Una Nato a prova di Trump e le legge sulla leva in Ucraina America-Cina del 3 aprile

America-Cina Il Punto | La newsletter del Corriere della Sera
testata
Mercoledì 3 aprile 2024
La Nato, i suoi primi 75 anni e il prossimo segretario
editorialista di Andrea Marinelli

Buongiorno, e bentornati a bordo di AmericaCina: oggi la nostra newsletter salpa da Bruxelles, dove ha sbirciato l’incontro dei ministri degli Esteri della Nato (sopra, nella foto Afp di Kenzo Tribouillard, il segretario dell’Alleanza Jens Stoltenberg), e poi navigherà le acque turbolente dell’Ucraina, dove Zelensky ha firmato la nuova legge sulla leva che dovrebbe entrare in vigore a maggio, della Russia, che avrebbe ricevuto da Washington un avvertimento sul possibile attentato del Crocus e lo ha ignorato, e della Bielorussia, dove è stato arrestato un leader dei verdi.

Negli Stati Uniti c’è un altro Don che fa notizia: non è Trump, ma gli ha pagato la cauzione da 175 milioni di dollari. Il Donald originale può godersi anche i risultati di un sondaggio sui 7 Stati in bilico, quelli che decideranno l’elezione di novembre e che sembrano preferirlo a Biden. A frenare il presidente in carica è la percezione dell’economia nazionale ma anche la situazione internazionale, a cominciare dal Medio Oriente: ieri il presidente si è definito «indignato» per l’uccisione dei 7 cooperanti da parte di Israele.

A Taiwan c’è stato un terribile terremoto, il peggiore da 25 anni, che ha causato almeno 9 morti e 800 feriti. Elon Musk è invece alle prese con un momento difficile: l’auto elettrica frena, Twitter (ora X) non cinguetta più, Marte sembra una «pericolosa illusione».

Restano i reali: quelli inglesi che aprono al pubblico il castello di Balmoral; quelli giapponesi che sbarcano su Instagram (con 15 anni di ritardo).

Buona lettura.

La newsletter America-Cina è uno dei tre appuntamenti de «Il Punto» del Corriere della Sera. Potete registrarvi qui e scriverci all’indirizzo: americacina@corriere.it.

1. Una Nato a prova di Trump
editorialista
di Francesca Basso
corrispondente da Bruxelles

imageIl quartier generale della Nato (foto Ap/Virginia Mayo)

Quello di cui discuteranno oggi e domani i ministri degli Esteri dei Paesi Nato — ricorrono anche i 75 anni dell’Alleanza Atlantica — è concentrato nelle parole del segretario generale Jens Stoltenberg al suo arrivo alla riunione: «È necessario spostare le dinamiche di sostegno a un’assistenza di sicurezza affidabile e prevedibile della Nato all’Ucraina, in modo da fare meno affidamento sui contributi volontari e più sugli impegni della Nato, meno sulle offerte a breve termine e più sugli impegni a lungo termine».

Il ragionamento risulta chiaro se si considerano i timori che sta suscitando in Europa una possibile rielezione di Donald Trump alla guida degli Stati Uniti. Meglio prepararsi al peggio. «I ministri discuteranno di come la Nato possa assumersi maggiori responsabilità nel coordinamento dell’equipaggiamento militare e dell’addestramento per l’Ucraina, ancorando tutto ciò all’interno del solido quadro della Nato», ha proseguito Stoltenberg, aggiungendo che «discuteremo anche di un impegno finanziario pluriennale per sostenere gli aiuti».

In pratica l’idea è di sottrarre al formato di Ramstein, guidato dagli Stati Uniti, parte dei suoi compiti e trasferirli a Bruxelles. Stoltenberg presenterà anche l’ipotesi di istituire un fondo da 100 miliardi di euro in cinque anni per assistere militarmente l’Ucraina. La decisione vera e propria potrebbe arrivare al summit di Washington in luglio, che riunirà i leader dei Paesi dell’Alleanza. In quella occasione ci sarà anche la nomina ufficiale del nuovo segretario generale che prenderà il posto di Stoltenberg.

