DAL NOSTRO INVIATO
GERUSALEMME — Adesso si discute sulle priorit�. Prima eliminare Hamas o dar da mangiare ai palestinesi? Liberare gli ostaggi o fermare i bombardamenti? Votare in Israele o continuare con il governo Netanyahu? Ma presto o tardi bisogner� anche decidere il futuro: cosa succeder� quando la pi� lunga guerra della storia d’Israele scatenata dal raid del 7 ottobre sar� finita?
Chi governerà Gaza dopo la guerra? Le tre ipotesi in campo, dal «mandato arabo» ai ricchi clan locali
Quando la pi� lunga guerra della storia di Israele sar� terminata, chi controller� la Striscia? Da quella pi� �naturale� (che affiderebbe il potere all’Autorit� Palestinese) a quella pi� recente (che punta a fare di Gaza una Dubai sul Mediterraneo), ecco le soluzioni di cui si discute

Chi governer� Gaza? E il resto dei Territori Palestinesi occupati? In Israele prevarr� il modello di Stato laico o quello etnico-religioso? Si arriver� ai due Stati due popoli immaginati ad Oslo?
Ci sono alcuni punti fermi. Il primo sottolineato da Israele � che �Gaza non dovr� mai pi� essere governata da chi cerca di uccidere israeliani�. Il secondo reclamato da Hamas: �I palestinesi hanno diritto alla terra e all’autogoverno�. Conciliare le due posizioni sarebbe la chiave di una pace duratura.
La prima soluzione: potere all’Autorit� Palestinese
� l’ipotesi per il dopo-guerra pi� ovvia, la prima proposta dagli americani, nell’ambito della soluzione due popoli-due Stati appoggiata da tutti gli europei, Italia compresa. Una volta sradicata Hamas, la Striscia dovrebbe tornare sotto il controllo amministrativo dell’Autorit� Palestinese riconosciuta internazionalmente e diretta dall’ottuagenario Abu Mazen. Gli americani hanno spinto a lungo questa ipotesi e non ci hanno ancora davvero rinunciato. Il ministro della Difesa israeliano non l’ha del tutto scartata, forse pi� per diplomazia che per convinzione.
Netanyahu � stato netto: non se ne parla proprio. Il suo timore � che il nuovo Stato palestinese non assomigli alla docile Cisgiordania, ma a una grande e riottosa Gaza. Cio� che uno Stato palestinese unificato diventi un Hamastan, un covo di integralisti votati alla distruzione dello Stato ebraico.
Eppure la nomina di settimana scorsa del nuovo premier palestinese Mohammed Mustafa va ancora nella direzione della soluzione �classica� due popoli-due Stati. Fonti diplomatiche spiegano che la scelta sia avvenuta su pressioni di Washington.
Mustafa � ben conosciuto in America, � il gestore del fondo d’investimento palestinese, un fedelissimo di Abu Mazen, la sua presenza garantisce quella �Autorit� Nazionale Palestinese riformata e rigenerata� che sognano gli americani e gli europei sin da ottobre. Mustafa continuerebbe la collaborazione tra Autorit� Palestinese e Israele con la benedizione Usa. L’esatto contrario di quel che vorrebbe Hamas che infatti non ha riconosciuto la nomina.
Il principale problema di questa ipotesi � che l’Autorit� palestinese non ha pi� alcuna autorevolezza presso i palestinesi, sia in Cisgiordania sia a Gaza. Viene percepita come inefficiente e corrotta, per di pi� funzionale al controllo israeliano e non all’indipendenza palestinese.
La seconda soluzione: potere ai ricchi gazawi
La Striscia di Gaza era anche prima dell’invasione israeliana un luogo poverissimo con per� enormi disparit� economiche. Come sempre nelle aree instabili dove comandano le armi, ci sono clan familiari potentissimi e altri che faticano ad arrivare a sera. Molte �trib�� si sono sempre barcamenate tra Israele ed Hamas senza prendere posizione. Altre sono passate pi� volte da un partito palestinese all’altro. Oggi una delle famiglie pi� importanti, i Sinwar, esprime il capo di Hamas, ma molte altre come i Dughmush, i Radwan, gli al-Masri e gli Hilles, sono alla finestra.
