L'agenda di Joe Biden, tra rabbia e rischi: il primo «test» è con Netanyahu
Ha davanti sei mesi di presidenza e tanti fronti aperti: un tempo lungo vista la difficile situazione globale. In Medio Oriente potrebbe forzare i tempi per un accordo su Gaza
Benjamin Netanyahu oggi dovrebbe vedere Joe Biden, ammesso che il presidente si ristabilisca pienamente dal Covid. Domani, invece, il premier israeliano pronuncerà un discorso «impegnativo» davanti alle Camere riunite del Congresso. Ma l’incontro che suscita più curiosità potrebbe essere quello con Donald Trump. Secondo il canale tv Nbc gli «staff dei due leader starebbero studiando la possibilità di un meeting» entro il fine settimana.
L’opinione più diffusa, non solo negli Stati Uniti, è che tra «Donald» e «Bibi» ci sia un legame politico particolare, fondato anche su tante affinità personali. Altri, come John Bolton, ex ambasciatore ed ex consigliere per la sicurezza nazionale di Trump, sostengono che in realtà l’ex costruttore newyorkese detesti cordialmente il premier israeliano. Nel quadriennio trumpiano era stato Jared Kushner, il «genero-consigliere», a costruire un rapporto molto stretto con Netanyahu, antico amico di famiglia.
Ora, però, lo scenario è cambiato per tutti. Certo, come ha detto Netanyahu poco prima di imbarcarsi sul suo costosissimo e criticatissimo jet da superstar, «i nemici devono sapere che America e Israele saranno alleati sempre». Ma, per un crudele paradosso, Biden, nel momento più difficile della sua carriera, dovrà accogliere e dialogare con l’uomo che più di altri ha messo a dura prova la sua capacità di mediazione o, semplicemente, la sua pazienza.
Il premier israeliano, da parte sua, dovrà cercare di convincere i parlamentari democratici e repubblicani, la Casa Bianca, i generali del Pentagono e lo stesso Trump che i bombardamenti, le distruzioni e i 39 mila morti di Gaza erano inevitabili per raggiungere l’obiettivo vitale, condiviso fin dall’inizio con gli Stati Uniti: sradicare l’apparato militare di Hamas.
Fino a poche settimane fa lo schema dell’interazione tra Biden e Netanyahu era chiaro. L’americano costantemente impegnato a frenare, ad arginare le intenzioni di un leader sempre più precario nel suo Paese e sempre più isolato a livello internazionale.
Adesso le parti non si sono rovesciate, ma solo equilibrate. Verso il basso: dopo il passo indietro nella corsa alla rielezione, l’autorità di Biden sembra crollata rovinosamente nel borsino delle relazioni internazionali. È impressionante osservare come, nel giro di pochi giorni, molti analisti e politici americani stiano già consegnando l’era Biden al giudizio degli storici. Altri, però, chiedono cautela. Calma: «Joe» resterà nello Studio Ovale e con pieni poteri fino al 20 gennaio 2025, giorno dell’inaugurazione della nuova o del nuovo presidente. Sono sei mesi: un tempo molto lungo considerato il flusso tumultuoso di eventi nel mondo.
Ecco perché Biden potrebbe far leva proprio sul faccia a faccia con Netanyahu per risalire nella considerazione generale. E con iniziative concrete. Per esempio: forzare i tempi per la conclusione di un accordo con Hamas che porti al cessate il fuoco e alla liberazione degli ostaggi.
Ma questo ragionamento vale anche per il numero uno di Israele.
Netanyahu ha l’occasione di scavalcare quella che finora è stata l’ingombrante sagoma di Biden. Ha la possibilità di rivolgersi direttamente all’audience allargata del Congresso, dove può contare sul forte sostegno dei repubblicani e di una parte dei democratici. Si presenterà come il bastione più avanzato per la difesa non solo di Israele, ma dell’intero Occidente. Farà notare quanto sia probabile, per non dire ineluttabile, l’allargamento del conflitto in Medio Oriente. Per Netanyahu «l’asse del male», guidato dall’Iran, sta venendo allo scoperto: così si spiegano gli attacchi degli Hezbollah dal Libano e degli Houthi dallo Yemen.
Torna, quindi, l’idea di Israele sotto assedio, in guerra permanente. Una posizione temperata solo dalla decisione di inviare la delegazione israeliana in Qatar per riprendere le trattative con Hamas.