La convergenza sul nome era attesa per questo vertice ma la candidatura all’ultimo minuto del presidente romeno Iohannis ha sparigliato le carte. In corsa con lui c’è il premier olandese uscente Rutte che ha il sostegno di 28 Paesi su 32 (serve l’unanimità). Restano da convincere Ungheria, Turchia, Slovacchia e Romania, che ha appunto il proprio uomo. Gli Stati Uniti vorrebbero che una decisione fosse presa prima delle elezioni europee per arrivare al summit di luglio con la partita risolta in modo da sottrarre il posto Nato dai negoziati sui top jobs Ue. Iohannis non ha comunque chance e l’ipotesi di un terzo nome non è all’orizzonte.

2. Zelensky e la chiamata alle armi
editorialista
di Lorenzo cremonesi
inviato a Kiev

imageVolodymyr Zelensky, 46 anni, consegna a un soldato l’onoreficenza di «eroe dell’Ucraina» (foto Afp)

Il presidente ucraino Volodrymyr Zelensky firma una parte della nuova legge che prevede la prossima leva per sostituire le truppe che da oltre due anni sono mobilitate per la guerra. Tra i provvedimenti firmati c’è anche quello che abbassa la leva dai 27 ai 25 anni. Il parlamento dovrebbe votare il testo finale entro aprile e la legge entrare in vigore ai primi di maggio. Un iter burocratico lento per una legge invece che è urgente.

Gli ucraini necessitano di truppe fresche per fronteggiare un nemico molto più numeroso e meglio armato deciso a lanciare presto una nuova offensiva. Putin ha intenzione di reclutare altre 150.000 soldati. Zelensky aveva procrastinato ben sapendo che la nuova chiamata alla leva è oggi molto impopolare nel suo Paese: l’aveva chiesta con urgenza l’autunno scorso l’ex capo delle forze armate Zaluzhny, che si aspettava almeno mezzo milione di nuovi soldati. Oggi si parla di circa 300.000.

Zelensky ora sconta una «pace impossibile»: le richieste e la paralisi: leggi sul sito del Corriere, cliccando qui.

3. Washington aveva avvisato Mosca di un possibile attacco al Crocus
editorialista
di Guido Olimpio

imageLa facciata incenerita del Crocus City Hall di Krasnogorsk, appena fuori Mosca (foto Afp/Natalia Kolesnikova)

Nuovi dettagli sull’allarme Usa sul rischio attentati in Russia. Due settimane prima della strage a Mosca gli americani non solo hanno messo in guardia i rivali sul pericolo incombente ma hanno precisato che tra i target c’era il Crocus, il grande teatro preso di mira dai terroristi jihadisti del Califfato. A rivelarlo un’esclusiva del Washington Post.

I russi, all’epoca, hanno trattato questi avvisi come mosse di propaganda statunitensi per creare insicurezza. Tre punti.

  1. È una conferma della carenza di contromisure da parte delle autorità.
  2. Solleva interrogativi sulle scelte del Cremlino.
  3. Il regime, rispetto ad una democrazia, non si sente obbligato a dare spiegazioni ai cittadini e, comunque, porta avanti la versione di killer appoggiati dai nemici esterni.

Ancora Stato Islamico, questa volta in Iran. La polizia ha annunciato l’arresto di alcuni militanti che volevano colpire la città santa di Qom. Va ricordato che il Paese è stato teatro di un massacro a gennaio, con l’attacco al mausoleo di Kherman.

Il volume della propaganda terroristica dello Stato Islamico-Khorasan continua a essere elevato, con messaggi in più lingue diffusi in rete. Per alcuni osservatori India e Cina sono tra i bersagli più esposti.