Il dialogo tra loro e gli israeliani continua nonostante i bombardamenti che hanno distrutto la maggioranza degli edifici e quindi parte della loro ricchezza. La dimostrazione viene dal fatto che dei pochissimi camion di aiuti umanitari autorizzati da Tel Aviv ad entrare a Gaza, alcuni sono di importatori privati. I clan appunto.
Neppure la guerra diminuisce la distanza tra i clan d’affari e il resto dei gazawi. Attorno a dicembre, il governo israeliano ha cominciato a contrapporre alla proposta americana di un dopo guerra affidato all’Autorit� nazionale Palestinese un dopo-guerra affidato all’amministrazione di clan gazawi compiacenti. In questa ipotesi la sicurezza rimarrebbe ai soldati israeliani, mentre l’amministrazione civile sarebbe passata ai capi clan. Anche in Israele questa ipotesi lascia perplessi perch� significherebbe prolungare una costosa occupazione militare che gi� nel 2005 l’allora premier Ariel Sharon decise unilateralmente di interrompere.
La terza soluzione: il �mandato arabo�
In genere, una delle chiavi per la pace � che tutti gli attori attorno all’area dei combattimenti abbiano interesse a vedere la fine dei combattimenti. In questo senso lavora la proposta di un Mandato arabo per il dopo-guerra a Gaza.
L’idea ha un fastidioso sapore coloniale. Il �Mandato� era il cappello legale offerto dalla Societ� delle Nazioni (antenata dell’Onu) per giustificare il potere dei Paesi occidentali sui resti dell’Impero Ottomano. Nonostante ci�, incontra buoni consensi tra chi lo propone anche se meno su chi dovrebbe realizzarlo. Bret Stephens, un editorialista del New York Times, l’ha riproposta ieri.
L’idea coloniale sarebbe aggiornata ai tempi moderni usando il veicolo di un International Trust per l’aiuto e la ricostruzione di Gaza. Chi mette i soldi nella ricostruzione acquisirebbe anche il diritto di controllarne l’esecuzione e quindi, indirettamente, governerebbe Gaza. I donatori-amministratori dovrebbero essere i Paesi arabi, in particolare quelli finanziariamente solidi come Arabia Saudita, Qatar, Emirati.
Ci potrebbe essere un contingente militare multi-arabo, ma gli esecutori sarebbero in gran parte i clan gazawi con gli stessi vantaggi e svantaggi dell’ipotesi esposta nel punto precedente.
Anche Israele avrebbe la sua parte di doveri e diritti: doveri in termini economici e diritti sulle garanzie che da una Gaza ricostruita non parta un altro attacco stile 7 ottobre.
Il New York Times arriva ad ipotizzare il futuro di Gaza come una Dubai sul Mediterraneo. Un sogno per i gazawi oltre all’indubbio vantaggio, per Israele, di impedire l’unificazione tra Gaza e Cisgiordania nel famigerato Hamastan.
Fin qui gli aspetti positivi della proposta. Ce ne sono anche parecchi negativi, per�.
Primo: gli arabi non hanno mai detto di s�. Un embrione del �Mandato arabo� esiste gi� e sta camminando a fatica. � il tentativo di creare una coalizione araba per portare aiuti umanitari. Si tratta di metterci soldi e, soprattutto, la faccia. Lo stanno facendo l’Egitto, la Giordania e gli Emirati arabi. Il risultato � pi� mediatico che efficace, pi� un’opportunit� per tenere calme le opinioni pubbliche interne che un reale impegno a lungo termine. Tra loro solo gli emiratini avrebbero la stazza finanziaria per alimentare il Trust della ricostruzione.
Secondo: i gazawi potrebbero non gradire di passare da un controllo israeliano a uno arabo. Per altro, non ci sono esempi storici di coalizioni militari arabe che abbiano avuto efficacia sul terreno. Il caso Yemen e la rivolta Houthi � l� a dimostrarlo. Senza coinvolgere l’Iran � davvero possibile una pace in Medio Oriente?
Terzo: la Cisgiordania rimarrebbe esclusa dalla pioggia di petrodollari? Tempo due anni e un altro movimento come Hamas prenderebbe le armi.
Corriere della Sera � anche su Whatsapp. � sufficiente cliccare qui per iscriversi al canale ed essere sempre aggiornati.
21 marzo 2024 (modifica il 21 marzo 2024 | 13:31)
© RIPRODUZIONE RISERVATA