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Strade vuote e silenzio assordante in molte città dell’ex Birmania: stamattina milioni di persone non sono uscite di casa per protestare contro la giunta che tre anni fa oggi ha deposto con un golpe Aung San Suu Kyi. E dopo tre anni di completo silenzio e nessuna informazione su dove si trovi la premio Nobel per la Pace, la sua famiglia ha ricevuto la sua prima comunicazione da quando è stata rimossa. In una lettera scritta a mano al figlio Kim Aris, che vive nel Regno Unito, racconta di stare abbastanza bene a parte i problemi dentali e un’infiammazione dolorosa delle articolazioni della colonna vertebrale. Intanto a Rangoon, la capitale economica, risuonano gli inviti dell’opposizione a protestare «silenziosamente» contro i generali. Una strada deserta nella città di Yangon per la protesta silenziosa dei cittadini birmani (foto Afp) «Sono felice di vedere che non ci sono molte persone per strada — ha osservato un’impiegata, che ha deciso di non uscire di casa tra le 10 e le 16, ore locali —. Questa è la prova della nostra unità contro il colpo di stato», ha riferito all’Afp, a condizione di restare anonima per ragioni di sicurezza. Gli appelli del segretario dell’Onu Guterres per un ritorno alla democrazia cadono nel vuoto: la giunta ha prolungato ieri lo stato di emergenza in vigore dal golpe per altri sei mesi, rinviando ancora una volta le elezioni promesse e condizionandole al ritorno alla normalità, una sfida in un Paese lacerato da un sanguinoso conflitto civile. In nome della «lotta ai terroristi», l’esercito perseguita i sostenitori del ritorno alla democrazia con metodi violenti: più di 4.400 persone sono state uccise nella repressione post-colpo di Stato, i combattimenti hanno provocato lo sfollamento di oltre due milioni di civili, stimano le Nazioni Unite. Numeri che hanno procurato alla Birmania l’ostracismo da parte della comunità internazionale. La giunta ha bruciato villaggi, effettuato esecuzioni sommarie e utilizzato bombardamenti aerei e attacchi di artiglieria per punire le comunità che rifiutavano il suo potere, hanno denunciato gruppi per i diritti umani e oppositori. L’esercito ha preso di mira anche i media ritenuti critici, revocando le autorizzazioni alla trasmissione o imprigionando decine di giornalisti. Nel 2023, la Birmania è diventata la seconda prigione per giornalisti più grande al mondo, subito dopo la Cina, con 43 reporter dietro le sbarre, secondo il Comitato per la protezione dei giornalisti. |
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