4. Arrestato in Bielorussia il leader dei verdi
editorialista
di Matteo Castellucci

imageDzmitry Kuchuk, 50 anni, arrestato il 16 febbraio

Dzmitry Kuchuk è il settimo leader politico a finire in prigione in Bielorussia. Nel regime ormai possono operare solo le formazioni asservite a Alexander Lukashenko, l’autocrate al potere da trent’anni. Il partito di Kuchuk, i Verdi, un tempo parte della famiglia ecologista europea, è stato sciolto per legge a luglio dell’anno scorso. L’attivista avrebbe voluto candidarsi alle elezioni parlamentari del 25 febbraio, ma a dicembre glielo hanno impedito. Per la cronaca, stando ai risultati ufficiali e quindi quasi sicuramente manipolati, Belaja Rus’, diretta emanazione di Lukashenko, ha preso il 46,6 per cento, seguito da socialisti e comunisti, comunque fiancheggiatori del dittatore.

Particolare inquietante: Kuchuk è stato arrestato il 16 febbraio nei pressi dell’ambasciata russa nella capitale Minsk. Era andato lì a deporre fiori e accendere una candela in memoria di Aleksei Navalny, il principale oppositore di Vladimir Putin che in quel giorno di febbraio è stato fatto morire in una prigione russa. Dopo due settimane di detenzione, le autorità hanno formulato un’accusa penale nei suoi confronti: per «attività che violano l’ordine pubblico», rischia fino a quattro anni di carcere. «Si era speso in una raccolta firme per il rilascio dei prigionieri politici», ha detto all’Ap Anatol Lyabedzka, dallo staff della leader bielorussa in esilio Svetlana Tikhanovskaya. La repressione di Lukashenko ha costretto all’espatrio o in cella l’opposizione: secondo la ong Viasna, sono almeno 1.400 i detenuti politici nel Paese.

5. L’uomo che ha pagato la cauzione di Trump
editorialista
di Viviana mazza
corrispondente da New York

imageIl miliardario Don Hankey, 80 anni

Come ha fatto Donald Trump a pagare la cauzione da 175 milioni di dollari dopo la condanna per frode della Trump Organization e mentre attende la decisione della Corte d’appello? Grazie a Don Hankey, miliardario dei prestiti subprime e al suo Knight Insurance Group. Al Los Angeles Business Journal, Hankey ha detto un anno fa che i suoi due errori più grandi, all’inizio della carriera, furono: fare affari solo con gente onesta e fidarsi del proprio istinto nel capire chi sia onesto.

Come osserva il Financial Times, in passato Hankey ha fatto donazioni alla campagna di Trump come pure al partito repubblicano ed è il principale azionista di una banca online, Axos, che ha spesso concesso prestiti all’ex presidente. Ma ora il miliardario dice all’Associated Press di aver pagato la cauzione di Trump — garantita con denaro in contanti e azioni, non è chiaro per quale valore — per motivi d’affari e non politici. Prima che la Corte d’appello abbassasse la cauzione (stabilita inizialmente a 454 milioni di dollari), gli avvocati di Trump avevano detto di essersi rivolti inutilmente a 30 compagnie di assicurazione e che gli era stato chiesta una garanzia del 120% del valore della cauzione più il 3% di spese.

Hankey, che vive a Los Angeles, possiede diverse aziende: la principale è Westlake Financial, la più importante compagnia americana per i prestiti ai rivenditori di auto (spesso usate), che consente loro di proporli ai clienti al momento dell’acquisto. L’azienda è fiorita durante il Covid, quando grazie agli assegni governativi molti americani avevano denaro contante e il costo delle auto era aumentato a causa dei problemi con le catene di approvvigionamento. Di recente, Hankey ha ampliato la sua presenza nel mercato dei prestiti al di là delle auto (dall’assistenza medica ai gioielli).

