Il leader dei repubblicani in Senato Mitch McConnell, 81 anni (foto Afp/Kevin Dietsch) Mentre il segretario di Stato Antony Blinken è impegnato nella sua sesta missione diplomatica in Medio Oriente dall’inizio della guerra a Gaza innescata dai massacri di Hamas, a Washington — dopo settimane di negoziati, colpi bassi, dispute sotterranee — siamo allo scontro aperto tra Camera e Senato sull’assistenza militare a Israele, all’Ucraina e sugli interventi per frenare l’immigrazione clandestina dal confine meridionale degli Stati Uniti. Nell’autunno scorso i tentativi di Joe Biden di far approvare dal Congresso grossi pacchetti di aiuti militari all’Ucraina e a Israele furono bloccati dai repubblicani per i quali la crisi alla frontiera viene prima del sostegno a Paesi alleati o amici. Dopo alcune iniziali esitazioni, il presidente e i democratici hanno accettato di inserire nella legge sull’assistenza militare all’estero (che riguarda anche l’area dell’Indo-Pacifico) le misure più severe mai adottate dagli Usa per frenare i flussi migratori: blocco se arrivano più di 5.000 migranti al giorno col presidente che può far scattare lo stop già a quota 4.000. E assunzione di migliaia di funzionari per esaminare le richieste d’asilo e rimandare indietro rapidamente quelli che non hanno diritto (ora chi lo chiede rimane in America per anni, in genere 4, in attesa del giudizio sulla sua domanda). Mentre al Senato democratici e repubblicani negoziavano i dettagli dell’accordo bipartisan, Donald Trump, che vuole impostare la sua campagna elettorale proprio sul caos alle frontiere, è insorto: niente accordo, sarebbe un regalo a Biden. Alla Camera (a maggioranza repubblicana) lo speaker Mike Johnson, che già rischia di essere defenestrato dall’ala radicale trumpiana, si è subito allineato: «È inutile che il Senato (dove la maggioranza è democratica) vari quella legge: da noi non passerà mai». Pur sapendo che in questo modo finisce di nuovo nel mirino di Trump e dei radicali del suo partito, il leader dei senatori repubblicani Mitch McConnell, grande sostenitore della causa ucraina e convinto della necessità di aiutare gli alleati degli Stati Uniti e di finanziare le operazioni Usa nel mondo, ha continuato a negoziare. Ieri sera, raggiunto l’accordo, è stata presentata una proposta di legge da 118 miliardi di dollari (60 dei quali per l’Ucraina, 14 per Israele, 10 di assistenza umanitaria, circa 5 per l’Indo-Pacifico e 20 per le frontiere Usa) che verrà votata dal Senato a partire da mercoledì. Alla Camera Johnson non solo ha ribadito che quella legge non ha futuro nella sua aula, ma ha presentato un testo legislativo contrapposto a quello del Senato che finanzia solo Israele. Tutti e due i provvedimenti sollevano grossi malumori anche nei partiti dei proponenti: al Senato alcuni repubblicani vicini a Trump come J.D. Vance hanno definito atroce l’accordo siglato da McConnell mentre il senatore dello Utah Mike Lee ha chiesto l’immediata defenestrazione del leader dei parlamentari repubblicani. Qualche problema anche in casa democratica, dove la sinistra liberal non ha digerito la stretta sull’immigrazione. Grossi guai anche per Johnson che alla Camera ha una maggioranza di appena tre-quattro voti. Sono già diversi i deputati repubblicani filo ucraini e quelli dell’estrema destra «interventista» contrari a una misura che finanzia solo Israele. Lo speaker conta di compensare le defezioni nel suo partito col voto di parecchi democratici: Il partito di Biden osteggia questa legge e Jake Sullivan, consigliere per la Sicurezza nazionale alla Casa Bianca, ieri l’ha definita uno stratagemma malevolo. Ma Johnson scommette su una limitata pattuglia di deputati della sinistra, solidi sostenitori di Israele. Un provvedimento simile, bocciato a novembre, ottenne comunque il voto favorevole di 12 democratici. Ora lo speaker ha tolto dalla nuova legge una fonte di finanziamento — il drastico taglio dei fondi destinati al funzionamento dell’Irs, il Fisco americano — che allora aveva suscitato la dura opposizione della sinistra e anche di diversi conservatori. Se anche questo provvedimento passerà alla Camera, si creerà uno stallo. A quel punto sarà paralisi parlamentare. Per evitarla potrebbe essere convocata una conferenza comune dei due rami del Parlamento per cercare di «riconciliare» i due testi. |