La corsa del medico e lo strazio dei corpi: «Ho sentito l’allarme poi un gran boato»
I racconti dei testimoni nel villaggio dei drusi dopo la strage nel campo da calcio
«È un disastro per noi». Ali Abu Saada racconta. Negli occhi, ancora le immagini, terribili, di quei corpi insanguinati sul campo con indosso i calzoncini e le magliette da calcio. «Quando è scattato l’allarme, mia moglie mi ha detto di non spaventare i bambini e nel giro di pochi secondi abbiamo sentito l’esplosione».
Anche il dottor Osama Halabi non lascia spazio alla speranza. «Ero a casa quando è successo. Ho sentito gli allarmi e ho ricevuto una chiamata. Ho capito che era un incidente grave. Sono corso alla clinica. Sono arrivati molti feriti. Tutte le vittime sono bambini, tutti in abiti sportivi. Avevano ferite da schegge su tutto il corpo. Ho dovuto dichiarare i decessi io stesso. Siamo riusciti a stabilizzare alcuni feriti e a mandarli in ospedale».
Gronda disperazione Majdal Shams, la «Torre del Sole», fondata da un signore della guerra druso alla fine del Cinquecento sulle alture del Golan, alle propaggini del monte Hermon. È qui che si è conficcato il missile di Hezbollah lanciato dal Libano. Dalla guerra arabo-israeliana del 1967, viene controllata da Israele, sebbene la comunità internazionale la riconosca come parte della Siria. Poi nel 1981 arriva l’ufficialità con la ratifica da parte della Knesset della legge sul Golan.
La comunità di oltre 11 mila persone prova a vivere in equilibrio. Tra Israele, la Siria e il Libano. È città di drusi Majdal Shams. Apolidi fin dalle origini, seguaci di un culto esoterico che mescola elementi dell’Islam, dell’ebraismo, del cristianesimo e dell’induismo (credono nella trasmigrazione delle anime e nella reincarnazione), — a differenza di altri popoli senza patria — non hanno mai avuto aspirazioni nazionalistiche. Poco più di un milione e mezzo di persone, perseguitati nel corso della storia perché eretici, dispersi ai quattro angoli del Medio Oriente, vivono una crisi di identità soprattutto in Israele. Perché sono i legami con la Siria il marchio di fabbrica di Majdal Shams. Durante gli anni ‘70, e spesso anche dopo, molte famiglie si rifiutano di pagare le tasse allo Stato di Israele. Durante gli anni ‘90, molti iniziano a ricevere il permesso di attraversare la linea del cessate il fuoco per condurre pellegrinaggi religiosi o frequentare l’università in Siria. Comprese le donne, che passano la linea per sposare uomini siriani, come racconta il film la Sposa siriana, storia di una giovane che convola a nozze combinate con un cugino siriano conosciuto solo per via epistolare.
Dal 2011 a Majdal Shams scendono in piazza a favore di Bashar al-Assad, considerato l’unico possibile difensore delle minoranze. All’epoca, i drusi si sentono nel mirino dell’Isis che ha preso il controllo del nord siriano e hanno paura di subire abusi e torture come gli yazidi. Ma poi, mentre la rivoluzione si trasforma in guerra civile e religiosa, anche il sostegno per il presidente di Damasco si affievolisce. Contemporaneamente cedere e chiedere la cittadinanza a Israele è difficile per un druso anche se qualcuno lo fa, sebbene si parli di una minoranza che non supera il 10 per cento. Nel 2022, solo circa il 20 percento della popolazione drusa delle alture del Golan è composta da cittadini israeliani, ma il numero cresce rapidamente. I rapporti con Tel Aviv e Gerusalemme però non sono tesi, o almeno non a tal punto da far pensare a rivolte. Non a caso ieri, dopo l’attacco, il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu dagli Stati Uniti si è affrettato a porgere le condoglianze al leader spirituale della comunità drusa, lo sceicco Muafak Tarif.
A Majdal Shams, epicentro del conflitto in queste ore, però c’è anche chi si infuria e attacca: «I bambini sono venuti per giocare e per divertirsi. Questa esplosione li ha fatti a pezzi. Dov’è lo Stato di Israele in tutto questo? Dove sei tu, Bibi Netanyahu? Invece di essere negli Stati Uniti a festeggiare il compleanno di tuo figlio a Miami mentre i nostri figli sono in prima linea a Gaza e altrove, questo solleva molte domande».