6. Donald è in vantaggio in 6 dei 7 Stati decisivi

imageDonald Trump, 77 anni, e Joe Biden, 81 anni: a novembre si contendono la Casa Bianca

(Andrea Marinelli) Donald Trump è in vantaggio su Joe Biden in sei dei sette Stati che decideranno le presidenziali di novembre, sostiene un sondaggio del Wall Street Journal, mentre il settimo è in pareggio. A sette mesi (e due giorni) dalle elezioni sono dati che valgono poco, gli equilibri cambieranno più volte, ma sei indizi costituiscono di certo una prova: in Arizona, Georgia, Michigan, Nevada, North Carolina e Pennsylvania l’ex presidente – che nel 2020 li aveva persi tutti, tranne la North Carolina – ha un vantaggio compreso fra 1 e 6 punti, mentre il Wisconsin è in pareggio. Prendendo in considerazione anche la presenza di candidati indipendenti e di terzi partiti, come Robert Kennedy Jr., il vantaggio di Trump aumenterebbe di poco nei sei Stati, fra i 2 e gli 8 punti, mentre in Wisconsin Biden sarebbe avanti di tre punti.

Al di là di questi numeri, che vanno maneggiati con assoluta cautela, il rilevamento del quotidiano conservatore — effettuato su 600 elettori registrati in ognuno degli Stati in bilico e condotto fra il 17 e il 24 marzo — mostra una generale insoddisfazione per la situazione economica degli Stati Uniti (a dispetto di quanto dicono i dati ufficiali) e conferma i dubbi sulle capacità e sui risultati di Biden, che vede anche calare il sostegno di tre minoranze fondamentali della sua coalizione: neri, ispanici e giovani. Trump è visto come il candidato che può risollevare l’economia, ma Biden ha una carta vincente: è considerato il candidato che proteggerà il diritto all’aborto, questione decisiva alle elezioni di metà mandato.

Per interpretare questi dati vanno guardati i numeri, tenendo conto che a influenzare l’oscillazione delle percentuali non saranno solo le dinamiche nazionali, come i processi di Trump o i risultati ottenuti da Biden, ma anche quelle statali, a cominciare — ovviamente, direbbe James Carville, il consulente di Bill Clinton che nel 1992 coniò la celebre frase «It’s the economy, stupid» — dall’economia locale: in molti casi, nota il Journal parlando di «dinamica inusuale», i 4.200 elettori interpellati nei sette Stati sono preoccupati dall’inflazione e dall’economia nazionale, ma poi riconoscono che le condizioni a livello statale sono buone.

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7. Biden «indignato» per l’uccisione dei 7 cooperanti a Gaza

imageI passaporti delle vittime

(Viviana Mazza) «Indignato e con il cuore spezzato»: in una nota diffusa nella notte, il presidente Joe Biden critica duramente il governo di Israele non solo per l’uccisione di 7 operatori di World Central Kitchen ma anche perché «questo non è un incidente isolato». Biden afferma che le autorità dello Stato ebraico non hanno «fatto abbastanza per proteggere gli operatori umanitari che cercano disperatamente di consegnare aiuti necessari ai civili» a Gaza.

«Questo conflitto è stato uno dei peggiori di recente memoria in termini di operatori umanitari uccisi», si legge nella nota, in cui il presidente americano chiede che l’inchiesta di Israele sia rapida e i risultati vengano resi pubblici. Gli Stati Uniti hanno «chiesto ripetutamente» a Israele di creare aree sicure per i civili e gli operatori umanitari, continua Biden.

Le sue parole riflettono la crescente frustrazione di un presidente che resta al fianco di Israele, determinato a fornirgli le armi per difendersi, ma sempre più frustrato nei confronti di Netanyahu. Queste parole però non bastano ad una parte del suo elettorato che lo critica perché non ci sono conseguenze pratiche, incluso il rifiuto della Casa Bianca, finora, a imporre limitazioni all’invio di armi (come nota il New Yorker) mentre alcune organizzazioni ebree americane sono risentite perché credono che un tono così critico contro Israele possa mettere a rischio gli ebrei in America, scrive il Wall Street Journal.

Ieri sera il presidente aveva invitato alla Casa Bianca i leader musulmani in occasione del Ramadan ma alcuni avrebbero rifiutato di partecipare. Molti a Washington conoscono bene il fondatore di World Central Kitchen, lo chef José Andrés, che ha cittadinanza americana ed è basato proprio nella capitale e che ha ricevuto ieri una telefonata di condoglianze da Biden.

