La presidente del Consiglio difende il premierato ma non calcola i rischi del referendum
Quello che si � capito � che si � stufata. Non tanto e non solo del cowboy di Capodanno, per il quale la sospensione immediata da Fratelli d’Italia, in attesa della mannaia dei probiviri, � il minimo sindacale. Ma soprattutto di quanti, nel suo partito, si dilettano in scivoloni di ogni tipo, mentre lei tira la carretta. E uomo (o donna) avvisato � mezzo salvato, ma solo mezzo. � un chiaro avvertimento ai suoi, con l’Italia che presiede il G7 e con le elezioni a un passo, che la ricreazione � finita. Giorgia Meloni avverte la necessit� di un passaggio netto, dal piccolo partito corsaro degli anni dell’opposizione, a una classe dirigente che ancora non trova.
Gomitate, furberie e agguati erano gi� iniziati, ma la conferenza stampa di inizio d’anno segna il vero inizio della campagna elettorale. Ramoscello d’ulivo a Matteo Salvini, difeso sullo scandalo Verdini e giustificato e protetto sul �no� a presentarsi alle Camere, ma che d’ora in poi dovr� smazzarsela da solo. Lodi ad Antonio Tajani, ma star� a lui dimostrare di saper gestire il dopo Berlusconi. E soprattutto l’implicito invito ai due alleati a candidarsi alle Europee, condizione perch� anche lei lo faccia, perch� � giusto misurarsi con gli elettori e perch� aprirebbe alla possibilit� che anche i leader dell’opposizione lo facciano. L’elezione a sfidante, magari di comodo, di Elly Schlein � esplicita. Le offre la scelta del campo e delle armi per un confronto pubblico, pronta a cercare di replicare la partita che la vide prevalere su Enrico Letta alle elezioni dello scorso anno. Gioco fin troppo scoperto, ma gradito anche alla segretaria del Pd, che, se perdesse ai punti e non per ko, potrebbe puntare a incalzarla sia sul referendum quasi inevitabile sul premierato, sia alle elezioni politiche, che, salvo sorprese, arriveranno a fine legislatura.
Giacca chiara lunga e sciallata, maglietta bianca, la premier ha scelto il registro del sorriso, appena incrinato dal mostrare le unghie in difesa della sorella Arianna, a fronte delle accuse di familismo nella gestione del governo e del partito. Ma almeno un punto � rimasto irrisolto. Giorgia Meloni ha dovuto ripetere e rivendicare di non essere ricattabile. Non � la prima volta. � stato anzi il suo biglietto da visita d’esordio. Si era trovata a dover respingere le richieste pressanti di Silvio Berlusconi, pi� che probabilmente stimolato da quella che allora, almeno in Forza Italia, sembrava l’onnipotente Licia Ronzulli. C’erano stati dei s� e dei no, soprattutto dei no. Ma allora tutto era chiaro: i presunti ricattatori e la premier in pectore che resisteva, pi� una baruffa con gli alleati riottosi che un problema per la democrazia, anche se era stata messa in dubbio l’elezione al primo turno di Ignazio La Russa a presidente del Senato.
Ieri il copione � stato riproposto. E Meloni fino a un certo punto � stata esplicita: ci sono affaristi che pretendono di dare le carte, mi si avverte che � pericoloso dire di no, ma io non mi spavento, ci provano ma non mi spavento, la musica con me � cambiata. Fino a un inquietante �piuttosto che cedere preferisco andare a casa�. E qui, seppure conforti il tenere duro e il rivendicare il primato della politica sulle pressioni delle lobby, resta un non detto. Un dovere ineludibile di trasparenza. Chi sono gli uomini e i poteri, o magari i millantatori, che tentano di ricattare Palazzo Chigi? Portarli allo scoperto sarebbe il modo pi� sicuro per proteggere questo governo, questo Parlamento e quelli a venire.
Rimane nel limbo un punto chiave per l’informazione e per la libert� di stampa, quello che va sotto il nome di �legge bavaglio�, che impedisce la pubblicazione integrale delle ordinanze di custodia cautelare, e che dopo il s� della Camera attende la controprova del Senato. Con la premier che afferma che personalmente non l’avrebbe proposta, ma che considera equilibrata la soluzione trovata dal Parlamento. Mentre, con tutti i distinguo del caso e in attesa del risultato delle urne, sembra esserci una disponibilit� alla riconferma di Ursula von der Leyen alla presidenza della Commissione europea, frenando cos� le aspirazioni di Matteo Salvini che auspica l’alleanza con l’ultradestra. Ma soprattutto restano aperti un dilemma e una contraddizione, quelli che riguardano la riforma dello Stato, finora zoppicante nel modo in cui � stata declinata e ancora incerta nella sua capacit� di venire alla luce. Non � facile credere che un premier eletto direttamente dal popolo non entrerebbe in concorrenza con il ruolo super partes del presidente della Repubblica, che si dice di voler assolutamente preservare. E se, come pare si immagini, non si arriver� a una riforma condivisa, � improbabile che il referendum rafforzi il governo in caso di conferma e sia invece indifferente alle sue sorti in caso di sconfitta.
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4 gennaio 2024 (modifica il 4 gennaio 2024 | 22:10)
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