Quella lettera per JoeIl cielo sopra TaiwanAmerica-Cina del 21 marzo

America-Cina Il Punto | La newsletter del Corriere della Sera
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Giovedì 21 marzo 2024
Una lettera per Joe
editorialista di federico thoman

Sessantasette firme in una missiva inviata al presidente americano, Joe Biden, per chiedergli un netto cambio nella sua politica verso Israele se lo Stato ebraico continuerà la sua operazione militare a Gaza e non affronterà la grave carestia nella Striscia. Se in passato simili iniziative erano state anonime, questa volta 67 ex funzionari di alto rango ci hanno messo nome e cognome. E alcuni nomi, ci racconta la nostra corrispondente da New York Viviana Mazza, sono pesanti: l’ex consigliere per la sicurezza nazionale Anthony Lake e l’ex numero uno dell’antiterrorismo Richard Clarke. Ma come sta andando la guerra tra Israele e Hamas? Quali sono gli scenari per il controllo della Striscia nel post? Ce lo spiega il nostro inviato a Gerusalemme, Andrea Nicastro, passando in rassegna le principali ipotesi sul tavolo, da quella che prevede un ruolo centrale per la storica e indebolita Autorità palestinese a quella di un «mandato arabo» con Paesi dell’area incaricati di ricostruire e amministrare il territorio.

Il nostro viaggio di oggi ci porta anche a dire addio a uno degli ultimi reduci di Pearl Harbor: Richard «Dick» Higgins se ne è andato a 102 anni e nella notte dell’attacco a sorpresa giapponese, che fece entrare in guerra gli Stati Uniti nel dicembre del 1941, si salvò per miracolo. Sempre negli Usa andiamo in California dove due persone hanno denunciato la casa d’alta moda francese Hermès perché, a loro dire, attua pratiche commerciali scorrette per chi vuole comprare la loro borsa più famosa, la celeberrima Birkin.

Buona lettura!

La newsletter America-Cina è uno dei tre appuntamenti de «Il Punto» del Corriere della Sera. Potete registrarvi qui e scriverci all’indirizzo: americacina@corriere.it.

1. «Presidente Biden, basta attacchi a Gaza o stop aiuti a Israele»
editorialista
di viviana mazza
corrispondente a New York

Sessantasette ex funzionari della sicurezza nazionale ed ex diplomatici hanno reso pubblica nella notte di mercoledì una lettera, visionata dal Corriere , diretta al presidente Biden e in copia ai segretari di Stato Blinken e della Difesa Austin , alla responsabile dell’agenzia per lo sviluppo Usaid Samantha Power e al consigliere per la sicurezza nazionale Jake Sullivan. A differenza di numerose lettere anonime, in questo caso i firmatari indicano nome, cognome e ruolo nelle passate amministrazioni Usa. La lettera invita Biden a prendere misure concrete più dure per promuovere l’accesso umanitario e la protezione dei civili a Gaza, suggerendo di rendere chiaro al governo israeliano che pratiche che «riducono i palestinesi a individui di seconda classe», «espandono le colonie nei territori occupati» o «negano ai palestinesi cibo, acqua e altre necessità basilari» riceveranno come risposta «conseguenze serie, incluse restrizioni di aiuti a Israele, nel rispetto della legge e delle norme americane»

imageJoe Biden scende dall’Air Force One dopo ieri a Dallas, in Texas (Ap)

La lettera non solo condanna l’attacco di Hamas del 7 ottobre, ma, pur affermando che una risposta militare era giustificata, contesta le modalità «indiscriminate» con cui Israele ha risposto a Gaza. Tra i firmatari l’ex consigliere della sicurezza nazionale Anthony Lake, l’ex inviato speciale per i negoziati di pace tra Perù ed Ecuador ed ex ambasciatore all’Organizzazione degli Stati americani Luigi Einaudi, l’ex zar dell’antiterrorismo Richard Clarke, l’ex amministratore di Usaid J. Brian Atwood, l’ex ambasciatrice Usa Nancy Ely-Raphel e decine di altri funzionari militari, diplomatici, politici. (leggi l’articolo completo sul sito del Corriere).

