Toti: «Non ho intenzione di dimettermi». Ora il governatore della Liguria corre contro il tempo (al massimo fino alle Europee)
La strategia: parlare ai giudici e ritrovare l'agibilità politica
DAL NOSTRO INVIATO
GENOVA - Guarda che ti legano. Glielo dicevano tutti, perché tutti sapevano quel che stava per arrivare. L’inchiesta era un segreto di Pulcinella. Ancora pochi giorni fa, Giovanni Toti ripeteva la stessa frase ad amici, conoscenti e collaboratori. «Dopo otto anni trascorsi a fare progetti e investimenti, mi stupisco che non sia accaduto prima». Il disincanto nei confronti della magistratura è proprio di quasi tutti gli amministratori pubblici, e il presidente della Liguria non faceva certo eccezione, anzi. Si aspettava che qualcosa potesse accadere. Ma non così.
Seppure ai domiciliari, l’arresto ha cambiato tutto. E impone decisioni da prendere, anche con una certa rapidità. «Non ho alcuna intenzione di dimettermi» ha detto mercoledì al suo avvocato Stefano Savi, che lo è andato a trovare nella sua casa di Ameglia, nello spezzino, che ha preferito come domicilio coatto all’appartamento nel centro di Genova per poter stare con la moglie, che là sta trascorrendo un periodo di convalescenza dopo un brutto infortunio. È la scelta più importante, perché destinata a determinare anche la linea difensiva, oltre che importanti conseguenze politiche. «Io sono tranquillo per quel che riguarda il mio operato» ripeteva durante la lunga vigilia di quel poi sarebbe successo. «Ma non posso sapere come si muovono tutte le persone che sul territorio vengono accostate al mio nome».
Nel poco tempo che aveva avuto a disposizione prima del trasferimento ai domiciliari, si era già comportato come una persona che non aveva alcuna intenzione di cedere il passo, raccomandando lucidità ai suoi collaboratori più stretti e chiedendo al suo stato maggiore di stare vicino al vicepresidente Alessandro Piana, destinato a ereditare le sue mansioni. Ma dopo la lettura delle carte che lo riguardano, la decisione di non fare alcun passo indietro definisce anche il futuro più immediato, e viene motivata con la convinzione di poter rispondere a ogni domanda degli inquirenti. «Nel mio operato non c’è stato nulla di illecito» ha detto al suo legale. «Non prendevo tangenti, non ho perseguito alcun interesse privato. Se ci sono stati equivoci, li chiarirò».
Appena un mese fa, Toti aveva partecipato a una cena di finanziamento delle sue liste a Villa Zerbino, prestigiosa dimora genovese. Seicento invitati, 450 euro a testa. Presenti imprenditori e industriali di chiara fama. È l’esempio che viene citato nelle ultime ore dalle persone a lui vicine, sempre meno, come d’abitudine, per spiegare come tutto avvenisse alla luce del sole, e venisse rendicontato. «Dobbiamo tirarlo fuori» ripetono i collaboratori più fedeli. Toti non vede l’ora di parlare, ed è convinto che l’unico modo per ritrovare l’agibilità politica sia quello di far sentire la propria voce. Non solo ai pubblici ministeri, ma anche al suo elettorato. Per farlo, ha bisogno della revoca degli arresti domiciliari.
L’indeterminatezza dei tempi viene ritenuta il principale nemico contro il quale si batte per evitare che il suo nome venga coniugato al passato, come già sta avvenendo all’interno del palazzo della Regione. Con quasi undici miliardi del Piano nazionale di ripresa e resilienza da mettere a terra, come si dice in gergo, il Terzo valico, lo scolmatore che metterà in sicurezza Genova, la diga foranea e altre infrastrutture da avviare o completare, l’attesa nei suoi confronti non potrà che essere breve. Al massimo, fino elle elezioni europee. Poi, qualcosa accadrà.
Anche per questo, Toti avrebbe intenzione di rispondere alle domande che gli farà il giudice durante l’interrogatorio di garanzia, previsto per domani. La scelta di non avvalersi della facoltà di fare scena muta gli consentirebbe di presentare una istanza di libertà personale al giudice per le indagini preliminari che ha decretato il suo arresto, chiedendo poi di rivedere quella decisione sulla base della buona volontà e ovviamente delle risposte fornite durante il confronto. Se il giudice non dovesse cambiare idea, ci sarebbe spazio per un appello presso il Tribunale del Riesame, che però in tal caso si dovrebbe pronunciare soltanto sulle esigenze cautelari dell’indagato e non sull’inchiesta nel suo complesso. È la strada forse più veloce e meno rischiosa. Ma è anche la più stretta.
«Il presidente è ben determinato a presentare una difesa che spieghi come i fatti siano in realtà da interpretare differentemente alla luce della politica che ha sempre seguito nell’interesse del territorio, anche attraverso forme che hanno potuto indurre ad equivoci, ma che non hanno mai sconfinato nell’illecito». Al termine dell’incontro di mercoledì con il suo assistito, l’avvocato Savi ha registrato un videomessaggio dai contenuti piuttosto prudenti, e persino accomodanti. Perché un conto è il desiderio di riprendere possesso delle proprie funzioni da parte di un uomo che all’improvviso ha perso tutto. Un altro è la sua presa d’atto di una realtà politica che con il passare dei giorni si fa sempre più difficile.