Dalla Grecia comincia il viaggio della torcia olimpica America-Cina del 16 aprile

America-Cina Il Punto | La newsletter del Corriere della Sera
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Martedì 16 aprile 2024
Comincia il viaggio della torcia olimpica
editorialista di michele farina

L’economia cinese riprende a correre, la torcia olimpica comincia un viaggio di 12 mila chilometri dalla Grecia a Parigi, in Danimarca va a fuoco il palazzo più antico di Copenaghen, in Medio Oriente rischia di andare a fuoco molto di più, a New York va in scena la saga dei giurati al processo Trump, alle isole Salomone si vota con un occhio a Pechino dove il Cancelliere tedesco Scholz oggi ha pranzato con Xi Jinping, mentre a Washington i riflettori si sono accesi sugli incontri di primavera, in Colombia hanno ucciso un giornalista coraggioso, i russi spediscono armi in Libia, la Tesla di Musk licenzia quattordicimila lavoratori (più una), negli oceani i coralli impallidiscono per il riscaldamento globale, in Sudan la vice capomissione italiana di Medici Senza Frontiere parla di un Paese immerso «in un oceano di bisogni».

Buona lettura.

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1. La Cina sorprende con la crescita al 5,3%
editorialista
di guido santevecchi

Sorpresa da Pechino: la crescita nel primo trimestre del 2024 è stata superiore alle previsioni, salendo al 5,3% rispetto allo stesso periodo del 2023 e dando credito ai pianificatori del Partito-Stato che hanno fissato per quest’anno un obiettivo «intorno al 5%». Al solito, un balzo del 5,3% in qualsiasi altro Paese del mondo sarebbe salutato con entusiasmo, mentre per la Cina lascia gli economisti divisi. Sono finalmente spuntati i germogli di una nuova primavera di crescita? Oppure è una falsa alba?

  • I dati pubblicati dall’Ufficio nazionale di statistiche cinese si prestano a una doppia lettura. La produzione industriale è salita del 6,1% nel primo trimestre rispetto a un anno fa, ma i prezzi alla produzione sono scesi del 2,7%: segno di pressione deflazionaria. Le vendite al dettaglio a marzo hanno fatto +3,1%, ma sono in calo rispetto al +5,5% di gennaio e febbraio. E poi, gli investimenti nel settore manifatturiero sono saliti del 9,9%, ma quelli nell’immobiliare sono crollati del 9,5%.
  • La crisi dell’edilizia, che per trent’anni ha rappresentato un quinto del Pil cinese, sembra inarrestabile: la costruzione di nuovi complessi residenziali è precipitata del 27% e il completamento dei cantieri aperti del 20%, perché i costruttori non ricevono più credito e il mercato è saturo. La casa è la principale forma di investimento della classe media cinese e il deprezzamento dei loro risparmi si fa sentire sui consumi interni. La ripresa della seconda economia del mondo resta sbilanciata. Xi Jinping ha chiesto espressamente ai cinesi di spendere per rinnovare gli elettrodomestici di casa, le automobili. Ha tirato fuori dal cilindro delle sue frasi celebri le «nuove forze produttive», che debbono trainare lo sviluppo della Cina dalla manifattura all’alta tecnologia.
  • Ma al momento la ricetta sembra quella solita: l’eccesso di produzione cinese viene esportato a prezzi ribassati, che mettono fuori mercato l’industria occidentale. La prova viene dai dati dell’export, che è salito in termini di volume ed è sceso in termini di valore espresso in dollari. Per spazzare via la concorrenza internazionale le industrie cinesi vendono sotto prezzo, grazie ai sussidi statali. È successo nell’acciaio, poi con i pannelli solari, ora la nuova frontiera di questa strategia sono auto elettriche e batterie: i porti del Nord Europa sono diventati immensi parcheggi per i veicoli sbarcati dalla Cina.
2. Scholz a pranzo da Xi Jinping («non copiate»)
editorialista
di mara gergolet
corrispondente da Berlino

Il cancelliere Olaf Scholz ha preparato l’incontro odierno con Xi Jinping ieri sera al Regent di Pechino cenando a un piccolo tavolo — con cibi freddi, panini e bibite — dopo le 23 insieme a tre dei suoi collaboratori più fidati: il portavoce Steffen Hebestreit, l’ex banchiere Jörg Kukies e il consigliere della politica estera Jens Plöntner. Questo racconta il giornalista politico forse più informato della Germania, Gordon Repinski. Il pranzo con Xi Jingping, nella sala riservata agli ospiti stranieri del palazzo presidenziale, terminato poche ore fa sarà stato di tutt’altro tenore.

