Il progetto di Biden: una tregua lunga per chiudere la guerra
NEW YORK — Trasformare la pausa militare in corso a Gaza per la liberazione degli ostaggi non solo in una tregua più duratura, ma nell’occasione per negoziare un accordo finalizzato a ricostruire gli equilibri e la stabilità di lungo termine nell’intera regione. È ambizioso il piano del presidente Joe Biden, affidato in particolare al capo della Cia William Burns, e molto difficile da realizzare. Se però funzionasse, gli darebbe l’opportunità di recuperare i consensi a rischio in vista delle elezioni del prossimo anno, ma soprattutto diventare il demiurgo di un nuovo Medio Oriente, obiettivo tentato e fallito da molti predecessori.
Il fulcro della trattativa è incentrato sulla missione di Burns, tornato ieri in Qatar per vedere il collega del Mossad David Barnea, e le autorità locali che mediano con Hamas. A questa seguirà la visita nella regione del segretario di Stato Antony Blinken, in arrivo alla scadenza della pausa in corso. Burns è l’uomo ideale per condurla, perché oltre a essere il direttore della Cia, è anche un diplomatico di lungo corso che tra i vari incarichi è stato ambasciatore in Giordania.
Il punto di partenza è la pausa, allungata perché sta producendo la liberazione degli ostaggi, ma anche perché in realtà entrambe le parti hanno dimostrato l’interesse a discutere.
La posizione ufficiale del premier Netanyahu è che conclusa questa fase la guerra riprenderà con forza, per stanare Hamas anche nel Sud di Gaza. Gli americani lo hanno avvertito che se lo farà, dovrà condurre operazioni chirurgiche contro la leadership del gruppo terroristico, perché bombardamenti come quelli avvenuti al Nord non sono accettabili nella zona ora più popolata della Striscia. Non è detto però che debba andare così, e anche il Wall Street Journal conferma che i negoziatori premono per un cessate il fuoco di lungo termine, che richiederà concessioni significative, ma potrebbe aprire la porta a una soluzione di lungo termine.
Al momento, secondo i dati del governo israeliano, a Gaza ci sono ancora 173 ostaggi, di cui 128 uomini e 45 donne: 6 sono bambini, 4 hanno fra 18 e 19 anni, e 7 sono dispersi. Una quarantina però sono in mano alla Jihad. L’obiettivo è aumentare i rilasci, estendendoli anche agli uomini, in cambio della prosecuzione della tregua. Ciò però richiede che lo Stato ebraico accetti un moltiplicatore superiore a 3 prigionieri palestinesi liberati per ogni ostaggio rilasciato, e Hamas accetti di lasciar andare anche i soldati. Sarebbe il primo passo per avviare la trattativa.
Netanyahu ha dichiarato che i suoi obiettivi sono smantellare Hamas, liberare tutti gli ostaggi e garantire che Gaza non possa più costituire una minaccia per Israele. Gli Usa concordano, ma chiedono che le operazioni militari risparmino i civili, e vogliono riaprire il negoziato per dare all’Autorità Palestinese il governo di Gaza e costruire la soluzione dei due Stati. L’alto rappresentante per la Politica estera Ue, Josep Borrell, ha per la prima volta concordato, dicendo che Hamas non può tornare a governare Gaza. Se Usa e Ue presentassero una soluzione congiunta in questo senso a Netanyahu, rifiutarla sarebbe difficile. Il problema è quale forma darle.
Una strada la stanno esplorando i sauditi, che hanno discusso la possibilità di riportare al potere l’ex premier palestinese Salam Fayyad, mentre un’altra opzione sarebbe restituire il controllo di Gaza a Mohammed Dahlan, cacciato dalla Striscia da Hamas nel 2007 ma vicino a Marwan Barghouti, considerato ancora la speranza di Fatah. I leader militari di Hamas, tipo Yahya Sinwar e Mohammed Dief, non avrebbero alcun ruolo, eliminati o costretti all’esilio; ma quelli politici, ossia Khaled Meshal e Ismail Haniyeh, in qualche forma parteciperebbero al governo, a condizione di accettare l’esistenza di Israele.
Questo schema poi si potrebbe allargare al negoziato per la soluzione dei due Stati, con un significativo coinvolgimento economico dei sauditi, che in prospettiva incasserebbero la normalizzazione con Israele e il quasi completo isolamento dell’Iran. È un piano assai difficile, ma se gli riuscisse Biden rovescerebbe il tavolo, portando non solo alla fine della guerra, che gli farebbe recuperare molti consensi elettorali, ma passando alla storia come il demiurgo di un Medio Oriente stabile, finora solo sognato dai predecessori.