La rete di tunnel a Gaza? «È ancora in piedi»: perché mesi di guerra non sono riusciti a distruggere l'infrastruttura di Hamas
Allagamenti con acque marine, introduzione di sostanze gelatinose, robot e unità scelte e cinofile hanno provato a danneggiare la «metro» da 400 chilometri: finora, con risultati insoddisfacenti, per l'esercito israeliano
I tunnel di Gaza non «finiscono» mai.
Ogni settimana l’esercito israeliano annuncia la distruzione di nuove «sezioni», compresa una galleria di circa 2.5 chilometri a Shejaiya usata per «comando e controllo» dalla Jihad Islamica. Nella stessa zona ne sono state individuate per un totale di 6 chilometri, a dimostrazione di un problema mai risolto.
«La rete sotterranea funziona ancora»
Un rapporto dell’Idf, rilanciato da Channel 12, è stato netto: la rete sotterranea è in piedi, funziona, permette ai guerriglieri di combattere, spostarsi e sorprendere il nemico. I cunicoli sono in buone condizioni nella parte centrale di Gaza, a Rafah e, appunto, a Shejaiya, dove i militari erano già stati per contrastare la guerriglia. Ma sono dovuti tornare in una partita che si apre e si chiude continuamente perché gli operai palestinesi non smettono di scavare. A Khan Younis, scrivono i media israeliani, la resistenza ha piccoli laboratori dove viene preparato il cemento per rinforzare i punti danneggiati e creare nuove diramazioni.
«Una bonifica completa? Servono mesi»
Sempre le fonti citate dai giornali avevano messo in guardia sui tempi. Una bonifica completa della zona al confine con l’Egitto richiede come minimo sei mesi, periodo ancora più lungo per Khan Younis, una delle roccaforti. Indiscrezioni sostengono che Tel Aviv avrebbe chiesto al Cairo la realizzazione di una barriera nel sottosuolo alla frontiera, una replica di quanto fatto dagli israeliani nella parte settentrionale. Una misura ulteriore dopo che le forze di al Sisi hanno messo fuori uso molti cunicoli utilizzati per il contrabbando con Rafah. E non da oggi.
L'acqua e i liquami delle fogne
Secondo fonti vicine al Qatar gli egiziani, nel solo periodo 2011-2015, avrebbero eliminato centinaia di tunnel, una cifra impossibile da verificare ma che è la prova di una collaborazione nota. Nello stesso articolo tornava l’idea della creazione di un canale pieno d’acqua, ulteriore mossa dopo aver usato in passato i liquami delle fogne.
Ma quanto sono estese le gallerie?
Dopo quasi un anno di conflitto il quadro è sempre complesso. Con alcuni elementi.
1) Ad oggi non è ancora chiaro quanto siano estese le gallerie. I vertici di Hamas, nel 2021, si sono vantati di una «metro» ampia oltre 400 chilometri. Difficile dire se la cifra sia reale, però non c’è dubbio che non è limitata. E comprende diverse «categorie»: per le infiltrazioni in territorio israeliano; i cunicoli riservati ai commandos per gli attacchi o tramutati in postazioni per mortai; i rifugi «difensivi» e i bunker che accolgono i dirigenti e alcuni degli ostaggi.
2) L’Idf sapeva della minaccia, l’ha studiata, ha dedicato risorse perché era prevista ma probabilmente l’ha sottostimata o non è bastato il lavoro svolto. E durante l’invasione ha provato a trovare rimedi. L’allagamento con acque marine, introduzione di sostanze gelatinose, robot, unità scelte e cinofile.
3) Hamas, così come molte altre organizzazioni, ha confermato capacità di tenuta riuscendo anche a riprendere la produzione di armi semplici però sufficienti a provocare perdite, come gli antitank RPG e mine.
Quarto) I tunnel si sono rivelati fondamentali. In qualche caso abbinati alla tattica degli edifici trappolati: i combattenti hanno realizzato passaggi attraverso i quali hanno piazzato cariche esplosive all’interno di case fatte poi detonare. In alcuni casi imboscate favorite dall’uso di piccole telecamere, comprese quelle recuperate da autovetture.