imageInsieme nel 2017 quando Scholz era sindaco di Amburgo

  • Era il centro della visita del cancelliere tedesco. In attesa di saperne di più, si dice che Scholz abbia puntato le sue carte più sull’Ucraina che sull’Iran. Senz’altro è stato anche l’ambasciatore per conto di Biden: l’idea, la richiesta che la Ue e gli Usa fanno in queste ore a Pechino, è di fare pressione sui propri alleati iraniani per evitare l’escalation nel Golfo, e di vedere quali vie negoziali esistono con la Russia. Scholz aveva una piccola carta da giocarsi. Invitare Xi al «vertice di pace» che si terrà in Svizzera a metà giugno, nel resort Bürgenstock, vicino a Lucerna (dal quale i russi sono esclusi) e portare a casa un «grazie, vengo» come risposta. La prima dichiarazione di un portavoce del governo cinese («siamo a favore di vertici di pace con l’Ucraina e la Russia) fa capire che Xi non l’ha raccolta.
  • P.S. Più dei droni iraniani, di tecnologie dual-use cinesi vendute ai russi, insomma più di tutte le grandi questioni di guerra che preoccupano Biden, e la gente comune, questa visita tedesca era concentrata sull’economia. Auto, batterie, chimica: «Le auto elettriche sono benvenute», ha detto Scholz agli studenti di Shangai, ma «non dovete copiare». Insomma, la versione tedesca del de-risking dalla Cina, pur annunciata, può attendere. Questo chiedono i ceo della Germania che Scholz ha portato con sé (incluso quello del Bayer che gli ha regalato la maglietta del Leverkusen dopo la vittoria del primo scudetto in 119 anni). E questo era la priorità del pragmatico cancelliere, più concreta — e sicuramente più facile — della diplomazia.
3. Processo Trump, la saga dei giurati
editorialista
di viviana mazza
corrispondente da New York

I primi 96 potenziali giurati entrano nell’aula del tribunale di Centre street a Manhattan. Donald Trump gira la sedia per fissarli. Quando il giudice Juan Merchan chiede se ci sia qualcuno che sa di non poter essere imparziale, più della metà alza la mano: vengono congedati. I restanti verranno sottoposti ad un questionario di 42 domande, che include quesiti come: Segue Donald Trump sui social o lo ha fatto in passato? Cosa prova per il modo in cui è stato trattato in questo caso? Ha mai partecipato a un comizio per una organizzazione anti-Trump? La prima è una giovane donna nera con laurea in business, che legge il New York Times e guarda la Cnn. Il secondo è un occhialuto direttore creativo (anche lui legge il New York Times).

  • È iniziato ieri, con la selezione dei giurati, «The People of the State of New York vs. Donald Trump», il primo processo penale contro un presidente degli Stati Uniti (e forse l’unico dei quattro prima delle elezioni di novembre). Trump è accusato di aver falsificato documenti per nascondere di aver pagato (attraverso il suo ex avvocato Michael Cohen, testimone chiave dell’accusa) 130 mila dollari per far tacere l’attrice porno Stormy Daniels sui loro rapporti sessuali (che lui nega), influenzando così le elezioni del 2016. La Procura punta poi a dimostrare che non era un caso isolato e che tramite il tabloid «National Enquirer» avrebbe fatto sotterrare altre storie potenzialmente dannose, come quella di Kate McDougal, modella di Playboy che sostiene di aver avuto rapporti sessuali col tycoon... (qui l’articolo completo).
4. In fumo la Notre Dame di Copenaghen
editorialista
di irene soave

Notre Dame è una basilica e ha quasi mille anni, la Borsa Valori di Copenaghen ne ha quattrocento e non è, almeno non formalmente, un edificio sacro: eppure vedere la sua guglia secentesca di 56 metri divorata dal fuoco come la chiesa parigina nel 2019, e poi crollata a terra, ha sconvolto i danesi che ai telegiornali e sui social ripetono: è la nostra Notre Dame.

  • L’edificio più antico della capitale danese è andato a fuoco stamattina, forse per un cortocircuito elettrico: erano in corso lavori di ristrutturazione, allacciati alla rete elettrica, e le impalcature hanno contemporaneamente propagato le fiamme e reso più difficile, per i pompieri, intervenire. Salvi tutti quelli che erano dentro la Borsa; dopo l’evacuazione qualcuno è rientrato dentro a trarre in salvo i quadri antichi che vi erano custoditi. I video meno tristi dell’incendio di oggi: impiegati e funzionari della Borsa per strada con le tele in mano, appena annerite dal fumo.
5. Israele: divisioni nel gabinetto di guerra
editorialista
di davide frattini
corrispondente da Gerusalemme

Adesso che le sirene d’allarme tacciono, a farsi sentire sono le parole scambiate nella notte del bombardamento, l’agitarsi di fogli e di opinioni. Chi ha proposto cosa, chi si è opposto, chi ha battuto i pugni sul tavolo per battere subito sull’Iran: il contenuto della riunione viene lasciato trapelare ai telegiornali perché ormai le minute del consiglio di guerra ristretto possono diventare slogan per la campagna elettorale.

