Il vertice Ue di oggi, in diretta | Le mosse di Meloni su von der Leyen. Tajani: «L'Italia ha diritto alla vicepresidenza e a un commissario di peso»
Meloni e lo «schema» per l'Ue
(Marco Galluzzo) Meloni ha avuto un primo scambio di impressioni con von der Leyen durante il G7, confronto che è rimasto finora riservato, e che comunque si è mantenuto in una cornice che non poteva essere che interlocutoria, visto il riserbo che in queste ore mantiene l’esponente del Ppe tedesco, e vista l’incertezza del nostro governo, che di sicuro punta a una vicepresidenza di peso e a delle deleghe che siano in grado di incidere nella prossima legislatura della Ue, ma che non conosce ancora il punto di caduta: scartata la Concorrenza, che l’Italia non può chiedere se non altro per le tante partite aperte con Bruxelles proprio su questo tema, ed esclusa l’Economia affidata a Gentiloni negli ultimi cinque anni, sono altre le materie che Meloni può chiedere a Ursula, e che quest’ultima può concedere.
Il Bilancio o la Difesa, o una delega ad hoc che supervisioni i nuovi strumenti finanziari della Ue, sono al momento i dossier su cui sembra più concentrato lo staff di Giorgia Meloni. Nel primo caso ci vorrebbe un candidato che abbia delle competenze specifiche, e anche se lui stesso si mostra restìo, resta in pista il nome di Giancarlo Giorgetti; nel secondo caso il nome di Elisabetta Belloni, attuale capo del Dis e sherpa del G7, sarebbe spendibile per le competenze geopolitiche e diplomatiche, visto che il futuro di una Difesa europea, spacchettata dall’attuale delega all’Industria, ha aspetti e risvolti politici molto marcati.
In ogni caso c’è una quasi certezza sullo schema che dovrebbe accompagnare il ruolo di Meloni nell’eventuale fiducia bis a von der Leyen. Per essere riconfermata, l’attuale presidente della Commissione Ue ha bisogno dell’aiuto della nostra premier. Che potrebbe anche non essere decisivo, ma che — visti i precedenti — assume le forme di un’assicurazione contro gli imprevisti.
Se infatti von der Leyen cinque anni fa dovette subire un’emorragia di voti pari ad almeno 80 deputati per colpa dei franchi tiratori e del voto segreto, fra un mese — il 18 luglio — vuole presentarsi di fronte ai nuovi deputati europei con più di una garanzia. Le previsioni che circolano a Bruxelles in queste ore prevedono almeno il 10% di franchi tiratori, su 440 voti che sulla carta von der Leyen ha. Se fossero il doppio, addio alla nomina. Ecco perché almeno 30 deputati dell’Ecr, che Meloni controlla, sono preziosi. Un appoggio che Meloni potrebbe dichiarare in pubblico, chiarendo che non si tratta comunque di un sostegno politico e organico per il resto della legislatura. Ovviamente se von der Leyen darà a sua volta garanzie su quello che la nostra premier le chiederà.
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Von der Leyen e l'incognita dei franchi tiratori
(Francesca Basso) Ursula von der Leyen, per essere riconfermata presidente della Commissione europea, deve passare la doppia prova dei leader Ue (maggioranza qualificata) e del Parlamento (361 voti su 720 eurodeputati). Perché, secondo i Trattati, i capi di Stato e di governo designano la guida dell’esecutivo tenuto conto dell’esito delle elezioni europee.
Ma è il Parlamento che nomina il presidente della Commissione con il voto in plenaria. Quindi alla cena informale di lunedì sera ci sarà il primo passaggio, che poi andrà formalizzato nel Consiglio europeo di fine mese.
Il secondo step sarà il voto in plenaria a Strasburgo, se tutto filasse liscio, il 18 luglio.
Basteranno per il bis i voti di Ppe, socialisti e liberali? E quale potrà essere il ruolo di Giorgia Meloni? A poche ore dal vertice il premier polacco Donald Tusk chiarisce la sua posizione: «Non è mio compito convincere Giorgia Meloni. Abbiamo già una maggioranza in Parlamento. La mia sensazione è che sia un punto più che sufficiente ad organizzare l'intero nuovo panorama, incluso il presidente della commissione».
Il Ppe è il primo gruppo al Parlamento europeo con 190 seggi, seguito da S&D con 136, da Renew Europe con 80 e dai conservatori dell’Ecr con 76, Identità e democrazia 58, i verdi 53, la Sinistra 39. I non iscritti sono 45 e i non affiliati 44.
I tre maggiori gruppi contano 406 eurodeputati, quindi 45 in più rispetto al quorum richiesto.
Socialisti e liberali hanno posto come condizione per sostenere von der Leyen che non ci sia alcun accordo con la destra e l’estrema destra riunita nei gruppi dell’Ecr e di Identità e democrazia (Id). E il Ppe ha detto che il punto di partenza dei negoziati sarà la piattaforma formata da popolari, socialisti e liberali come nella precedente legislatura.