8. Così Israele ha colpito il convoglio della Ong
editorialista
di Marta serafini

imageIl buco causato dal missile sul tetto dell’auto di World Central Kitchen

Tre veicoli colpiti, due blindati e uno non blindato, sette vittime. A bombardarli lunedì notte le forze di Difesa israeliane, come ha ammesso lo stesso premier Benjamin Netanyahu che ha parlato di «tragico errore». Ma come è stato possibile?

Secondo la ricostruzione del quotidiano Haaretz che cita fonti della Difesa, l’attacco parte perché le forze israeliane sospettano che un terrorista di Hamas stia viaggiando con il convoglio. La Difesa conferma ad Haaretz anche che le vetture sono chiaramente contrassegnate, ma la sala operativa dell’unità responsabile della sicurezza del percorso identifica un uomo armato su un camion che viaggia insieme al convoglio delle tre auto. Il camion raggiunge il magazzino insieme ai veicoli, con a bordo i sette operatori umanitari.

Pochi minuti dopo, le tre auto lasciano il magazzino senza il camion, sul quale si trova ancora il sospettato. Secondo fonti della Difesa, quell’uomo armato non si sarebbe allontanato dal magazzino, dunque non riparte con i sette operatori. Ad un certo punto però, mentre il convoglio sta percorrendo il percorso approvato, la sala operativa ordina ai piloti di droni di attaccare una delle auto con un missile.

A entrare in azione a quel punto, sempre secondo Hareetz, è un drone Hermes 450 che lancerà tre missili contro il convoglio delle tre automobili. Parte il primo missile. Alcuni dei passeggeri per mettersi in salvo scendono dall’auto colpita e passano su una delle altre due, continuano a guidare e informano i responsabili della ong di essere sotto attacco, ma pochi istanti dopo, un altro missile colpisce la seconda auto.

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TACCUINO | Milizie irachene e rappresaglie iraniane

(Guido Olimpio) Da seguire le iniziative delle milizie sciite irachene. Per la seconda volta in pochi giorni sono riuscite a raggiungere con droni kamikaze il territorio israeliano e in un caso hanno centrato un capannone parte della zona militare del porto di Eilat.

Una fonte del movimento ha poi minacciato di creare una forza armata in Giordania, un’estensione politica e militare da usare contro Israele sfruttando i sentimenti pro-palestinesi della società giordana. È una dichiarazione dal valore propagandistico ma che probabilmente segnala tentativi di trovare varchi in una fase di tensione pesante con scambi di colpi continui.

Il raid israeliano che ha ucciso tre alti ufficiali dei pasdaran iraniani a Damasco è destinato ad avere un seguito perché Teheran medita la sua rappresaglia mentre Tel Aviv può lanciare altri strike.

Malaysia. Indagini ancora aperte dopo l’arresto di un israeliano trovato in possesso di pistole e munizioni. Non sono esclusi nuovi fermi, altri complici dell’uomo entrato nel Paese con un passaporto falsificato. Le ipotesi sul caso restano due: quella di un operativo del Mossad oppure una presenza legata ad una faida criminale (tesi sostenuta dall’arrestato).

9. Il terribile terremoto di Taiwan
editorialista
di Guido Santevecchi

imageUn edificio collassato a Hualien, Taiwan (foto Epa)

Taiwan è abituata a fronteggiare i terremoti, ma il sisma che l’ha colpita questa mattina alle 7.58 è stato il più forte da un quarto di secolo: 7,4 gradi sulla scala Richter, livello devastante. L’epicentro è stato registrato a 25 chilometri da Hualien, città di 100 mila abitanti sulla costa orientale dell’isola. Alcuni palazzi sono crollati, altri si sono inclinati di 45 gradi, circa cento hanno subito gravi danni. Poco dopo la prima scossa, una seconda ha toccato i 6,5 gradi. È seguito uno sciame di un centinaio di scosse che secondo gli esperti è destinato a proseguire per tutta la settimana.