  • Così il Canale 12 rivela che Benny Gantz e Gadi Eisenkot, entrambi ex capi di Stato Maggiore, avrebbero insistito per contrattaccare quando lo sciame di droni e le decine di missili stavano ancora volando verso Israele. Alla risposta immediata sarebbero stati contrari il premier Benjamin Netanyahu, Yoav Gallant, ministro della Difesa, ed Herzi Halevi il capo di Stato Maggiore: tutti e tre a sostenere che l’aviazione era già fin troppo impegnata ad abbattere le centinaia di proiettili lanciati da Teheran.
  • L’ufficio del primo ministro si è precitato a smentire, a dichiarare che semmai i ruoli erano ribaltati, Mr Sicurezza — come gli israeliani non lo considerano più — non può permettersi che Gantz passi per il falco, già lo straccia nei sondaggi elettorali. Soprattutto non vuole che la sua ipotetica reticenza alla rappresaglia in contemporanea riscriva le pagine dell’autobiografia «Bibi-My Story» in cui racconta di essere stato stoppato almeno un paio di volte dai vertici del Mossad e delle forze armate (non lo nomina ma Benny Gantz era capo di Stato Maggiore): sarebbero stati «troppo preoccupati dai rischi» e avrebbero respinto la sua volontà di centrare i siti nucleari iraniani con i jet.
  • In questa sfida per i cuori (angosciati) e le menti (assonnate) dei cittadini l’ultima mossa l’ha fatta Bibi, com’è soprannominato: verso le 3 di notte una «fonte governativa di alto livello» — formula usata di solito per identificare il premier — incita la gente a non andare a dormire. Come a dire: non perdetevi il momento in cui darò l’ordine ai bombardieri di decollare... (qui l’articolo completo).
6. Cosa ci guadagna la Russia da tutto questo
editorialista
di guido olimpio

Nei primi giorni di aprile è stato ucciso in Libano Mohammad Surur, un cambiavalute sospettato di garantire flusso di denaro in favore di fazioni filoiraniane. Ora sono emersi dettagli. La vittima è stata attirata in una villa di Beit Mary, località turistica a est di Beirut, dalla promessa di un incontro con una donna, la più classica «trappola di miele». In realtà la casa sarebbe stata affittata da elementi al servizio del Mossad, fuggiti dopo l’agguato.

  • Molte analisi sulla Russia e l’attuale scontro Iran-Israele. Alcuni spunti. 1) Mosca guadagna se gli Occidentali restano impantanati nell’ennesima crisi. 2) Il dispendio di sistemi antiaerei e la necessità di avere scorte può aggiungere problemi al già rallentato flusso di armi in favore dell’Ucraina. 3) I russi aumentano la collaborazione militare con Teheran; cavalcano il sentimento anti-Usa e anti-israeliano. 4) In negativo: la sfida dei pasdaran, con l’attacco missilistico, può indurre il Congresso ad una linea più dura e perfino spingere ad uno sblocco degli aiuti per Kiev. Iraniani e russi cooperano strettamente nel conflitto.
  • Mostri di guerra. L’Armata russa continua a «inventare» mezzi da impiegare al fronte. L’ultima creazione (foto sopra) è un blindato dotato di lanciarazzi RBU-6000 di solito usati sulle navi. Sono ordigni piuttosto pesanti (oltre 100 chilogrammi), che costringono i soldati al caricamento manuale ma hanno il vantaggio di essere potenti: uno strumento per tirare su trincee e postazioni.
7. Il generale Petraeus: cosa può accadere

(Viviana Mazza) David Petraeus, il generale americano che ha guidato le forze alleate in Iraq e in Afghanistan e diretto la Cia, parlando alla Cnn la mattina dopo l’attacco iraniano, ha detto che Israele deve rispondere militarmente e che gli Stati Uniti cercheranno di limitare la portata di questa risposta. Ne abbiamo parlato con lui ieri. Generale, perché crede che Israele debba rispondere militarmente? «Penso che la leadership israeliana valuterà che — anche se le difese aeree, dai droni e dai missili (con l’aiuto degli Stati Uniti, del Regno Unito e di altri Paesi) sono state quasi del tutto impeccabili — deve rispondere al primo attacco mai perpetrato contro Israele dal territorio iraniano».

