artificiale viene accompagnata da una narrazione per cui l’uomo sarà sostituito. In realtà, se è verosimile che, come spiega Macchi «cinque milioni di posti di lavoro saranno a rischio di completa automazione», è anche vero che il Pil italiano dovrebbe risentirne positivamente e generare nuove opportunità. Stando all’analisi introduttiva, nei prossimi dieci anni però si stima che l’incremento della produttività porterà fino a 2,5 milioni di nuovi posti di lavoro. Nello stesso arco di tempo sarà richiesto a nove milioni di persone di riqualificarsi e acquisire nuove competenze, più digitali (reskilling). Le paure però sono da tenere a bada. Il 99% delle applicazioni professionali richiederà figure «ibride», con compresenza di uomo e macchina e non la sostituzione dei lavoratori.
Salute, sanità e digitale
Zuccarelli e Di Matteo hanno esaminato l’influenza dell’Intelligenza artificiale sulla sfera sanitaria rispetto a quelle che chiamano Le 3P. Prevenzione, personalizzazione e pratiche burocratiche sono i "pilastri" su cui l’Ai interviene. Gli algoritmi consentono di analizzare in pochi secondi milioni di fascicoli e cartelle cliniche relative ai pazienti. La valutazione sarà un’approssimazione di quella che fornirebbe un dottore, ma non potrà mai competere con l’intuizione e l’empatia costruite da un medico nel tempo. Il ruolo dell’AI secondo gli autori è quello di fornire formule matematiche in grado di restituire la probabilità di un evento o dei parametri predittivi che guidino i professionisti verso i percorsi di diagnosi e di cura. Allo stesso tempo, per la sua grande capacità di analisi, l’intelligenza artificiale può personalizzare i dati che legge, fornendo indicazioni personalizzate per ogni paziente. La terza P è quella che riguarda le pratiche burocratiche. L’uso del machine learning consentirebbe di alleggerire il lavoro negli ospedali. Oggi per il 31% dei dottori l’inserimento di dati clinici e la burocrazia è la principale causa di burnout. L’AI garantirebbe documenti più semplici da gestire, oltre che più precisi, riducendo quasi a zero gli errori da trascrizione.
Formazione e salute mentale
Determinante per cavalcare queste sfide si conferma l’investimento in formazione e istruzione. Sostenuti dagli studi di Sal Khan, fondatore della piattaforma di e-learning Khan Academy, Di Matteo e Zuccarelli fanno notare nel libro come «l’Intelligenza artificiale potrebbe diventare un assistente per ogni insegnante» fornendo informazioni per tenersi aggiornato e rimanere al passo con i tempi. In questo senso, l’educazione dovrebbe puntare sull’AI «perché le nuove generazioni non avranno alternative e dovranno coesistere con la tecnologia ancora più di oggi». La capacità di imparare rimane legata agli individui. Come si legge nel libro «Il cervello umano è uno dei più avanzati esempi di ingegneria esistenti al mondo». Tuttavia, se usata a pieno, l’intelligenza artificiale può aiutarci ad accrescere le nostre capacità cognitive. Gli autori analizzano le innovazioni che hanno già fatto capolino in questo settore, come i moduli Neuralink proposti da Elon Musk e si interrogano sulle applicazioni che saranno ammesse in futuro.
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I rischi e l’etica
Senza scadere nel profano, gli autori hanno fatto notare che «il primo a fornire un prompt (cioè un comando per l’intelligenza artificiale, ndr) è stato Dio, creando la terra». A essere piena d’insidie non sono tanto i comandi ma la comunicazione. Parte del pericolo dipende dalla velocità con cui le informazioni e le immagini vengono diffuse. Dal libro emerge la necessità di trovare un punto d’incontro tra le regole e il pieno utilizzo dell’AI, come dimostra l’AI act appena approvato dal Parlamento europeo. Come spiega Luciano Floridi nel libro bisogna chiedersi « come utilizzare queste tecnologie in modo che facciano bene anche all’ambiente e alla società, non soltanto al mercato. I mezzi legislativi per cambiare questa situazione ci sono».
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