Nel pomeriggio la protezione civile taiwanese ha contato 9 morti e oltre 800 feriti, ma è probabile che le vittime siano molte di più, perché decine di valanghe si sono abbattute sui ponti e i tunnel di due autostrade di montagna che attraversano la contea di Hualien. Almeno 77 persone sono rimaste intrappolate nei tunnel Jinwen e Daqinqshui; 50 turisti che viaggiavano su quattro pullmini verso il parco nazionale Taroko sono dati per dispersi.

Questa zona montuosa che domina la costa centro-orientale dell’isola è scarsamente abitata, ma è molto popolare tra i taiwanesi per le sue bellezze naturali. Sull’autostrada colpita dalle frane questa mattina c’era grande traffico, perché questo pomeriggio comincia un lungo weekend di vacanza e la gente era già in viaggio. Per raggiungere i tunnel bloccati il governo ha mobilitato l’esercito che avanza tra le rocce delle frane con i bulldozer.

Il terremoto si è sentito fino a Taipei, circa 120 chilometri a Nord dell’epicentro. La tv ha mostrato scene riprese dai passeggeri della metropolitana, sballottati all’interno dei vagoni, di bambini e ragazzi evacuati verso i campi sportivi delle loro scuole, in base a procedure di sicurezza provate molte volte (non solo in previsione di terremoti ma anche per l’eventualità di un conflitto con la Cina). Sui social corrono video di un grattacielo di Taipei che oscillava mentre l’acqua della grande piscina sul tetto si rovesciava creando un effetto cascata da film catastrofico.

Il colosso mondiale dei chip Tsmc (Taiwan Semiconductor Manufacturing Company) ha sospeso la produzione in alcuni impianti nel centro dell’isola ed evacuato i tecnici. Le fabbriche dei semiconduttori sono costruite con sistemi antisismici d’avanguardia, per proteggere i macchinari di precisione e dopo un paio d’ore l’allarme è cessato. Ma servirà tempo per valutare l’impatto sulle linee di produzione tarate per produrre i microprocessori.

La terra ha tremato anche al di là dello Stretto di Taiwan, nella provincia cinese di Fujian e secondo alcune testimonianze il sisma è stato avvertito fino a Shanghai. L’Ufficio di Pechino per gli affari taiwanesi ha detto che il governo centrale segue le notizie che arrivano da Taipei con grande apprensione ed è «pronto a fornire assistenza ai compatrioti». Un gesto di solidarietà dopo che martedì 30 aerei dell’Esercito popolare di liberazione avevano volato intorno all’isola in una ormai consueta esibizione di forza.

Nel 1999 quando Taiwan era stata colpita da un altro grande terremoto, valutato in 7,6 gradi Richter, i morti erano stati 2.400 e gli edifici danneggiati 50.000. Da allora il governo ha prestato più attenzione alla preparazione per eventi sismici, ricorrenti nell’isola che si trova sull’Anello di Fuoco del Pacifico. «Taiwan si trova compressa tra la placca delle Filippine e quella Eurasiatica, che si avvicinano di oltre 7 centimetri all’anno creando uno scorrimento delle faglie», ha spiegato all’Ansa Carlo Doglioni, presidente dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia.

10. Auto, social, spazio: il difficile momento di Elon Musk
editorialista
di Massimo Gaggi
da New York

imageElon Musk, 52 anni, terzo uomo più ricco del mondo (foto Epa/Zbigniew Meissner)

Nel primo trimestre 2024 la Tesla di Elon Musk ha consegnato 386 mila auto elettriche: l’8,5% in meno rispetto allo stesso periodo dell’anno prima e il 20% in meno rispetto al trimestre precedente. Gli analisti, che prevedevano vendite oscillanti da 443 a 457 mila auto, giudicano il dato disastroso: un brusco stop dopo 10 anni di crescita molto rapida in un mercato ancora in espansione, anche se non più euforico come in passato. I mercati vedono un futuro difficile per i pionieri dell’auto elettrica: Musk, che ha già dovuto cedere a Jeff Bezos la palma di uomo più ricco del mondo a causa del declino del valore delle azioni Tesla (dall’inizio dell’anno hanno perso quasi un terzo del loro valore in una Borsa in forte crescita), ieri è andato incontro a un’ulteriore batosta, perdendo un altro 5%.