  • Quale potrebbe essere lo scenario peggiore, nel caso di una escalation da parte dell’Iran? «Be’, l’Iran certamente ha la capacità di lanciare anche un numero più ampio di droni e di missili contro Israele. Tuttavia, non penso che vogliano una ulteriore escalation della situazione, né vogliono che gli altri vedano che Israele è in grado di difendersi contro gli attacchi. Sono già probabilmente destinati a ricevere una qualche risposta israeliana, come pure ulteriori sanzioni da parte delle nazioni del G7, che ridurranno la quantità di petrolio che possono esportare, e potenzialmente possono aspettarsi un rafforzamento dell’opposizione all’Iran in varie forme nella regione».
  • Se ci fosse un altro attacco contro Israele (una risposta alla risposta israeliana di cui stiamo parlando) oppure una guerra totale, la coalizione creata dagli Stati Uniti per assistere lo Stato ebraico potrebbe replicare la performance militare che abbiamo visto sabato sera? «Tendo a pensare di sì, specialmente se il Congresso americano approverà questa settimana l’assistenza aggiuntiva per la sicurezza (considero probabile che accada) e se gli Stati Uniti mantengono o aumentano le loro capacità nella regione». Da un punto di vista politico, è significativo che l’Arabia Saudita, la Giordania e gli Emirati siano scesi in campo al fianco di Israele, nonostante le proteste popolari per la guerra a Gaza. Questa è in sé la prova di un cammino verso la futura normalizzazione dei rapporti con Israele nella regione? «È davvero notevole, infatti. Ma ovviamente non c’è grande affetto nei confronti dell’Iran nei Paesi arabi».
8. E intanto in Libia e in Ucraina...
editorialista
di lorenzo cremonesi
inviato a Beirut

Le grandi notizie della cronaca nascondono le altre, anche se queste ultime restano molto rilevanti. Così, mentre la nostra attenzione è concentrata sullo scontro tra Israele e l’Iran, in Libia i russi rafforzano la loro presenza militare e l’Ucraina teme di essere dimenticata dagli alleati, che ancora non mandano munizioni per arginare l’invasione russa.

imageKharkiv pochi giorni fa dopo un attacco russo

  • Sono notizie marginalizzate, che comunque fanno parte di scenari molto prossimi a quelli al momento sulla cresta dell’onda. Il 6 aprile è arrivata nel porto di Tobruk una nave russa carica di 6.000 tonnellate di armi e munizioni. L’area è controllata dal generale Khalifa Haftar, alleato di Putin e padrone della Libia orientale. Grazie a lui Mosca cerca di rafforzare la sua presenza in Africa.
  • Intanto Zelensky si trova a mal partito. I russi avanzano nel Donbass, minacciano anche Kharkiv e ogni giorno attaccano con droni e missili. Kiev guarda con tristezza allo scenario dei 300 missili e droni iraniani abbattuti prima che arrivassero nei cieli di Israele. Molti erano gli stessi droni Shaheed costruiti a Teheran che i russi sparano su tutta l’Ucraina. Impossibile non pensare che, se gli ucraini avessero avuto a disposizione le stesse contraeree di Israele, subirebbero molti meno morti e distruzioni e la vittoria sembrerebbe molto più vicina.
9. Europa-Usa, parola d’ordine: de-escalation
editorialista
di francesca basso e viviana mazza
corrispondenti da Bruxelles e New York

De-escalation. È la principale preoccupazione di Stati Uniti e Unione europea dopo l’attacco «senza precedenti» di droni e missili sferrato dall’Iran contro Israele nella notte tra sabato e domenica in risposta all’uccisione di un generale iraniano il primo aprile a Damasco.

  • Il fatto che gli Stati Uniti, come pure Gran Bretagna e Francia, abbiano aiutato a intercettare i droni e i missili lanciati da Teheran, non vuol dire che siano disposti a farsi coinvolgere in un conflitto nel caso in cui Israele decida di reagire. Ma sanno bene che, se accadrà e se l’Iran a sua volta dovesse rispondere, si ritroverebbero a difendere di nuovo Israele... (l’articolo completo nella newsletter Europe Matters, un doppio sguardo su come l’Europa e gli Stati Uniti siano legati oggi più che mai).
10. Doppiezze etiche
editorialista
di antonio polito

L’avvicinarsi del 25 aprile riaccende i paralleli tra la nostra Liberazione e quella degli altri. È infatti prevedibile che nei cortei risuonerà lo slogan «Palestina libera», e si inneggerà alla «resistenza» di quel popolo. Ma si può star sicuri che analogo interesse non susciterà la resistenza degli ucraini. Secondo un paradosso ben sperimentato nel nostro dibattito pubblico: per cui proprio coloro che sono più impegnati a contestare l’occupante israeliano, sono anche i più comprensivi delle ragioni dell’occupante russo. Nonostante Gaza non fosse affatto occupata prima che scoppiasse la guerra, mentre il Donbass lo era e lo è. Questo strabismo etico e politico è interessante anche nelle sue motivazioni... (qui l’articolo completo).

