Gaza, quei Suv inutili arrivati a Rafah. Qui anche i ricchi vivono in tenda

RAFAH — Cosa ci fa un Suv parcheggiato davanti a una tenda in un campo profughi di Rafah? È lì per permettermi di spiegarvi meglio cos’è una guerra.

Tra il milione e mezzo di persone che da settimane sono stipate in questa località del Sud di Gaza, ci sono chiaramente anche quelli che prima del 7 ottobre chiamavamo ricchi. Persone con buone disponibilità economiche che però, dall’inizio dell’azione militare israeliana, non sono riuscite a lasciare la Striscia. E già questo basta a suggerire che quando la pace scompare la funzione dei soldi si altera.

Tra i primi ad arrivare qui a Rafah ci sono stati proprio loro, i ricchi, che sfruttando il potere d’acquisto sono riusciti ad affittare i pochi appartamenti disponibili. Con il passare del tempo poi qui hanno iniziato ad arrivare tutti, dal Nord, dal centro, dall’Est. La città, un tempo abbandonata e molto lontana dallo stile di vita di Gaza City, si è trasformata in una grande tendopoli: le poche case libere, dicevamo, erano già state prese in affitto dai più benestanti; gli alberghi non esistono perché qui non è mai esistito un turismo e le case, non dovendo accogliere grandi flussi di persone perché qui non viene nessuno, sono palazzine a pochi piani. Trovare un posto dove stare è dunque impossibile.

Metropolis/467 - Gaza, Sami al-Ajrami: "Ecco le tende di Rafah, rifugio dalla pioggia e dal freddo"

E anche gli ultimi ricchi si rendono conto che davanti a una guerra i soldi non valgono niente. Così, arrivati qui con i loro Suv, non possono fare altro che spendere il loro denaro per comprare legno e nylon e costruire delle tende davanti alle quali posizionare i loro ultimi averi: macchine costosissime che servono per andare in nessun luogo. Girando per i campi profughi di Rafah è facile osservare una contraddizione che racconta bene la follia della situazione: da un lato le tende dei poveri, ovvero la stragrande maggioranza, realizzata con qualche tessuto e pochi rami, soggetta alle intemperie, dove il freddo entra senza bussare; dall’altro tende di un livello superiore, composte da almeno due o tre ambienti diversi, protette da pesanti metrature di plastica trasparente e con le auto parcheggiate fuori.

Contraddizione nella contraddizione, per muoversi con quei mezzi bisogna necessariamente ricorrere al mercato nero, considerato che dall’inizio della guerra in tutta la Striscia di Gaza non ci sono più benzinai aperti. Così chi ha bisogno di carburante deve iniziare un lungo percorso fatto prima di domande e indicazioni alla ricerca del venditore, poi di un cammino verso il luogo dell’acquisto dove, chi è riuscito a stiparla, la fornisce in grande segretezza a prezzi da capogiro. Oggi per un litro si possono spendere fino a 14 dollari, prima non si pagava più di due.

Gaza, barbiere al lavoro nella bottega sventrata: le immagini

La stessa vertiginosa progressione ha influenzato tutto il mercato di Gaza. Il cibo non è più disponibile nei negozi e chi non vuole mangiare soltanto lo scatolame fornito dagli aiuti umanitari può tentare di comprare la poca frutta e verdura che negli ultimi giorni è arrivata dall’Asia sui banchi del mercato nero. Un chilo di mele si trova a dieci euro, cinque volte il prezzo pre-guerra; lo zucchero che prima veniva circa un dollaro ora si trova raramente e ne costa almeno 8, una lattina di Pepsi ora costa il triplo di un tempo. Ma è soprattutto il costo degli affitti a sorprendere: quelle pochissime case rimaste libere, un tempo sul mercato a 200-300 dollari, ora costano circa 5mila dollari al mese.

Parliamo poi di un denaro che quasi più nessuno ha a disposizione, perché c’è un giro ristretto di moneta contante, con tutte le banche della Striscia chiuse, la maggior parte delle persone rimasta senza lavoro e come unico ingresso di denaro l’eventualità di farsi inviare da fuori, spesso dalla Cisgiordania, denaro da parenti e amici attraverso i sistemi di money transfer.

(testo raccolto da Benedetta Perilli)