A Roma il summit su Gaza e ostaggi: il canale del dialogo resta aperto
L’incontro tra i capi dei Servizi di Usa, Israele ed Egitto con il primo ministro del Qatar
Non ha portato ad annunci ufficiali di soluzione, ma neppure a fermare il confronto. Nella serata di ieri si poteva riassumere così la tappa romana della serie di incontri internazionali per trattare su Gaza compiuti di recente dai capi negoziatori di Stati Uniti, Israele, Egitto e Qatar con Hamas nella parte dell’interlocutore in differita. Nessuna informazione ufficiale sui 115 israeliani tuttora sequestrati degli oltre 250 ostaggi catturati il 7 ottobre scorso dagli integralisti islamici. Né la conversazione tra i direttori della Cia William Burns, del Mossad israeliano David Barnea, del Mukhabarat egiziano Abbas Kamel e il primo ministro qatariota Mohammed Al Thani ha indotto a diffondere notizie certe sulle modalità di un eventuale cessate il fuoco. L’ufficio del primo ministro Benjamin Netanyahu tuttavia ha messo al corrente che i negoziatori avranno nuovi contatti nei prossimi giorni.
Ciò ha un doppio risvolto: i canali indiretti che trasmettono fra le parti in conflitto le proposte su ostaggi e combattimenti restano aperti, ancora non significa la fine della prigionia di innocenti e dei bombardamenti sulla striscia di terra tra il Sud Ovest dello Stato ebraico e il territorio egiziano abitata da palestinesi. Gaza, la materia dell’incontro a Roma, appare ulteriormente per ora il punto di maggior incandescenza in una rete di tensioni che di fili verso Israele ne ha vari, dal Libano allo Yemen fino all’Iran dal quale molti provengono. Evidenzia lo stato delle cose un dettaglio: a rendere nota la conclusione della riunione di ieri è stata una foto scattata a Gerusalemme che riguardava i rischi dell’apertura di un’altra guerra a tutti gli effetti, quella tra Israele ed Hezbollah.
È stato il viso del capo del Mossad in un’immagine del Gabinetto di sicurezza israeliano, convocato per valutare come reagire agli attacchi della formazione integralista sciita libanese, a far capire in pubblico che l’inviato di Netanyahu era tornato indietro dall’Italia, dunque le trattative in luogo riservato non erano più in atto. Versioni non confermate hanno attribuito al premier israeliano una disponibilità ad accettare collaborazioni di forze straniere per il controllo dei passaggi tra Nord e Sud di Gaza dopo un cessate il fuoco. Conoscere i dettagli conterebbe, perché Israele in passato non ha voluto venissero affidati a forze multinazionali in territori palestinesi compiti determinanti per la propria sicurezza. Assolutamente militari israeliani, secondo la proposta di accordo di Netanyahu, dovrebbero presidiare il «Corridoio di Filadelfia», i 14 chilometri di frontiera tra Gaza e Egitto sotto i quali tramite tunnel Hamas ha ricevuto quantità di armi in grado di farla combattere da quasi 300 giorni.
Adesso il Parlamento israeliano, la Knesset, si ferma per circa tre mesi e in teoria le sue ferie possono consentire a Nethanyahu di ridurre una delle insidie per il suo mandato. Due ministri, Itamar Ben Gvir della Sicurezza e Bezahel Smotrich delle Finanze, avevano minacciato di rompere la coalizione di governo in caso di accordi su Gaza con troppe rinunce. La Knesset interrompe le sedute di aula, salvo imprevisti fino a ottobre mancherebbe la sede per una crisi parlamentare. Negli Usa per eleggere il presidente si vota il 5 novembre. Se a vincere fosse Donald Trump crescerebbero i margini di sopravvivenza politica per il premier in carica il 7 ottobre scorso, quando la ferocia di Hamas trovò Israele impreparato.