�Una quantit� crescente dell’informazione sulla Cina, oggi viene fatta da persone che non risiedono in Cina. La colpa � del governo cinese, che nega o raziona i visti. Il risultato � che molti scrivono su questo Paese attingendo a fonti americane, o europee, e non necessariamente ben disposte�. Vi consegno questa amara riflessione di un collega giornalista, corrispondente a Pechino per uno dei maggiori media statunitensi. � importante perch� riguarda anche voi. Non � una considerazione di �bassa cucina� relativa solo al mio mestiere. L’Occidente intero subisce un deterioramento nella qualit� della sua informazione e delle sue analisi sulla Cina: la seconda superpotenza militare e tecnologica, la seconda economia mondiale dietro gli Stati Uniti, la prima potenza industriale ed esportatrice del pianeta, nonch� un colosso da 1,4 miliardi di abitanti, erede di una civilt� con tremila anni di storia. Una informazione limitata, scadente o inficiata da pregiudizi sulla Cina pu� condurci a sbagliare le nostre previsioni e a prendere a nostra volta decisioni errate. � un problema serio che ci riguarda tutti: operatori economici, leader politici, classi dirigenti, professionisti e accademici occidentali, siamo tutti bisognosi di informazioni accurate. Non per colpa nostra, stanno diventando merce rara.
Così la Cina «si nasconde» ai nostri occhi: ecco quale pericolo corriamo noi
Visti negati
Questa considerazione mi ha spinto a dedicare ai miei colleghi un pezzetto del mio recentissimo viaggio in Cina. Ho passato mezza giornata in un seminario a porte chiuse, da me sollecitato, con un campione molto qualificato di giornalisti residenti nella Repubblica Popolare. Americani, nordeuropei, asiatici non-cinesi. Per la difficolt� crescente che incontrano nel loro mestiere, vi consegner� i loro racconti tra virgolette, rispettando la consegna dell’anonimato. Eviter� anche delle caratterizzazioni che potrebbero identificarli facilmente (visto che sono sempre meno numerosi, le autorit� hanno buon gioco a individuarli). Aggiungo che l’incontro � avvenuto dentro una sede diplomatica occidentale, sotto la protezione della sua extra-territorialit�, e quindi la mia discrezione � un atto dovuto anche nei confronti dell’ambasciata che ci ha ospitati.
Per darvi un esempio concreto sulla rarefazione dei corrispondenti esteri: due Paesi grandi e importanti come Canada e Australia, che hanno abbondanti relazioni economiche con la Repubblica Popolare ma di recente hanno avuto qualche screzio con Xi, non hanno pi� alcun giornalista in loco. Zero.
Uno dei massimi organi d’informazione statunitensi da quindici corrispondenti � sceso a tre. Non per sua volont� ma per decisione delle autorit� locali, che hanno negato visti o in certi casi hanno espulso i corrispondenti. Spesso la pandemia � stata usata come un pretesto per accelerare e rendere pi� drastico questo lavoro di decimazione spietata della stampa estera. Di recente alla nuova capa dell’ufficio di corrispondenza di una grande televisione occidentale � stato concesso un visto di soli sei mesi e della categoria �non residenti�, che non le consente neppure di aprire un conto bancario. Quest’ultimo dettaglio, visto come funzionano oggi tutti i sistemi di pagamento e quindi l’inutilit� delle carte di credito straniere (come ho gi� raccontato sul Corriere), equivale a negarle l’accesso.
I cambiamenti recenti
Prima di addentrarmi in tutti i dettagli rivelati dai miei colleghi, aggiungo un’altra premessa per situare il contesto storico. Io fui corrispondente a Pechino – allora per La Repubblica – dal 2004 al 2009. Era una sorta di �et� dell’oro�, per diverse ragioni. Il boom economico era ai massimi, con tassi di crescita del Pil del 10 per cento annuo.
La censura era gi� attiva e onnipresente (per esempio, se cercavo notizie sul Dalai Lama la sua biografia su Wikipedia era oscurata mentre avevo accesso solo a notizie ufficiali che lo descrivevano come un terrorista), e io fui fermato dalla polizia due volte, quando mi ero introdotto in Tibet nel 2008 e nello Xinjiang nel 2009 durante rivolte etniche. Per� le sanzioni furono abbastanza lievi, venni ricacciato a Pechino, non mi fu tolto il visto.
Allora almeno noi giornalisti occidentali godevamo di margini di libert� e di tolleranza superiori a quelli attuali.
All’epoca era presidente il grigio e incolore Hu Jintao, premier era Wen Jiabao, c’era una direzione collegiale, noiosa ma un po’ meno autoritaria rispetto all’accentramento e al culto della personalit� di Xi. Vivevamo – non solo noi giornalisti, l’intera classe dirigente occidentale – nella speranza o nell’illusione che quella Cina volesse diventare un po’ pi� simile a noi, che l’effetto combinato dell’interdipendenza economica e di Internet l’avrebbe resa un po’ pi� democratica. Di sicuro sottovalutavamo problemi interni come la corruzione e le diseguaglianze, che hanno favorito l’ascesa al potere di Xi e il suo ritorno a ricette pi� dirigiste. La crisi del 2008 a Wall Street ha fatto il resto, perch� i dirigenti comunisti hanno �gettato la maschera� e hanno cominciato ad affermare esplicitamente la superiorit� del proprio sistema sul nostro.
