La Germania depressa cerca il rilancio con la Nazionale
Quanta differenza con il 2006 quando un Paese ospitale e in crescita economica ospitò il Mondiale (che noi gli rovinammo). Adesso la Germania langue e solo il 4% dei tedeschi ha fiducia in un buon risultato
Quando andai a trovare Joachim Fest, alla vigilia dell’introduzione dell’euro, il grande storico tedesco mi spiegò perché l’addio al marco fosse così doloroso per i suoi connazionali: «Vede, il marco insieme al calcio è parte dell’identità nazionale della nuova Germania, che ha avuto tre padri fondatori: Konrad Adenauer, Ludwig Erhard e Fritz Walter». Ebbi un attimo di smarrimento: i primi due li conoscevo, il terzo nome non mi diceva nulla. Con un sorriso paziente, Fest mi disse che era il mitico capitano della Nazionale che vinse i Mondiali del 1954 a Berna: «Fu la prima volta che dopo il nazismo, i tedeschi poterono dire “Wir sind wieder Wer”, siamo di nuovo qualcuno».
Quanta differenza dal 2006
I campionati europei iniziati ieri rinnovano la storia d’amore di un intero Paese con il «beautiful game», esperienza totale, portatrice d’identità e coesione sociale. Quasi 25 mila club, 7 milioni di associati, cioè l’8% della popolazione tedesca, il calcio in Germania è espressione dell’Heimat, la piccola patria, spazio apolitico e familiare, culla della cultura popolare.
Perfino nell’era dei nuovi padroni supermiliardari, che comprano e vendono squadre in Paesi che non conoscono e non capiscono, solo in nome delle plusvalenze, la Germania è un’altra cosa: qui, infatti, la regola del 50+1% impedisce ancora che un paperone o un fondo possano acquistare la maggioranza di un club tedesco, bene collettivo che per legge deve rimanere nelle mani dei tifosi. Sognano un’altra «favola estiva» come quella del 2006, i tedeschi, quando noi gli rovinammo la festa nella magica notte di Dortmund, ma in compenso offrirono al mondo il volto amico di un Paese aperto e ospitale.
Quanta differenza da allora, quando la Germania, guidata da Angela Merkel, prima tifosa della Mannschaft, iniziava il quindicennio della «crescita insolente», del sistema economico capace di resistere a ogni choc, mentre il resto d’Europa sprofondava nella crisi finanziaria. Certo, c’era il «piccolo segreto sporco» e noto a tutti delle tre esternalizzazioni: il gas russo a buon mercato, il mercato cinese dove esportare e la difesa a carico degli americani. Ma la Germania guardava con fiducia al futuro.
La Germania ci crede poco
Oggi, il Paese langue, segnato da decrescita, invecchiamento, erosione delle industrie tradizionali, inflazione, assenza ottimismo imprenditoriale. Le elezioni europee certificano una Germania lacerata tra Est e Ovest a 34 anni dalla riunificazione, con le regioni dell’ex Ddr dominate dall’estrema destra xenofoba e ultranazionalista. Le deludenti imprese della Nazionale dopo la vittoria ai Mondiali del 2014 sembrano aver rispecchiato e accompagnato questo declino. Nonostante le buone prestazioni degli ultimi mesi, sotto la guida di Julian Nagelsmann, solo il 4% dei tedeschi scommette su una vittoria agli Europei. L’unico forse a crederci veramente è Olaf Scholz, ma è la speranza della disperazione di un cancelliere che ha toccato il fondo della popolarità e spera in un improbabile rilancio. Perché nel calcio come in politica, la sorpresa può sempre accadere. Tanto più in Germania.