2. Che ne sarà della Striscia dopo la guerra?
editorialista
di andrea nicastro
inviato a Gerusalemme

Adesso si discute sulle priorità. Prima eliminare Hamas o dar da mangiare ai palestinesi? Liberare gli ostaggi o fermare i bombardamenti? Votare in Israele o continuare con il governo Netanyahu? Ma presto o tardi bisognerà anche decidere il futuro: cosa succederà quando la più lunga guerra della storia d’Israele scatenata dal raid del 7 ottobre sarà finita? Chi governerà Gaza? E il resto dei Territori Palestinesi occupati? In Israele prevarrà il modello di Stato laico o quello etnico-religioso? Si arriverà ai due Stati due popoli immaginati ad Oslo?

imageMezzi militari israeliani al confine con la Striscia di Gaza (Ap)

Ci sono alcuni punti fermi. Il primo sottolineato da Israele è che «Gaza non dovrà mai più essere governata da chi cerca di uccidere israeliani». Il secondo reclamato da Hamas: «I palestinesi hanno diritto alla terra e all’autogoverno». Conciliare le due posizioni sarebbe la chiave di una pace duratura (leggi qui gli scenari delineati dal nostro inviato a Gerusalemme).

3. «Da voi in Italia c’è chi vuole inviare soldati in Ucraina»
editorialista
di lorenzo cremonesi
inviato a Kiev

«Ma quali elezioni russe? E come si può dire che Putin sia un leader popolare giudicando attraverso la lente di questo voto falso?», sostiene Oleksiy Danilov, 62 anni, noto consigliere del presidente Zelensky e responsabile del Consiglio Nazionale per la Difesa ucraino, che ci ha ricevuto per quasi un’ora e mezza ieri nel suo ufficio.

Non è stata un’acclamazione?

«È facile vincere le elezioni in un campo di concentramento. Ricordiamo assieme ciò che accadde ai tempi di Hitler e Mussolini. L’Europa ora deve stare in guardia, occorre vigilare specie sugli estremisti di destra e sinistra innamorati del regime di Mosca. Putin davvero sta diventando il prossimo Hitler e può trovare emuli, occorre capirlo, nella dittatura è facile manipolare le opinioni pubbliche. Il pericolo non va affatto sottovalutato: la propaganda russa lavora a tempo pieno con i suoi apparati e sappiamo che anche in Italia i loro agenti sono molto attivi».

imageOleksiy Danilov, capo del Consiglio nazionale per la difesa dell’Ucraina (foto di Lorenzo Cremonesi)

Cosa rispondere a chi afferma che adesso Putin è più democratico di Zelensky, visto che quest’ultimo ha rinviato le elezioni?

«Sì, questo è uno degli slogan della dittatura. Ma un Paese democratico in guerra non può organizzare le elezioni, se spera che si svolgano nel rispetto delle regole. Ogni giorno i nostri civili e soldati muoiono o restano feriti anche per difendere i vostri Paesi. Solo uno Stato totalitario e gli ignoranti della democrazia non possono comprendere i motivi del nostro rinvio del voto. Da molti anni ormai la Russia non tiene elezioni regolari. In ogni caso, da loro i risultati sono totalmente manipolati, compreso il tasso di partecipazione. E Putin ha fatto eliminare i concorrenti come Navalny» (leggi qui tutta l’intervista fatta dal nostro inviato a Kiev).

4. TACCUINO | Sicurezza in Pakistan, Mar Rosso e Danimarca
editorialista
di GUIDO OLIMPIO

Pakistan. Un commando di separatisti baluchi si è infiltrato nel complesso porto di Gwadar, segnalate diverse vittime. Perché l’episodio è da seguire: 1) Il complesso logistico coinvolge la Cina, già presa di mira dai ribelli perché accusata di sfruttare le risorse economiche. 2) I guerriglieri rappresentano una minaccia costante.
Mar Rosso. Una notizia da confermare: gli Usa avrebbero schierato sistemi antiaerei a Socotra, isola yemenita che ospita una base degli Emirati. La ricca monarchia del Golfo appoggia una delle componenti nazionali e svolge un proprio ruolo di influenza in concorrenza con i sauditi. L’arrivo — eventuale — di batterie americane è legato al contrasto delle incursioni degli Houthi e l’isola ha una posizione strategica formidabile.

imageUn guerrigliero Houthi porta sulle spalle un bimbo con un’arma finta (Epa)

Danimarca. Cresce l’allarme terrorismo, siamo al livello 4 su una scala che va da 1 a 5. Motivo: le tensioni legate alla crisi a Gaza, un fermento negli ambienti che simpatizzano per i jihadisti, le polemiche per le copie bruciate del Corano. Una miscela esplosiva confermata negli scorsi mesi da alcuni arresti.

