Huawei è rinata: come e perché è fallita l'offensiva degli Usa
La prima offensiva dell’America contro un colosso tecnologico cinese fu quella lanciata durante l’Amministrazione Trump – ma preparata negli anni di Barack Obama – contro Huawei. Il bilancio? È fallimentare.
Nonostante gli Stati Uniti abbiano prodigato gli sforzi – talvolta con l’aiuto di paesi alleati – per strangolare il gigante cinese delle telecom, oggi Huawei è tutt’altro che distrutta. Per certi aspetti è rinata più forte di prima. La vicenda è importante per tante ragioni, ivi compreso il fatto che la campagna anti-Huawei prefigurò sotto la presidenza Trump quelle misure di embargo tecnologico poi applicate da Joe Biden con un vigore e una determinazione perfino superiori. Se tanto mi dà tanto… non bisogna farsi troppe illusioni sulla capacità occidentale di limitare o rallentare l’ascesa della Cina in settori strategici.
Una storia partita nel 1987... dall'esercito
Faccio un balzo indietro nel tempo per ricordare il contesto in cui nacque la campagna americana anti-Huawei. Con la premessa che questa non è un’azienda “qualsiasi”. Fondata nel 1987 a Shenzhen da un ex ufficiale dell’Esercito Popolare di Liberazione, Ren Zhengfei, Huawei è un modello esemplare di capitalismo ibrido in stile cinese.
Da una parte è un’impresa privata, con l’efficienza, la snellezza e la rapidità decisionale di un capitalismo “all’americana”. D’altro lato ha sempre goduto di favori da parte delle autorità politiche di Pechino, in particolare da quando Xi Jinping è presidente. Huawei è coccolato dal regime come un esemplare di “campione nazionale” da sostenere nella competizione con gli Stati Uniti. Anche perché alcune delle sue tecnologie sono duali: hanno usi sia civili sia militari.
Le prime accuse americane nel 2012
Huawei era finita nel mirino di Washington molto prima che Trump arrivasse alla Casa Bianca, almeno dal 2012 (secondo mandato Obama) per i numerosi indizi che la sua ascesa industriale e tecnologica era stata propiziata da spionaggio e furti sistematici di know how americano. Sempre sul finire della presidenza Obama gli americani si convinsero che Huawei era una longa manus del regime di Pechino e raccoglieva informazioni al suo servizio.
All’epoca di Trump vennero al pettine due questioni diverse e specifiche. Huawei fu incriminata per avere violato le sanzioni contro l’Iran (al cumine di un'inchiesta avviata sotto Obama). Questo portò la giustizia federale Usa a spiccare un mandato d’arresto contro la direttrice finanziaria di Huawei nonché figlia del fondatore, Meng Wanzhou. L’arresto venne eseguito dalla polizia del Canada mentre Meng stava imbarcandosi a Vancouver per la Cina, nel dicembre 2018.
Il ricatto contro il Canada
L’arresto coincise con un importante summit Usa-Cina, anche se si seppe solo dopo. La detenzione della direttrice finanziaria fu “dorata” (arresti domiciliari con ampia facoltà di spostamento, in una lussuosa dimora canadese) e tuttavia Xi Jinping reagì con ritorsioni spietate facendo arrestare due canadesi sottoposti a carcere duro: una vera e propria presa di ostaggi, un sequestro di persona a scopo di "scambio", la prova di quanto Huawei e il suo top management siano cari al regime comunista. Le pressioni da Pechino furono talmente forti che il Dipartimento di Giustizia Usa sotto Biden decise di abbandonare l’istruttoria contro la signora Meng, che venne liberata dai canadesi (senza aver mai passato un giorno in carcere) nel settembre 2021.
La partita delle telecom di quinta generazione (5G)
L’altro dossier-Huawei cresciuto d’importanza durante la presidenza Trump riguardava il 5G, la telefonìa di quinta generazione. La transizione verso questa tecnologia, tuttora in corso in varie parti del mondo, dovrebbe preludere a un potenziamento di velocità per tutte le funzioni di Internet, e a un mondo dove sarà più facile l’interconnessione generalizzata o “Internet delle cose”: un balzo di efficienza e produttività, con la messa in rete di tanti apparecchi e macchinari che possono dialogare fra loro e scambiarsi informazioni.
Huawei era arrivata ad avere un vantaggio su tutti i concorrenti nel 5G: le sue infrastrutture telecom di nuova generazione erano le più avanzate, o le meno costose, o tutt’e due le cose assieme. Molti paesi, anche occidentali, avevano deciso di appaltare a Huawei la costruzione delle nuove reti 5G e le infrastrutture per gestirle.
In America si fece strada un allarme: il timore che le reti 5G di Huawei diventassero un “cavallo di Troia” dello spionaggio cinese per penetrare in gran parte del mondo. Partì una campagna diplomatica da Washington per convincere le nazioni alleate a sganciarsi da Huawei. Queste pressioni si accompagnarono a un embargo, per impedire che Huawei si approvvigionasse dei microchip più avanzati fabbricati in Occidente o a Taiwan. L’Amministrazione Biden ha ripreso, confermato e prolungato tutte le misure di Trump contro Huawei, aggiungendovene molte altre che configurano un embargo generalizzato su certe forniture di tecnologie occidentali, non solo contro Huawei ma allargato all’intera industria cinese.
La rivincita sotto il segno dell'innovazione «autarchica»
Risultato? Huawei non è morta. Ha perso alcuni mercati stranieri, ha attraversato un periodo molto difficile, però è sopravvissuta e per certi aspetti è perfino rinata. I dati sulla sua “resurrezione” li prendo da un’analisi pubblicata su The Economist. Nel primo trimestre di quest’anno l’azienda cinese ha registrato un rimbalzo formidabile dei profitti netti: +564%. Il suo fatturato totale del 2023, pari a 100 miliardi di dollari, vale il doppio di quello di Oracle, un fiore all’occhiello della tecnologia Usa. Huawei per fatturato è grande la metà di Samsung, la sua concorrente sudcoreana, però investe ancora di più in ricerca e sviluppo.
Il suo bilancio d’investimenti nell’innovazione, pari a 23 miliardi dollari nel 2023, la colloca nella top ten mondiale, dopo le big americane (Amazon, Alphabet-Google, Meta-Facebook, Apple, Microsoft). Huawei concentra sulle attività di ricerca 114.000 dipendenti, più della metà della sua forza lavoro. E proprio qui sta la chiave della “resurrezione”. La botta delle sanzioni americane-occidentali è stata dura all’inizio, poi però ha stimolato una reazione autarchica che funziona.
Huawei nei suoi prodotti è riuscita a sostituire ben 13.000 componenti stranieri con altrettanti fabbricati in Cina. Huawei come committente di microchip è diventata una forza trainante nel processo di emancipazione della Cina dall’Occidente, è la capofila che dissemina ordini a tante altre aziende cinesi per stimolarle a produrre ciò che un tempo veniva importato dall’estero.
Huaewi è ancora lontana dall’eguagliare le punte avanzate dell’America o di Taiwan. Non è in grado di competere sui semiconduttori più sofisticati. Per adesso l’autarchia cinese si sviluppa nei settori più maturi dei microchip. Però la direzione di marcia è chiara.
Le sanzioni americane sembrano avere accelerato l’innovazione cinese, anziché rallentarla. Questo conduce The Economist a suggerire che noi dovremmo concentrarci più sulle strategie positive per rafforzare la nostra superiorità, anziché sulle politiche di contenimento che s’illudono di fermare l’avanzata cinese.
22 giugno 2024
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