Solidarietà, aiuti e sorrisi: a Gaza la guerra non ha ucciso l’amicizia

RAFAH — In questa distruzione di case e di vite c’è qualcosa che la guerra di Israele non è riuscita a cancellare a Gaza e che anzi sembra incredibilmente uscita rafforzata: l’amicizia. Tutti cerchiamo di rimanere in contatto, almeno telefonicamente, con i nostri vecchi amici. E nuovi legami si creano dal nulla nelle tende e nelle case in cui conviviamo stretti stretti: la disperazione potrebbe spingerci al nervosismo e all’insofferenza verso gli altri, e invece prevalgono la solidarietà e la disponibilità, e nascono appunto nuove amicizie, quanto mai indispensabili per una comunità che, senza aiuti dall’esterno e senza autorità in grado di mantenere il controllo, può contare solo su se stessa.

È quanto è accaduto anche a me in questi mesi con le persone straordinarie che mi hanno ospitato nelle loro case prima a Gaza City e poi a Khan Yunis. La famiglia di Gaza City è stata unica, ci ha aiutato davvero in tutto con grande generosità, e infatti anche se ora siamo in due città diverse continuiamo a sentirci. Dalla solidarietà è nata un’amicizia proprio come con la famiglia che ci ha permesso di abitare nella loro casa a Khan Yunis. Quelli passati con loro sono stati i mesi più belli per noi in questa guerra: una famiglia eccezionale, capace di illuminare ogni volta le nostre giornate con un sorriso, merce davvero rara per chi sopravvive sotto le bombe a Gaza.

(afp)

Questa fratellanza contrasta drammaticamente con il muro umano che c’è tra noi e la parte israeliana. Io ho lavorato in Israele tre anni – periodo nel quale ho imparato l’ebraico – ma è passato tanto tempo, avevo solo venti anni e oggi non ho più contatti né amici israeliani con cui parlare della guerra, siamo due società completamente divise da ogni punto di vista.

Quanto ai vecchi amici, quelli di una vita, sono stato fortunato. Sono ancora vivi e li sento o li vedo ogni giorno. I miei migliori amici si chiamano Mohammed e Sami e sono due miei colleghi giornalisti della Rafah News Agency. Vengono come me dal Nord della Striscia e ora sono anche loro a Rafah. Io sono stato il primo a trasferirmi, poi è arrivato l’altro Sami – che vive in una tenda nella parte occidentale di Rafah – e infine Mohammed – che sta invece vicino al confine con l’Egitto, nel quartiere di Al-Salam. Le nostre famiglie si aiutano a vicenda, con il cibo, i soldi e tutto quello che serve.

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Certe sere ci vediamo, con Mohammed e Sami, e ricordiamo la nostra esistenza prima della guerra. Le tante occasioni in cui abbiamo festeggiato insieme a Gaza City, le chiacchierate di giovani uomini che sognavano un futuro migliore per le proprie famiglie, un futuro lontano da qui e da Hamas, con Mohammed che per esempio aveva sempre in testa la Turchia.

Oppure parliamo della situazione nella Striscia. Qualche sera fa ci dicevamo che ancora sembra tutto un incubo, che magari una mattina ci sveglieremo e questa guerra non sarà mai iniziata. Tanto è stata cancellato dalla guerra, ma l’amicizia si è rafforzata e mi viene da dire che è la cosa che più ci aiuta a resistere in mezzo a tanta disperazione.