5. Il doppio colpo, rischioso, della presidente moldava
editorialista
di francesco battistini

La presidente moldava Maia Sandu ama ripetere un proverbio: vorba buna mult aduce, una buona parola porta molti risultati. La paroletta buona, per lei, sarà il «sì» che quasi due milioni di moldavi dovranno pronunciare col futuro referendum sull’adesione all’Ue. Un risultato che sembra già scritto: «Il sì all’Europa sarà scolpito nella Costituzione — prevede Maia, economista cresciuta alla Banca mondiale — e confermerà il nostro futuro per decenni. A qualsiasi governo, sarà vietato cambiare la nostra linea politica. Perché dalla cultura agli imprenditori, tutti in Moldavia si vedono già in Europa. E ci chiedono di fare il più presto possibile».

imageMaia Sandu lo scorso 18 marzo durante una conferenza stampa a Chisinau, capitale moldava (Epa)

Piccola e operosa, l’ape Maia ha fretta d’entrare nell’alveare europeo, prima che dalla guerra in Ucraina giunga pure qui la zampata dell’orso russo. La tana di Putin è appena al di là del confine, in Transnistria: da trent’anni, i soldati del Cremlino sono di stanza in una strisciolina d’Europa che è poco più grande e molto meno popolata di Gaza. E in quella fantasmatica e autoproclamata repubblica di stile sovietico, la Russia sta recitando la stessa messinscena vista in Abkhazia, in Ossezia o nel Donbass: mezzo milione di russofoni che paventano il genocidio, s’oppongono al governo «fascista» di Chisinau, temono di trovarsi l’Ue (e la Nato) alle porte. E naturalmente, invocano l’aiuto di Mosca (a questo il link trovi il commento integrale).

6. Trenta jet cinesi intorno a Taiwan
editorialista
di guido santevecchi

La Difesa di Taiwan ha rilevato sui suoi radar un’impennata di attività cinese: nelle ultime ventiquattro ore l’Esercito popolare di liberazione ha impiegato 32 aerei e 5 navi intorno all’isola. È stato il giorno di maggior pressione militare da parte di Pechino dall’inizio dell’anno: una ventina di apparecchi sono entrati nella Adiz (Air defence identification zone), lo spazio aereo intorno alla costa dove i taiwanesi osservano procedure di massima sicurezza. La Cina non lo riconosce, visto che considera Taiwan parte del proprio territorio, ma per decenni lo ha rispettato di fatto: solo negli ultimi due anni il comando cinese ha dato ordine ai suoi piloti di addentrarsi nella Adiz. La Difesa di Taipei ha risposto facendo decollare alcuni suoi caccia e allertando le postazioni missilistiche terra-aria. Routine quasi quotidiana ormai. Ma sicuramente Xi Jinping e il suo Politburo stanno preparando qualche mossa più decisa a breve. Manca un mese all’insediamento del nuovo presidente taiwanese William Lai Ching-te. Ha vinto le elezioni di gennaio nonostante le minacce di Pechino che lo accusa di essere «un separatista distruttore della pace». Il suo discorso inaugurale del 20 maggio potrebbe segnare la fine della sorta di tregua seguita dai cinesi dopo il voto.

imageLa presidente Tsai Ing-wen durante una visita a una base aerea taiwanese (Reuters)

William Lai sa bene di dover parlare con estrema cautela per non dare a Pechino il pretesto per una reazione. In campagna elettorale ha affermato che «non è necessario dichiarare l’indipendenza, perché Taiwan è di fatto un Paese sovrano e indipendente». Un ragionamento pragmatico che di fatto invoca il mantenimento dello status quo. Ma forse il presidente farebbe meglio a evitare ogni riferimento alla questione (anche da Washington gli è stata consigliata prudenza nella fermezza di fronte alle minacce cinese).