Un altro cambiamento era cominciato a spuntare nel 2008 che era anche l’anno delle Olimpiadi di Pechino, e me lo ricorda uno dei colleghi che incontro a Pechino: le contestazioni che accolsero il passaggio della fiaccola olimpica in alcune capitali occidentali scatenarono una reazione furibonda in Cina. Il nazionalismo acceso un� le autorit� e fasce di popolazione. Quelle proteste contro la fiaccola – condotte da noi in nome dei diritti umani – furono respinte con la convinzione rabbiosa che �l’Occidente ci � ostile, vuole rovinarci una festa, non vuole ammettere che la Cina � diventata una grande potenza�. La controreazione sciovinista alle manifestazioni occidentali, era un segnale premonitore dell’ascesa di Xi, che dell’ipernazionalismo ha fatto un ingrediente della propria fortuna.
�La nostra vita da sorvegliati permanenti�
Torno all’oggi, ed eccovi qui sotto alcune osservazioni dei miei colleghi, raccolte durante la mia lunga intervista collettiva. Ribadisco, pu� sembrarvi autoreferenziale che un giornalista faccia parlare altri giornalisti, ma sono convinto che la situazione attuale dei media in Cina sia un problema serio per noi. Paradossalmente pu� contribuire a renderci anti-cinesi, a influenzare la nostra informazione sulla Repubblica Popolare con un sistematico pregiudizio negativo, proprio perch� in mancanza di fonti locali finiamo per ascoltare chi sta fuori dalla Cina e magari pu� avere un interesse ad alimentare un clima da guerra fredda.
Corrispondente A: �Rispetto alla situazione in cui lavoravamo cinque o dieci anni fa, adesso siamo molestati continuamente. L’atteggiamento delle autorit� verso di noi � diventato sempre pi� ostile. Tra i cittadini comuni � un po’ diverso. Alcuni di loro mi dicono: il vostro lavoro � importante, fate qualcosa che i nostri giornalisti locali ormai sono impossibilitati a fare. Inoltre la pandemia ha intaccato la credibilit� di Xi. La sua reputazione di competenza ha ricevuto un colpo, la fiducia nel governo � diminuita�.
Corrispondente B: �La sorveglianza digitale ora � costante, su tutto quello che facciamo. Se in questo modo riescono a farmi sentire in uno stato di insicurezza, figuriamoci l’effetto su un giornalista cinese. Dopo il Covid ci eravamo illusi di ritornare alla normalit�. Invece no. La nuova normalit� � la vigilanza totale instaurata durante la pandemia. Qualsiasi cosa tu faccia online � automaticamente associata al tuo numero di cellulare e quindi alla tua identit� digitale. Questo non esisteva nella Cina pre-Covid. Noi stranieri, e qualche cinese, usiamo dei VPN per aggirare la censura e una parte del controllo. Per� poi siamo costretti a usare un’app locale come Weixin-WeChat per comunicare con la maggioranza dei cinesi, e per tutte le transazioni quotidiane, quindi ricadiamo sotto il controllo�.
Corrispondente C: �Il governo � riuscito in parte a convincere la stessa popolazione cinese che gli occidentali hanno un partito preso, un pregiudizio contro la Cina. Ogni giorno ci sentiamo ripetere dalle autorit� locali: voi dovete raccontare cos’� la vera Cina! Nella vera Cina, come la intendono loro, non esistono notizie negative�.
Corrispondente D: �La pressione pi� pesante � quella esercitata sui nostri collaboratori cinesi. Sono indispensabili, e sono pi� vulnerabili di noi. C’� molta pressione sui cinesi in generale: se parlano con noi, spesso la polizia gli dice che hanno fatto qualcosa d’illegale�.
Ma in una parte del mondo la propaganda di Xi funziona
Corrispondente E: �Lo sforzo cinese di costruirsi un soft power, un’egemonia culturale anche attraverso il controllo dell’informazione, negli ultimi anni si � spostato molto verso il Grande Sud globale. Alle conferenze stampa del ministero degli Esteri ormai l’80% dei corrispondenti stranieri sono accreditati da media dei paesi emergenti. Alcuni o molti di loro, sono pagati dai cinesi per raccontare storie positive sulla Cina. Lo si vede dal modo in cui si comportano durante le conferenze stampa: quegli appuntamenti sono diventati delle messe in scena, dei rituali in cui molti corrispondenti dei paesi emergenti si mettono in mostra per esibire la propria benevolenza�.
Questo articolo � tratto da Global, la newsletter di Federico Rampini: per riceverla basta cliccare qui
6 aprile 2024, 16:54 - modifica il 6 aprile 2024 | 16:54
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