11. Yellen di primavera
editorialista
di giuseppe sarcina

Janet Yellen è la protagonista degli spring meetings, gli incontri di primavera, del Fondo monetario e della Banca Mondiale, in corso a Washington. L’agenda della segretaria al Tesoro americana è fitta di appuntamenti. Da qui a venerdì 19 aprile, giorno di chiusura della sessione, incontrerà i rappresentanti della delegazione cinese per proseguire il confronto sulla «crescita bilanciata» avviato la settimana scorsa a Pechino. In sostanza Yellen accusa i cinesi di produrre e di esportare in eccesso i materiali per la transizione energetica (pannelli solari eccetera). Il governo degli Stati Uniti vuole evitare che le aziende nazionali del settore siano travolte dalla concorrenza orientale. Quindi o si raggiunge un accordo o, presumibilmente, gli Usa imporranno una pesante tornata di dazi.

imageLa minstra del Tesoro Usa Janet Yellen

  • Yellen, poi, si occuperà di Russia, Palestina e Iran. Da tempo gli americani insistono per scongelare le riserve monetarie di Mosca bloccate in gran parte nelle banche europee. Obiettivo: utilizzare quei fondi per finanziare la resistenza ucraina. L’ex presidente della Federal Reserve porrà ancora una volta la questione nel G7 dei ministri finanziari, che si terrà domani, mercoledì 17 e che sarà presieduto dal ministro dell’Economia italiano, Giancarlo Giorgetti. Gli Usa spingono anche per aumentare gli aiuti finanziari per la Striscia di Gaza e, in generale, per i palestinesi. Infine l’Iran. I capi di Stato e di governo dei sette Paesi più industrializzati, riuniti on line domenica scorsa, hanno discusso la possibilità di imporre ancora sanzioni al regime degli ayatollah. Yellen si confronterà con gli altri ministri, in modo da preparare una serie di schemi tecnici da sottoporre poi al summit del G7 in programma a giugno, in Italia.
12. La «spada» di Pechino contro le spie

(Guido Santevecchi) «La sicurezza nazionale, guidata dall’innovazione, affila la spada»: è il titolo di un documentario trasmesso dalla tv cinese che ha raccontato 10 operazioni di controspionaggio. La più importante ha portato alla condanna a morte di un ricercatore impegnato in un progetto top secret per lo sviluppo di un sistema di comunicazioni militari. L’uomo è stato giustiziato nel 2016, ma i dettagli sono stati rivelati solo ora, significativamente nel «Giorno dell’educazione alla sicurezza nazionale», proclamato nella Cina di Xi Jinping per sollecitare e ammonire le masse a restare allerta di fronte alle minacce e a denunciare attività sospette.

imageIl crittografo traditore in un fotogramma tratto dal documentario sulla sua esecuzione (foto Cctv)

  • Lo scienziato colpevole di tradimento si chiamava Huang Yu ed era stato reclutato «dall’intelligence di un certo Paese». Quale? Il documentario prodotto dal Ministero della sicurezza di Stato cinese non lo ha precisato, ma mentre il narratore fuori campo parlava del caso, sul video scorrevano immagini con la bandiera americana e il Campidoglio di Washington. Huang aveva passato al nemico «una quantità scioccante di informazioni» sui sistemi di comunicazione usati dal Partito comunista, da agenzie governative, dall’Esercito popolare di liberazione e da industrie finanziarie e tecnologiche. In tutto, 150 mila documenti «classificati», dei quali 1.647 «segreti» e 90 «top secret» che riguardavano codici di trasmissione militari criptati. «In tempo di guerra, quelle informazioni avrebbero causato un bagno di sangue tra le nostre file», ha osservato l’annunciatore. Il traditore sarebbe stato mosso da risentimento personale: era stato estromesso dal suo lavoro di ricercatore per scarso rendimento. Così pensò di contattare l’intelligence «di un certo Paese».
  • Il materiale passato includeva «disegni, specifiche tecniche, algoritmi segreti, programmi e codici di accesso», ha denunciato il documentario. Lo spionaggio avversario, presumibilmente americano come detto, coltivò il crittografo cinese per dieci anni, addestrandolo nell’arte del doppio gioco e compensandolo con 700 mila dollari. La gola profonda riuscì anche a coinvolgere con l’inganno la moglie, che lavorava nel suo stesso dipartimento di ricerca, inducendola a copiare materiale segreto che lui vendette. Alla fine fu scoperto e «la spada affilata» della sicurezza nazionale di Pechino ha fatto giustizia: Huang è stato messo a morte e la moglie condannata a cinque anni di carcere duro per «negligenza nel servizio». Il documentario ha reso omaggio a 86 cittadini che hanno contribuito con le loro denunce all’arresto di spie.
13. Le urne alle Salomone «sanno» di Cina
editorialista
di clara valenzani

