La finale dei 100 metri: come arriverebbe Jacobs con i tempi delle qualificazioni, il confronto con le Olimpiadi di Tokyo
Le batterie dei 100 metri sono infide, dalle semifinali in poi il mondo non è detto che resti di chi ha corso più veloce nelle qualificazioni. Marcell Jacobs è un rebus: il confronto tra la progressione di Tokyo e i primi tempi di Parigi
PARIGI Il giro di riscaldamento di sabato, cioè le qualificazioni, ha detto che i più veloci a sfuggire alla ghigliottina dei 100 metri dell’Olimpiade sono stati gli americani (Bednarek e Kerley, entrambi in 9”97), l’Inghilterra del sorprendente Hinchliffe (9”98), la Giamaica dei nipotini di Bolt (Seville 9”99, Thompson 10” netti) e l’Africa, il Paese emergente (ormai, quasi emerso: manca la consacrazione) dello sprint: Camerun (Eseme 9”98) e Botswana (Tobogo 10”01). Ma le batterie della velocità sono infide.
Vanno lette tra le righe. C’è chi si nasconde, chi risparmia ogni sospiro, chi invece spara tutto per acchiappare una inquadratura in mondovisione, ben sapendo che dalle semifinali in poi il mondo apparterrà ad altri.
In qualifica, infatti, non hanno brillato né il grande favorito dei 100 e di quattro ori ai Giochi, la pop star statunitense Noah Lyles, 27 anni, né il campione in carica italiano, Marcell Jacobs, 30 il 26 settembre. Lyles è parso contratto, quasi sorpreso dalla partenza a razzo di Hinchliffe e Maswanganyi nella sua batteria; Jacobs ha commesso errori in partenza per sua ammissione, è stato disturbato sui blocchi dalla puntura di un insetto, ha faticato per raggiungere l’efficacia della fase lanciata, quella parte supersonica dei 100 in cui le gambe girano da sole verso un traguardo che sembra piazzato a un chilometro, altro che cento metri. Cosa aspettarsi, quindi, dalla finale di stasera allo Stade de France, la gara più attesa (e appesa) di Parigi 2024? I favoriti possono ridursi alle dita di una mano.
Noah Lyles, impossibile non considerarlo: campione del mondo sulla distanza (Budapest 2023), un personal best di 9”81 stampato sul cronometro nella tappa della Diamond League di Londra, il 20 luglio, alla vigilia dei Giochi. Sui 100 di stasera il ragazzo della Florida edifica la sua personalissima Olimpiade e il sogno di eguagliare l’antenato Jesse Owens e il mito Carl Lewis: 4 ori nella stessa edizione.
Fred Kerley, l’unico sprinter, nell’epoca delle unghie maschili colorate e della cultura gender fluid, a mettere ancora su la faccia da cattivo sui blocchi. Utile parte della narrazione dello sprint, l’americano è arrivato a Parigi con in valigia il 9”88 dei Trials di Eugene, lo scorso giugno, perché lo spietato sistema di selezione degli americani obbliga gli atleti ad entrare in forma con anticipo sui cinque cerchi: l’alternativa è non piazzarsi nei top 3 ai Trials e restare a casa. Sui 100 è sprinter da 9”77, la velocità supersonica raggiunta nel 2022, anno in cui ha sbranato il Mondiale casalingo.
Kishane Thompson, dalla Giamaica con furore. Potente, massiccio, complessione da sprinter vecchio stile ma con moderna leggerezza. Allenato dal guru Stephen Francis, è la sorpresa della stagione. Ha dominato i campionati nazionali di Kingston con un roboante 9”77, poi è stato centellinato. Un po’ per non stancarlo, un po’ per mantenerlo fuori dai radar.
Non dimentichiamoci che a Tokio, tre anni fa, Jacobs vinse anche perché non lo videro arrivare, oltre perché era velocissimo (9”80 è tutt’oggi record europeo). Il grande dubbio è la tenuta di Thompson sui tre turni: le qualificazioni di sabato, la semi e la finale di oggi. Sul fatto che in batteria (10”) abbia passeggiato, invece, nessuna discussione.
Letsile Tebogo. Giovanissimo, 21 anni, ex giocatore di calcio, cresciuto nel mito di Bolt, non avendo il Botswana tradizione nello sprint. Grazie a Tebogo, argento mondiale l’anno scorso a Budapest in 9”88, l’Africa ha piazzato la sua bandierina sul mondo della velocità. Intenzionata a fare danni anche a Parigi.
E infine lui, Marcell Jacobs. Più che un mistero, un rebus da interpretare ogni volta che corre. Non c’è gara in cui non parli di errorini, cose da sistemare, pit stop ai box, pezzi da ricomporre. Il puzzle Jacobs, dopo i fuochi d’artificio doppi dell’olimpiade giapponese (100 e 4x100), è andato in pezzi e si è ricomposto più volte, a fasi alterne, dominante in Europa ed evanescente nel mondo (con la certezza della staffetta). In questa stagione, assistito dalla salute che pare aver ritrovato in Florida alla corte del guru Rana Reider (però l’andirivieni dal dottor Muller-Wohlfahrt a Monaco di Baviera, il mago dei muscoli di Bolt, è continuato: ultima visita alla vigilia del raduno azzurro delle staffette, la settimana prima della partenza per Parigi), ha corso più del solito. Mai stupendo. E, soprattutto, mai tornando ai crono superbi dell’anno di grazia 2021. 9”92, il suo primato stagionale (Turku, 18 giugno), non è garanzia di podio. Men che meno lo è il 10”05 delle qualifiche, ottenuto impegnandosi, non trotterellando. La strepitosa progressione di Tokyo tra batteria e finale (9”94, 9”84, 9”90), insomma, pare un ricordo. Felici di essere stupiti.