Ma poiché il voto è segreto, ci sono i franchi tiratori che possono mettere in pericolo il sostegno della «maggioranza Ursula».
Per questo von der Leyen è costretta a cercare altri voti.
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Meloni all'hotel Amigo
Meloni è arrivata con ore di anticipo a Bruxelles, rispetto all'orario della cena. L'obiettivo era quello di delineare, con una serie di incontri, la strategia, prima di entrare nel vertice informale.
Molti gli incontri: dal presidente del Consiglio europeo Charles Michel al premier ungherese Viktor Orban («Von der Leyen bis? Tutto è molto fluido ora, vedremo»), al vice presidente del partito sovranista polacco PiS, Mateusz Morawiecki («Incontro molto costruttivo»).
L'obiettivo del partito polacco è quello di formare un «nuovo gruppo» a destra nel Parlamento europeo che racchiuda, oltre a Fratelli d'Italia e il PiS, anche Fidesz, partito di Orban, e il Rassemblement National di Marine Le Pen con cui le fonti spiegano di esserci «in diretto contatto».
Tusk: «Non devo convincere Meloni, c'è già una maggioranza»
«Non è mio compito convincere Giorgia Meloni. Se capisco bene ora abbiamo una maggioranza al Parlamento europeo ricostruita dai partiti di centro come Ppe, socialdemocratici, liberali e alcuni piccoli gruppi».
A parlare è il premier polacco Donald Tusk - altro profondo conoscitore delle dinamiche europee, essendo stato presidente del Consiglio. Che cerca di «smarcarsi» rispetto a Meloni, uscita vincitrice dal voto europeo in Italia.
«La mia sensazione», ha detto, «è che questo sia più che sufficiente per definire l'intero nuovo panorama, incluso chi guiderà la Commissione europea».
Le parole di Tajani
«Io credo che l'Italia debba avere un vicepresidente e un portafoglio di grande importanza. Siamo la seconda manifattura d'Europa, siamo un Paese fondatore. Abbiamo un ruolo importante da svolgere. Credo che all'Italia spetti una una vice presidenza e un portafoglio non di secondo livello»: a dirlo, chiarendo ufficialmente le attese dell'Italia, è stato il vicepremier e ministro degli Esteri Antonio Tajani.
Tajani - va ricordato - è anche un profondo conoscitore dei meccanismi europei, essendo stato presidente del Parlamento Ue.
Il vertice di oggi
(Alessandro Trocino) Questa sera alle 18 - scrive Francesca Basso - i capi di Stato e di governo dei 27 Paesi Ue si incontrano in una cena informale, organizzata dal presidente del Consiglio europeo Charles Michel, per discutere di chi dovrà ricoprire i posti di vertice delle istituzioni Ue. In discussione ci sono la presidenza della Commissione, del Consiglio europeo, del Parlamento e il ruolo di Alto rappresentante per gli Affari esteri. La decisione formale, invece, è attesa nel Consiglio europeo del 27 e 28 giugno.
• Sarà von der Leyen bis?
Non è detto. La presidente della Commissione è stata votata, a fatica, dal Ppe, come prevede il sistema dello Spitzenkandidat (il partito che vince le elezioni designa il candidato). Peccato che sia una prassi non prevista dai trattati e che non piace a molti. La stessa von der Leyen non era la Spitzenkandidat la volta scorsa: allora era Manfred Weber, ma il presidente francese Macron si mise di traverso. Adesso von der Leyen, che è tornata a essere la favorita dopo le critiche in campagna elettorale, deve passare la doppia prova dei leader Ue (maggioranza qualificata) e del Parlamento (361 voti su 720 eurodeputati).
• L’Italia chi tifa?
Meloni ha un buon rapporto con von der Leyen, che subisce invece l’ostracismo di Matteo Salvini. Antonio Tajani, intervistato da Paola Di Caro, mette in chiaro che «il Ppe ha vinto, i socialisti non hanno vinto, i liberali hanno avuto difficoltà». E dunque che al Ppe devono andare Metsola per il Parlamento europeo e von der Leyen per la Commissione. Non solo: l’Italia vuole un vicepresidente e un commissario di peso. Quanto all’ipotesi Enrico Letta al Consiglio europeo, visto che tocca ai socialisti, Tajani apre: «Ha un profilo sicuramente importante, anche perché viene dalla tradizione democristiana. Ma credo davvero sia prematuro fare nomi».
• La strategia di Meloni
I voti del gruppo dei conservatori, in teoria, non sono necessari a von der Leyen per la riconferma. Ma, considerati i franchi tiratori, i 30 deputati dell’Ecr, che Meloni controlla, servono eccome. Ecco perché la nostra premier farà pesare il suo via libera. L’Italia - scrive Marco Galluzzo - punta su un commissario al Bilancio o alla Difesa, o su una delega ad hoc che supervisioni i nuovi strumenti finanziari della Ue. Per il primo resta in pista il nome di Giancarlo Giorgetti; nel secondo caso, Elisabetta Belloni, attuale capo del Dis e sherpa del G7.