Il governo delle Isole Salomone avrà un bel da fare per raccogliere i risultati delle elezioni del 17 aprile: 760 mila cittadini sparsi su 900 isole del Pacifico, su una superficie di 28 mila km quadrati. Sarà quindi necessario attendere diverse settimane prima di scoprire quali saranno i 50 nuovi deputati parlamentari che formeranno il governo ed eleggeranno poi il primo ministro.

imageIl premier Manasseh Sogavare con Xi Jinping

  • Un ballottaggio sfidante non solo a livello logistico, ma anche e soprattutto perché potrebbe complicare gli equilibri mondiali: collocate tra Australia, Nuova Zelanda e Papua Nuova Guinea, queste isole remote hanno in realtà una posizione in grado di influenzare le relazioni internazionali a causa del loro rapporto con la Cina. «Forse le elezioni più importanti nella storia del Paese», dicono gli analisti: Sogavare, l’attuale primo ministro, aveva consolidato le relazioni con la Cina dal 2019 (lasciando invece Taiwan da parte), decisione poco apprezzata e che aveva generato proteste da parte dei cittadini. Nel 2022 era stato stipulato un patto di sicurezza con Pechino, alleato autorizzato ad intervenire «per garantire la sicurezza interna»: l’accordo aveva preoccupato i vicini e gli Stati Uniti, timorosi di veder sorgere una base navale che avrebbe potenziato la presenza cinese nella zona. Secondo i sondaggi, Sogavare ha buone probabilità di essere eletto anche stavolta, sconfiggendo l’opposizione guidata da Wale, ex primo ministro.
  • La maggior parte dei cittadini è preoccupata per le criticità della vita quotidiana: nell’Indice di Sviluppo Umano dell’Onu, su 199 Paesi le Salomone occupano il 155esimo posto, corruzione e cattiva gestione da parte del governo sono frequenti, e il costo della vita è in continuo aumento. Secondo il Fondo Monetario Internazionale, si stima che il Pil delle isole quest’anno crescerà solo del 2,4%, ben poco per riprendersi dalla crisi fortemente acuita dalla pandemia. Molti abitanti speravano di poter beneficiare dell’influsso cinese in termini di crescita economica, ma di fatto non è stato così e ora il malcontento diffuso rischia di generare tensioni nel periodo post-elettorale (Australia e Nuova Zelanda hanno inviato un contingente di polizia a supporto). Ma in questo complicato panorama una cosa accomuna le lontane ed esotiche Isole Salomone al resto del mondo: per loro come per la cinquantina di Paesi al voto quest’anno dall’altra parte dell’oceano, le elezioni 2024 saranno uno dei giochi politici più importanti di sempre.
14. Sidney 1: l’assalto del quindicenne
editorialista
di alessandro fulloni

Un’aggressione in diretta, con le immagini trasmesse su YouTube. Due i feriti, il vescovo della chiesa assira ortodossa Mar Mari Emmanuel, assai noto per le sue posizioni no vax e contro la comunità Lgbt+ , e un suo collaboratore, il sacerdote Isaac Royel. È successo a Sydney, ieri alle 19 (ora locale, le 11 in Italia). L’accoltellatore, un quindicenne, è stato arrestato dalla polizia che lo ha salvato dal linciaggio dei fedeli, molti dei quali profughi fuggiti dalle guerre in Iraq e Siria.

  • Attorno al luogo di culto intitolato a «Cristo il Buon pastore», una grande villa su un piano, l’atmosfera è rimasta a lungo tesissima. Sono giunti reparti anti-sommossa che hanno usato spray al peperoncino per fermare i disordini. Feriti anche degli agenti, malmenati di chi voleva farsi giustizia da sé al grido di «occhio per occhio»... (qui l’articolo completo).
15. Sidney 2: l’attacco alle donne

(Alessandro Fulloni) Quando le chiedono se sia un caso che tra le sei vittime cinque siano donne, lei risponde: «I video parlano da soli, no? E questa è certamente una pista chiara per noi». Sydney, la sede centrale della polizia del Nuovo Galles del Sud. Parla Karen Webb, dirigente con uno dei gradi più alti. Ai giornalisti che la incalzano durante la conferenza stampa, spiega quel che forse era chiaro già da certe immagini. Joel Cauchi, il quarantenne autore della strage, sabato, al Bondi Junction Westfield, il centro commerciale alla periferia Est della città, non ha ammazzato a caso, come sembrava dalle prime, concitate, testimonianze di chi ha visto tutto o è scampato per miracolo al massacro.

imageTre delle sei vittime della strage al centro commerciale di Sidney: cinque erano donne

