
Da Eichmann ad al-Arouri, le guerre “segrete” del Mossad
«Chi ha preso parte al massacro del 7 ottobre ha firmato il proprio certificato di morte». Le parole pronunciate ieri da David Barnea, capo del Mossad, non si riferiscono direttamente all’uccisione del vice leader di Hamas, colpito martedì da un drone a Beirut, in un attacco non rivendicato da Israele ma che ha tutti gli elementi per portare la sua firma; né alle bombe che ventiquattro ore più tardi hanno provocato la morte di oltre 100 persone a Teheran, durante la commemorazione dell’assassinio del generale Soleimani, capo delle Guardie della Rivoluzione iraniana e coordinatore del sostegno agli Hezbollah libanesi e ai palestinesi di Hamas, un’azione che invece non ha le modalità delle esecuzioni mirate condotte da Israele e rappresenterebbe una svolta senza precedenti se venisse da Gerusalemme. Ma l’intervento del capo del celebre servizio segreto dello Stato ebraico è comunque la prima conferma ufficiale che Israele ha aperto la caccia in tutto il Medio Oriente, se necessario pure altrove, agli autori della peggiore carneficina di ebrei dall’Olocausto in poi.
Mentre la risposta israeliana all’eccidio del 7 ottobre prosegue con una guerra pubblica a Gaza, Israele ha dunque iniziato un’altra delle sue “guerre segrete” assegnate ai servizi di sicurezza. In passato ce ne sono state principalmente tre.
La prima fu la campagna contro gli ex-nazisti responsabili della Shoa, il cui episodio più famoso è stato la cattura nel 1960 di Adolf Eichmann in Argentina e il suo trasferimento clandestino a Gerusalemme, dove venne processato, condannato a morte e impiccato: l’unica pena capitale eseguita nei 75 anni di storia dello Stato ebraico.
La seconda fu ordinata nel 1972 per colpire autori e mandanti della strage di atleti israeliani alle Olimpiadi di Monaco: una rappresaglia durata due decenni, con decine di palestinesi uccisi dal Mediterraneo all’Europa, come ha raccontato il film Munich di Steven Spielberg.
La terza ha messo nel mirino Hamas e i suoi protettori iraniani, da quando il movimento fondamentalista islamico palestinese, considerato un’organizzazione terroristica da Stati Uniti, Unione Europea e Regno Unito, ha avviato a metà anni Novanta un’intensa campagna di attentati. Fra i bersagli scelti da allora figurano lo sceicco Ahmed Yassin, leader spirituale di Hamas, ucciso a Gaza da un missile nel 2004, e Khaled Meshal, all’epoca capo del braccio politico di Hamas, sopravvissuto a un tentativo di avvelenamento nel 1997 ad Amman. Per fare un altro esempio, nessuno dei membri di Hamas coinvolti nel 2005 nel rapimento del soldato israeliano Gilad Shalit, scambiato per 1.027 detenuti palestinesi dopo cinque anni di prigionia a Gaza, oggi è ancora vivo. Lo stesso destino possono aspettarsi i militanti che il 7 ottobre hanno ucciso 1.200 israeliani e ne hanno presi 240 in ostaggio.

Le guerre segrete di Israele non sono un semplice “occhio per occhio” biblico: hanno una funzione di deterrenza. «Tutto il valore del mio lavoro», diceva il “cacciatore di nazisti” Simon Wiesenthal, «sta nell’ammonimento agli assassini di domani: non avrete mai pace», monito che riecheggia nelle odierne parole del capo del Mossad.
Si può discutere se per la sicurezza israeliana sia più utile «fare la pace con i nemici», come disse il premier israeliano Yitzhak Rabin stringendo la mano nel 1993 a Yasser Arafat alla Casa Bianca, una pace che del resto Israele ha cominciato a fare con i suoi vicini arabi: l’aggressione di Hamas del 7 ottobre mirava appunto a impedire che provasse a estenderla ai sauditi e ai palestinesi più moderati guidati da Abu Mazen in Cisgiordania.
Ma in Medio Oriente, come affermava Ehud Barak, un altro premier israeliano impegnato a fare la pace, Israele rappresenta «una villa nella giungla», cioè un’isola di democrazia in mezzo a regimi e movimenti autoritari, illiberali o terroristi: concetto non sempre compreso, per mantenere la stessa metafora, da chi in Occidente ha la fortuna di vivere in una villa circondata da altre ville. Perciò, se da un lato si mostra disponibile al dialogo, dall’altro Israele avverte: chi massacra ebrei firma il proprio certificato di morte.