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Usa, i tre fronti di Biden (e le nuove tensioni con Bibi): le armi, la tregua, i migranti
Negli ultimi giorni la Casa Bianca ha trasmesso un senso di urgenza su vari fronti: giovedì è stato rivelato che, dopo 27 mesi d’insistenza che le armi Usa non possono essere usate da Kiev in territorio russo per timore di un’escalation, Biden ha acconsentito ad «un’eccezione»» per alcune zone di confine pur ribadendo di «non aver cambiato politica»; venerdì il presidente americano ha illustrato il «piano di pace di Israele» (di cui Netanyahu non aveva rivelato i dettagli e che non piace ai ministri di estrema destra di cui ha bisogno per restare al potere) dichiarando che «è tempo che questa guerra abbia fine». In un’intervista a «Time», quando gli è stato chiesto se il premier israeliano stia «prolungando la guerra per motivi politici», il presidente americano ha detto: «Ci sono tutte le ragioni per cui la gente possa trarre questa conclusione». Poi, però, ieri Biden ha fatto una precisazione: non crede che Netanyahu usi la guerra a scopi politici ma che «stia cercando di risolvere alcuni seri problemi che ha». Il commento è arrivato a sorpresa: Biden si è fermato e ha risposto alla domanda di un reporter alla fine di un discorso sull’immigrazione, a riprova dell’accavallarsi dei dossier. Il presidente ha infatti annunciato ieri un ordine esecutivo che prevede di chiudere temporaneamente il confine ai richiedenti asilo che entrano illegalmente quando gli ingressi superano i 2.500 al giorno: una stretta per lui inedita che giustifica accusando i repubblicani, istigati da Trump, di rifiutare la riforma dell’immigrazione. Una decisione criticata da alcuni alleati progressisti e dall’American Civil Liberties Union: «Abbiamo fatto una solenne promessa ai rifugiati dopo la Seconda Guerra mondiale». Il senso di urgenza mostra che il tempo per Biden «sta scadendo», osserva il Times. Il portavoce Kirby spiega: «È una combinazione tra cercare di anticipare e di rispondere in tempo reale alle sfide».