E prudenza ha consigliato l’intelligence alla presidente Tsai Ing-wen per queste ultime settimane del suo mandato. La signora Tsai sta meditando su una visita a Itu Aba (un’isoletta delle Spratly controllata dal governo taiwanese che la chiama Taiping). Il viaggio è stato invocato in Parlamento sia da rappresenti governativi sia dall’opposizione, per riaffermare la sovranità taiwanese su quel piccolo lembo di terra lontano, nel Mar cinese meridionale. I due predecessori di Tsai ci andarono, prima di lasciare la presidenza. Le Spratly sono rivendicate da Pechino (con l’80% del Mar cinese meridionale) e il direttore del National Security Bureau di Taipei dice che «la presenza di forze militari di diverse nazionalità in quell’area del possono rendere il viaggio sconsigliabile». Il funzionario ha osservato che Taiping-Itu Aba dista 1.600 chilometri da Taipei e «bisogna valutare se il suo aereo potrebbe volare in piena sicurezza». Il direttore della Sicurezza pensa al rischio di incontri troppo ravvicinati con caccia cinesi.

7. FOTO | L’inferno di Haiti

(Clara Valenzani) Port-au-Prince, capitale di Haiti: una donna scappa da una sparatoria in corso tenendo in braccio un bimbo o una bimba. Dall’inizio del mese il Paese è nel caos e in mano alle bande locali armate capitanate da Jimmy Chérizier, detto «Barbecue»: sono riuscite ad ottenere le dimissioni del primo ministro Ariel Henry. L’escalation di violenza è cominciata con un’evasione di massa dalle carceri, a cui sono seguiti il blocco dei voli, la carenza dei medicinali con conseguente appello dell’Onu e la guerriglia in strada. Dopo aver evacuato il personale non necessario dall’ambasciata Usa, da domenica sono stati organizzati degli elicotteri per portare fuori dallo Stato caraibico i cittadini americani: 30 hanno già lasciato l’isola; il governo della Florida sta lavorando a un’operazione per evacuarne altri 300. «Monitoreremo in tempo reale le richieste di assistenza per partire, speriamo che le condizioni consentiranno una rapida ripresa dei voli commerciali. Insieme alla comunità internazionale e alle autorità locali ci stiamo adoperando al massimo», ha dichiarato il dipartimento di Stato Usa.

imageUna scena di violenza quotidiana a Port-su-Prince, capitale di Haiti in mano alle bande (Afp)

8. Il boss che irride Macron: «Marsiglia è nostra»
editorialista
di stefano montefiori
corrispondente da Parigi

Dopo 49 morti e 123 feriti connessi al traffico della droga nel 2023, Emmanuel Macron ha compiuto martedì una visita sorpresa a Marsiglia per dare il sostegno più forte possibile all’«Operazione Piazza Pulita XXL», cominciata il giorno prima. Il presidente vuole «rendere la vita impossibile agli spacciatori» e quindi ha dispiegato 4.000 agenti supplementari e 22 giudici di rinforzo per processare in tempi brevissimi gli arrestati. Nel primo giorno dell’operazione, che durerà molte settimane, la polizia è entrata in forze in alcuni quartieri sensibili come la Castellane, e in tutta la città ha effettuato 98 arresti. Macron ha camminato tra i marsigliesi spiegando loro che «vogliamo distruggere le reti di trafficanti e cacciare quelli che vi rendono la vita impossibile».

imageUn selfie di Macron con una donna durante la sua visita a Marsiglia di martedì scorso (Afp)