Da un’indagine degli analisti di Sensor Tower emerge, poi, che Twitter-X ha perso il 18% degli utenti nell’ultimo anno e il 23% dall’acquisizione da parte del geniale imprenditore di origine sudafricana. X nega che le cose vadano così male e sostiene di avere ancora 250 milioni di utenti (comunque sempre meno dei 259 milioni della proprietà precedente). Ma Sensor Tower ha informazioni molto dettagliate e attesta anche che, spaventati dall’invasione di messaggi di odio o pornografici e di falsità di ogni genere (conseguenza dall’eliminazione dei filtri dei contenuti immessi rete), la maggior parte dei grandi inserzionisti di Twitter hanno smesso di fare pubblicità sulla rete sociale acquistata da Musk nell’ottobre del 2022.

Corsa in salita per Elon anche nella conquista dello spazio, la sua vera passione: anche il terzo prototipo del supervettore Starship che dovrebbe riportare l’uomo sulla Luna e poi condurlo alla conquista di Marte, è esploso in volo. Stavolta è entrato in orbita e ha trasmesso molti dati, tanto che SpaceX ha dichiarato la missione un successo. Ma l’avventura marziana, vera ambizione esistenziale di Musk, si allontana: pazienza per Barack Obama che l’ha dichiarata inverosimile e inutile, con tutto quello che c’è da fare sulla Terra. L’imprenditore, sempre più in sintonia con la destra radicale di Trump, può anche deridere l’ex presidente democratico per il suo anatema. Ma ora anche lo scienziato Martin Rees, astronomo della Casa reale britannica, ha definito gli obiettivi marziani imprese non realistiche, «un’illusione pericolosa».

Musk non è il tipo che si scoraggia davanti alle difficoltà. Anzi, ha spiegato più volte che, per dare il meglio di sé, ha bisogno dello stress provocato dal concreto rischio di un fallimento. E poi lui è sempre più indispensabile per il governo federale, e soprattutto per il Pentagono, con la sua ormai fittissima rete di 5.500 satelliti Starlink e con i missili di SpaceX usati dai militari per le missioni spaziali più segrete. L’imprenditore di origine sudafricana, che ha rivoluzionato l’industria dell’auto e quella dello spazio, da quando è entrato nel mondo dei social media è divorato dalla megalomania, ma non può negare di vivere un momento molto difficile.

Grave, soprattutto, è la crisi di Tesla che è alla base della sua potenza finanziaria. Certo, dagli assalti degli houthi che, bloccando il traffico commerciale attraverso Suez e il Mar Rosso, hanno rallentato i rifornimenti a molte industrie europee, all’incendio doloso di una centrale elettrica di Berlino che ha lasciato per un po’ senza energia lo stabilimento tedesco della Tesla, non mancano giustificazioni per questo cattivo andamento. Ma oggi l’azienda di Musk non ha difficoltà a produrre: fa fatica a vendere.

Anche nell’ultimo trimestre ha costruito 46 mila vetture in più rispetto a quelle che è riuscita a distribuire. Cala la sua penetrazione nel mercato cinese dove, oltre alla concorrenza di Byd che l’ha ormai surclassata, deve ora fronteggiare quella dei giganti della telefonia — Xiaomi e Huawei — entrati nel mercato dell’auto elettrica con prodotti di alta qualità, con autonomia superiore a quelli di Tesla e a prezzi nettamente più bassi. L’azienda di Musk — che deve fronteggiare concorrenti più agguerriti anche negli Usa e in in Germania — ha un gran bisogno di allargare e rinnovare la gamma, ma il nuovo Model 2 non arriverà prima della fine del 2025 mentre nessuno sa se lo spigoloso Cybertruck, per ora venduto col contagocce, uscirà mai da questa condizione di veicolo di nicchia.