  • La poliziotta chiarisce: «È ovvio per me e per gli altri investigatori che questo è un punto di interesse: l’aggressore si è concentrato sulle donne e ha evitato gli uomini». Non solo. Tra i feriti, circa una decina, alcuni dei quali ancora in pericolo di vita, molte sono donne. Fra le vittime prese di mira da Cauchi, Yixuan Cheng, una 25enne studente cinese dell’Università di Sydney. Poi Dawn Singleton, Jade Young, Pikria Darchia. E Ashlee Good, la 38enne morta cercando di proteggere la figlia di nove mesi ancora in pericolo di vita. La vittima di sesso maschile è Faraz Tahir, un pakistano di 30 anni che lavorava come addetto alla sicurezza.
  • La strage di Cauchi è stata fermata da una coraggiosa agente che lo ha affrontato, uccidendolo con un colpo di pistola sparato solo dopo avergli intimato di fermarsi. La polizia si sta concentrando sul profilo del killer, quello di una persona gravata da un pesante disagio mentale — hanno detto i suoi genitori, sconvolti — sin dall’adolescenza. «Stiamo dedicando molto tempo ad ascoltare coloro che lo hanno conosciuto» ha proseguito Webb. Sui suoi numerosi profili social, l’uomo si era definito «tutor» di inglese. Viveva a Sydney in una roulotte, aveva la passione per il surf, collezionava coltelli e si proponeva come escort, offrendo «momenti piccanti» sia a uomini che a donne, sui siti di incontri a luci rosse.
16. Colombia, hanno ucciso Jaime Vásquez
editorialista
di sara gandolfi

Lo hanno ucciso in mezzo alla gente, sparandogli tre colpi mentre faceva la spesa. Così è morto, domenica mattina, il colombiano Jaime Vásquez, giornalista, avvocato e attivista civile che da anni combatteva la corruzione a Cúcuta, Vásquez è città di confine con il Venezuela ed epicentro di ogni traffico, dalla droga al contrabbando. Quello di il nono omicidio in soli due giorni a Cúcuta.

  • I sicari sono arrivati in moto. Secondo la ricostruzione della polizia, probabilmente alla guida c’era una donna, il passeggero è sceso e ha colpito la vittima. Le autorità hanno offerto una ricompensa di ben 50 milioni di pesos (circa 12.000 euro) a chiunque fornirà informazioni. Vásquez era molto noto in Colombia per il suo attivismo. Poco tempo fa aveva denunciato irregolarità all’interno dell’Ospedale Universitario e collusioni con la classe politica locale.
17. Musk licenzia 14 mila dipendenti (più una)

(Irene Soave) I licenziati da Tesla, l’azienda di auto elettriche di proprietà dell’uomo più ricco del mondo, Elon Musk, oggi fanno notizia.

imageCristina Balan

  • 14 mila dipendenti in tutto il mondo, su 140 mila totali: è il 10 per cento dell’organico, a causa del calo nelle vendite della Tesla, -8% sul primo trimestre 2023 e -20% sull’ultimo del 2024. Un calo che le Borse hanno punito: il titolo ha perso un terzo del suo valore da inizio anno. Questi esuberi sono stati annunciati poche ore fa dallo stesso Elon Musk.
  • L’ingegnera Cristina Balan, calva per la chemioterapia, che racconta alla Bbc il licenziamento subito «per aver lavorato di nascosto, durante l’orario di lavoro, a progetti suoi». È un’accusa che Balan, in lotta con Musk oltre che con il cancro al seno, respinge con forza. «Mi difendo per mio figlio, che vede in me la sua eroina, la mamma che progetta aerei e macchine», dice. E indica la vera ragione per cui, secondo lei, è stata licenziata. In fase di test ha trovato «pericolosi» i tappetini del posto del conducente, che potevano arricciarsi sotto il freno impedendo all’auto di fermarsi. Ha mandato qualche mail per segnalarlo direttamente a Musk. Nessuna risposta e poi il benservito.
18. Se impallidiscono i coralli

(Clara Valenzani) Il riscaldamento globale li fa impallidire, letteralmente: i coralli si stanno sbiancando, ed è colpa delle acque oceaniche che ormai non rinfrescano più. Oltre il 54% delle barriere coralline ha perso il colore originario, in uno sbiancamento che potrebbe essere il peggiore di sempre e che ha colpito almeno 53 Paesi affacciati su Oceano Atlantico, Pacifico e Indiano: è la comunicazione congiunta dell’Amministrazione Nazionale Oceani e Atmosfera (NOAA) e dell’Associazione Internazionale Barriera Corallina (ICRI).