Ma il giorno dopo, la Castellane è tornata alla vita di sempre o quasi, con i ragazzini appostati che gridano akha (attenzione) per avvisare i dealer quando i poliziotti stanno arrivando, e un foglio apparso vicino all’ascensore di un palazzo: «A tutti quelli che informano, ospitano o collaborano con la polizia: lo verremo a sapere, vi troveremo e nessuno potrà fare qualcosa per voi. Conoscete le regole». Un altro avviso, rivolto stavolta all’amabile clientela, al «coffee della tour» (un punto di spaccio) della Castellane: «Siamo spiacenti per la situazione fastidiosa di oggi, la polizia è rimasta molto a lungo, il coffee vi accoglierà domani a partire dalle 10». (...) Un pezzo grosso dello spaccio marsigliese ha sfidato Macron chiamando dal carcere la radio pubblica France Info , con un telefonino in teoria vietato, per dare il suo parere sulla «Operazione Piazza Pulita XXL»: «Con gli altri detenuti ci siamo fatti una bella risata. Il traffico si gestisce da qui, in prigione, non avete idea della quantità di soldi in ballo. Con i poliziotti schierati ci sarà solo più sangue, perché nessuno rinuncerà alla sua ricchezza» (leggi tutto il racconto sul nostro sito).

9. Si è dimesso un altro presidente vietnamita
editorialista
di paolo salom
da Hanoi

Il Vietnam cresce economicamente, è deciso a diventare la nuova tigre del Sud-Est asiatico. Ma con la nuova ricchezza creata negli anni dal Doi Moi, le riforme introdotte per uscire dal socialismo reale, sono arrivati i guai: soprattutto la corruzione. Il Comitato centrale del Partito comunista del Vietnam ha accolto ieri pomeriggio le dimissioni di Vo Van Thuong, sollevandolo dalle sue funzioni di membro del Politburo, di presidente del Vietnam e presidente del Consiglio di difesa e sicurezza nazionale. Un comunicato del Comitato centrale precisa che Thuong ha violato in particolare le norme del Partito sulla responsabilità dei funzionari di dare l’esempio. In soldoni, la voce che gira a Hanoi di bocca in bocca è che Thuong avrebbe percepito grandi somme di denaro per facilitare le operazioni di società alla ricerca di concessioni redditizie, in particolare di lottizzazioni capaci di garantire buoni ritorni commerciali in giro per il Paese.

imageL’ormai ex presidente vietnamita Vo Van Thuong lo scorso ottobre in visita a Pechino (Afp)

Il presidente, 53 anni, era in carica da marzo 2023 e il suo mandato sarebbe dovuto durare cinque anni. Il Vietnam vive un profondo sconvolgimento politico, con il predecessore di Thuong estromesso anche lui in una campagna anticorruzione che ha visto il licenziamento di diversi ministri e leader aziendali di spicco sotto processo per frode e corruzione. «Le violazioni e le mancanze del compagno Thuong sono state disapprovate dall’opinione pubblica, colpendo la reputazione del Partito, dello Stato e della sua stessa persona», ha riferito l’agenzia ufficiale Vna. Come presidente ad interim è stata nominata la vicepresidente di Thuong, Vo Thi Anh Xuan, una delle poche donne ai vertici della politica vietnamita. È la seconda volta in poco più di un anno che Xuan assume temporaneamente il ruolo.

10. Addio a «Dick» Higgins, uno degli ultimi reduci di Pearl Harbor
editorialista
di SAMUELE FINETTI

Quel giorno, il «giorno che vivrà nell’infamia» come lo definì all’epoca Franklin Delano Roosevelt, Richard «Dick» Higgins era alle Hawaii. Era piena notte, quella tra il 6 e il 7 dicembre del 1941, e lui dormiva nella sua cuccetta nella base navale statunitense sull’isola di O’ahu quando fu svegliato dalle esplosioni e dal rombo degli aerei giapponesi che attaccavano Pearl Harbor. Morirono 2.400 soldati americani, Higgins si salvò per miracolo. Vide un caccia nipponico volargli sopra la testa, una trentina di metri sopra la caserma dove si trovava. Lo riconobbe, raccontò in un’intervista del 2008, dalle «polpette rosse» dipinte sulla fusoliera, ovvero il sole rosso della bandiera dell’impero del Sol Levante: «Non ebbi dubbi, compresi subito che cosa stava accadendo». Scampato alla morte quel giorno, ha vissuto una lunga vita piena di soddisfazioni che si è spenta due giorni fa, a 102 anni.

imageRichard «Dick» Higgins se n’è andato all’età di 102 anni. Nel 1941, a Pearl Harbour, ne aveva 20 (Ap)