Per Musk il problema è grosso perché l’ipervalutazione di Tesla che l’ha reso ricchissimo era basata sull’aspettativa che l’azienda fosse destinata a restare stabilmente la leader incontrastata in un mercato dell’auto elettrica in continua espansione. Invece l’entusiasmo per questo tipo di veicolo si sta raffreddando ovunque. Ma, mentre gli altri produttori guadagnano, lentamente, quote di mercato, Tesla le perde e sembra destinata a continuare così per un bel po’.

11. I reali inglesi aprono al pubblico la reggia di Balmoral
editorialista
di Paola De Carolis
da Londra

imageIl castello di Balmoral, in Scozia

Si spalancano al pubblico i cancelli di Balmoral: il castello scozzese dei reali sarà visitabile quest’estate per un periodo di prova di un mese. L’escursione, che porta il nome «The Balmoral Experience», prevede gruppi guidati di massimo 40 persone con accesso, per la prima volta, a diverse sale e appartamenti utilizzati da Carlo e Camilla. Unico problema, il costo: 100 sterline a persona (116 euro circa). Chi vorrà potrà anche concedersi il tradizionale thé del pomeriggio con scones, torte e tramezzini per altre 50 sterline.

Balmoral è la reggia dove la regina Elisabetta trascorse i suoi ultimi giorni, nel settembre 2022, incontrandovi poco prima di spegnersi il primo ministro uscente Boris Johnson e la neopremier Liz Truss. È il luogo dove i Windsor si raccolgono ogni estate, amatissimo da varie generazioni di reali dai tempi della regina Vittoria e del principe Alberto che vi si concedevano lunghe passeggiate tra le brughiere e la caccia.

L’iniziativa fa parte del programma del re per accordare maggiore accesso ai palazzi della Corona: era stato Carlo ad esempio a volere l’apertura di Clarence House, in via esplorativa, già due anni fa. Sono visitabili inoltre Buckingham Palace, le gallerie d’arte del re a Londra così come in Scozia, il palazzo di Holyrood e il castello di Windsor. Se il biglietto d’entrata a Buckingham Palace è di 32 sterline, il giro turistico con guida è caro quasi quanto quello di Balmoral, 95 sterline per ogni adulto.

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12. L’ultima monarchia social
editorialista
di Clara Valenzani

Anche la famiglia reale giapponese si «arrende» alla digitalizzazione: lunedì ha lanciato il proprio profilo Instagram @kunaicho_jp, che conta già 607 mila followers (e 0 seguiti). L’account nasce con 15 anni di ritardo rispetto a quello dei Windsor: «Probabilmente era l’ultima casata a non aver ancora abbracciato completamente l’era digitale» commenta l’analista dei social media Andrew Huges. Una svolta importante per la più antica monarchia ereditaria ininterrotta del mondo, fondata nel 1926 dall’imperatore Hirohito, visto come un dio vivente.

Le circa 70 foto pubblicate — è possibile mettere like e condividerle, ma non commentarle — ritraggono momenti ufficiali e visite istituzionali, con un’atmosfera formale e un’estetica semplice e pulita dai toni neutri: i regnanti hanno sempre promosso uno stile di vita lontano dagli eccessi e dallo sfarzo ostentato, il che li ha resi molto amati. I fan lo immaginavano già: «Era ovvio che non avrebbero postato il pranzo!», commentano, apprezzando comunque lo sforzo di modernizzazione e avvicinamento alla gente comune.

Da oggi, quindi, i sudditi potranno curiosare — con moderazione — nella vita dell’imperatore Naruhito e della sua consorte Masako, conosciuta come «la principessa triste»: si ammalò di depressione dopo il parto, accusata di aver avuto di un’unica figlia femmina, Aiko, che per le leggi giapponesi non potrà aspirare al trono. La ragazza, oggi 22enne, appare insieme ai genitori nei vari post, facendo sentire la sua vicinanza al popolo anche nella vita reale: ha da poco iniziato a lavorare per la Croce Rossa, dichiarando di «voler essere al servizio di tutti».

Grazie di averci letto fin qua, a domani.

Andrea Marinelli


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