Nel silenzio di Mattarella la freddezza del Quirinale per la sfida sovranista al Mes
Come l’hanno presa al Colle? Con un gelido silenzio. È questo il sentimento manifestato da Sergio Mattarella di fronte alla bocciatura del Mes da parte della maggioranza di destra. Un disappunto facilmente immaginabile, perché l’affossamento va nella direzione opposta a quella auspicata dal Capo dello Stato in anni di discorsi, interventi, moral suasion europeista.
Mattarella teme i contraccolpi che ne potranno derivare in Europa. Da soli nessuno ce la può fare, ha sempre ripetuto. E da ieri l’Italia si è isolata, unica fra i paesi dell’eurozona, in posizione di ribalda sfida. Si capisce che la linea assunta dal governo va oltre il singolo caso: da un lato è una forma di ricatto, dall’altro è puntiglio ideologico, posizionamento populista. Come quegli ultrà che srotolano in curva lo striscione: “Soli contro tutti”.
Perciò il Quirinale ha accolto con freddezza la decisione, anche se non ci sono state dichiarazioni ufficiali. Del resto sul Mes non troverete di suo una sola parola, non da quando c’è la destra a palazzo Chigi. Lo scorso 20 aprile, a Bratislava, dove il Capo dello Stato era in visita di Stato, una quirinalista provò a stanarlo sul tema. Mattarella fu irremovibile nel merito: “Non è mio costume parlare di questioni di politica interna quando sono all’estero”. Nel maggio del 2020 aveva però detto: “Avvertiamo la responsabilità di unirci nel sostegno alle vigorose misure di risposta alla crisi e alle sue conseguenze. Alle misure già decise e a quelle ancora da assumere”.
Si dirà: è sempre stato rispettosissimo delle volontà del Parlamento. Non ha mai interferito. Vero. Ma c’è chi faceva notare ieri che stavolta è un esercizio ipocrita nascondersi dietro la decisione delle Camere; ha deciso il governo, nelle sue ali più estreme. L’atteggiamento barricadero di Giuseppe Conte ha in qualche modo finito per accentuare il radicalismo di FdI e Lega.
Qualcosa di simile era già avvenuto con i balneari, a febbraio. Uguale la sfida. In quel caso Mattarella aveva, all’atto della promulgazione della legge, inviato una lettera, ma il governo ha deciso di non tenerne conto, sfidando ancora adesso la direttiva Bolkestein per calcolo elettorale, per compiacere pezzi di economia.
Sono segnali di una divaricazione. Da un lato c’è la pedagogia repubblicana del Quirinale – europeista, atlantista, multilaterale - e dall’altro l’istinto della destra, che omaggia Musk, fa strame della Costituzione, sogna l’uomo solo al comando, e sfida ogni volta che può l’Europa. Sarà stato un caso ma mercoledì al Colle, per gli auguri alle alte cariche, non c’erano né Meloni, né Salvini. Assenze che valgono più di tanti editoriali. E che segnalano anche il principio di una solitudine del Quirinale, che però rimane fortissimo nel Paese reale, perché gli italiani hanno capito che fa davvero l’arbitro, come aveva promesso sin dal suo insediamento.
All’integrazione europea ha dedicato per il resto moltissime energie. Allo stesso modo ne ha invocato il rinnovamento, sferzando gli attori a cambiare le regole del gioco, criticando l’austerità, le ottusità (termine usato durante il viaggio in Sicilia, parlando del patto di Stabilità): la sua spinta, insomma, non è mai stata acritica, anzi, per primo ha avvertito come un pericolo mortale la disaffezione della pubblica opinione. Ma stando sempre dentro la relazione, perché non abbiamo altra scelta.
Quindi, mettendo in fila i ragionamenti si capisce come la decisione non può essere stata gradita dal custode dei trattati internazionali. “L’Italia ce la farà”, ha detto l’altra sera. L’Italia però è più sola, pensano al Colle, senza esplicitarlo pubblicamente.