  • «L’impallidimento aumenta dell’1% ogni settimana», dichiara Derek Manzello dal NOA: i coralli, stressati dal calore marino, espellono le alghe al loro interno che producono colore ed energia. La conseguenza è la morte del microrganismo, ma anche ripercussioni sulla catena alimentare e sull’ecosistema marino, privato di una forma di sostentamento. Inoltre, le barriere naturali permettono all’uomo di arginare l’innalzamento delle acque, proteggendo dagli allagamenti e creando bacini pescosi per le comunità nelle vicinanze. I precedenti scolorimenti di massa erano avvenuti nel 1998, 2010 e tra il 2014 e 2017 – quest’ultimo aveva impattato sul 56,1% dei coralli – e avevano toccato quasi tutte le destinazioni paradisiache a cui pensiamo quando immaginiamo sabbia bianca e palme da cocco: Messico, Caraibi, Seychelles e numerose altre.
  • Gli scienziati avevano previsto il fenomeno, ma non a questi rapidi ritmi: «La cosa preoccupante è che non sappiamo quanto durerà l’anomalia climatica», dichiara il professor Guldberg, climatologo dell’Università del Queensland in Australia. Il NOAA ha aggiunto alla mappa di monitoraggio del riscaldamento sottomarino tre nuovi livelli di allerta, e la (piccola) speranza degli studiosi è che La Niña – il fenomeno controparte del Niño, in grado di raffreddare le superfici oceaniche – in arrivo entro agosto possa migliorare la situazione.
19. A Olimpia la fiamma si è accesa

(Irene Soave) Olimpia, il rito si ripete. Nell’antico tempio di Hera a Archeia Olympia, cittadina incastonata da prima dell’Anno Zero nel Peloponneso, oggi 11 mila abitanti, si accende la stessa fiamma che nel 776 a.C. diede il via ai Giochi. Dopo due cerimonie dimesse - nel 2020 e nel 2022, per le Olimpiadi estive e invernali di Tokyo e Pechino funestate dalle norme anti-Covid - il pubblico è di nuovo a Olimpia dal vivo.

  • La fiamma si sarebbe dovuta accendere alla «vecchia maniera», come già nelle prove di ieri: uno specchio concavo rivolto verso la fiaccola avrebbe amplificato i raggi del sole greco, già cocente. Ma sull’inaugurazione stamattina il cielo era coperto, quindi l’attrice nazionalpopolare Mary Mina, nel ruolo di un’alta sacerdotessa, ha usato una fiamma di riserva. Partita così la staffetta: 12 mila chilometri fino a Parigi. Tra i notabili che hanno assistito alla cerimonia, due donne hanno brillato più degli altri: la sindaca di Parigi Anne Hidalgo e la popolarissima presidente della Repubblica greca Katherina Sakellaropoulou.
  • La tradizione della fiaccola olimpica, in realtà, fu ripresa nel 1936 ai giochi di Berlino, a differenza della Grecia antica, non la culla della democrazia. Ma oggi è un simbolo di unità e di valori positivi. Se la passeranno di mano in mano, per i prossimi 11 giorni, circa seicento tedofori in tutta la Grecia, da un comune all’altro per 41 comuni, per un tragitto di 5 mila chilometri. Poi arriverà in Francia via nave, sull’ottocentesco brigantino Belem a tre alberi: francese — dei tempi dei viaggi coloniali in Brasile e Guyana — ma coevo dei Giochi di Atene del 1896. Arrivo: 8 maggio al porto di Marsiglia.
  • Poi di nuovo i tedofori: diecimila, attraverso 400 comuni francesi, in un viaggio che comprende anche i territori d’oltremare nei Caraibi, nel Pacifico, nell’Indiano. Per brillare a Parigi il 26 luglio, fulcro della cerimonia di apertura delle Olimpiadi, sulla Senna. Compiti verso l’estate: seguire il viaggio della fiaccola olimpica, la forza e la resistenza dei tedofori, la Storia da ripassare passando dalla Grecia antica alla Francia della rivoluzione alla Berlino nazista che riuscì comunque ad ammantarsi dei valori olimpici, promemoria che nessun rituale, da solo, può bastare.
20. Medici Senza Frontiere: Sudan al collasso

(Michele Farina) Lo ripete tre volte durante l’intervista: «Quanto facciamo è solo una goccia in un oceano di bisogni». Francesca Arcidiacono, catanese, è vice capo missione di Medici Senza Frontiere in Sudan. Lei c’era un anno fa, quando è scoppiata la guerra. Ci è rimasta nove mesi. E ora è tornata sul posto. Msf, una delle poche organizzazioni umanitarie attive nel secondo Paese più vasto dell’Africa, ha uno staff di mille persone e progetti di emergenza in undici dei 18 Stati sudanesi. Curano feriti nei combattimenti, bambini denutriti, anziani con il diabete, mamme incinte, in un Paese dove «solo il 25% degli ospedali è ancora in funzione»... (qui l’articolo completo).

imageFrancesca Arcidiacono, vice capo missione di Medici Senza Frontiere in Sudan

Grazie. A domani. Cuntrastamu.

Michele Farina


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