Nato in una fattoria dell’Oklahoma nel 1921, si arruolò nei Marines nel 1939 e per vent’anni ne indossò l’uniforme. A Pearl Harbor era un tecnico radio assegnato a uno squadrone aereo che pattugliava l’arcipelago. Finita la carriera militare, fu assunto come ingegnere aeronautico alla Northrop Corporation, poi diventata Northrop Grumann, dove lavorò allo sviluppo del bombardiere stealth B-2 Spirit. Al suo fianco, per sessant’anni, la moglie Winnie Ruth, scomparsa nel 2004. Una volta in pensione si è trasferito a Bend, Oregon, e ha dedicato molte ore ai giovani: amava andare nelle scuole e raccontare la sua vita, gli anni della Grande Depressione e quelli della Seconda guerra mondiale: «Voleva insegnare qualcosa nella speranza che quelle tragedie non si ripetessero. E non l’ha mai fatto per sé: credeva che gli eroi fossero i ragazzi che non sono mai tornati a casa», ha spiegato all’Associated Press sua nipote, Angela Norton. Quel giorno di dicembre morirono 2.400 soldati, a O’hau erano 87 mila. Ora che Higgins se n’è andato, ne restano 22.

11. Denuncia in California contro Hermès: «Impossibile comprare una Birkin»

(Clara Valenzani) Lunghissime liste di attesa, fidelizzazione presso una boutique monomarca, un ricco storico di acquisti: la strada per comprare una Birkin, iconica borsa della maison francese Hermès, è sempre stata accidentata. Una pratica commerciale scorretta, secondo due clienti californiani che hanno proposto una class-action, ovvero un’azione legale collettiva, contro il famoso marchio: è ingiusto che l’acquisto di un prodotto sia vincolato a precedenti, e numerosi, acquisti di altri articoli targati Hermès.

imageUna Birkin di Hermès. Prezzo di partenza, per i fortunati che riescono a comprarla, 8.000 euro (Ap)

La segnalazione, riportata dal Guardian, è stata sporta martedì presso il tribunale di San Francisco, accusa la casa di moda di rendere la borsa inaccessibile. Il dover avere un «sufficiente storico di acquisti» non è legale, così come il fatto che una Birkin non solo non possa essere acquistata on-line, ma neanche esposta fisicamente sugli scaffali dei negozi: «Solo i consumatori che sono considerati degni di possedere una Birkin avranno diritto ad un appuntamento per visionarla in una stanza privata» (leggi qui l’articolo completo).

12. L’Australia ha un problema con i troppi studenti stranieri

(Clara Valenzani) Se la Corea del Sud cerca di attrarre con (per ora) poco successo i nomadi digitali, l’Australia deve invece limitare l’ingresso degli studenti stranieri: il fenomeno, che ha raggiunto un nuovo picco, sta causando un ulteriore incremento del costo degli affitti. Il governo del Paese ha quindi deciso di rinforzare le norme di accesso: a partire da sabato 23 marzo sarà richiesta una migliore conoscenza dell’inglese, e gli alunni internazionali che non rispettano le regole rischieranno la sospensione del percorso formativo. «Queste azioni verranno messe in atto per far scendere i numeri relativi all’immigrazione e risanare un sistema fallato che abbiamo ereditato. Le misure introdotte in precedenza, da settembre, stanno già funzionando: abbiamo avuto un calo del 35% nella concessione dei visti rispetto all’anno passato», ha dichiarato il ministro degli Interni Clara O’Neil.

imageIl campus dell’Università di Sidney (foto dal sito dell’ateneo)

L’Australia è sempre stata una meta molto gettonata, soprattutto per chi proviene da Paesi relativamente vicini come India, Cina e Filippine: proprio nel 2022, per favorire la ripresa economica a seguito dello stop dovuto alla pandemia, l’allora governo aveva favorito gli ingressi e si era avuto un altro picco migratorio. Da gennaio a settembre 2023, l’immigrazione è cresciuta del 60%, causando un aumento complessivo della popolazione australiana del 2,5%: secondo l’Istituto di Statistica Australiano, il ritmo più veloce di sempre.

Grazie per averci letto anche oggi, ci scusiamo per il ritardo nell’invio causato da problemi informatici. America-Cina torna domani!


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