La saga della famiglia Moratti e la storia di Milano: il petrolio, l'Inter e quelle cene con Gino Strada

diAndrea Galli

Ceduto il controllo delle società petrolifere fondate dal patron Angelo. L’America e Parigi sullo sfondo, le prime trasferte a bordo di un’Alfa Romeo, Totti e Messi, le missioni umanitarie

La saga della famiglia Moratti e la storia di Milano: il petrolio, l'Inter e quelle commoventi cene con Gino Strada

Da sinistra i figli di Angelo Moratti, Gianmarco, Massimo, Adriana, Bedi e Gioia. A destra le mogli Letizia e Milly

Quest’immagine qui, più delle altre: gli anni Cinquanta, le strade che erano quel che erano, un’Alfa Romeo sempre lucida, davanti mamma e papà, dietro figlie e figli, insomma la gita della domenica. A mezzogiorno il pranzo in una trattoria, meglio se non famosa; e il pomeriggio la partita dell’Inter in trasferta. Comunque andasse, in tribuna, la mamma, cioè Erminia, partecipava e la si sentiva tutt’intorno, mentre il papà, cioè Angelo, s’imponeva un silenzio meditativo, da brughiera (era nato a Somma Lombardo). I due s’erano conosciuti a un ballo, e chissà mai chi fece il primo passo, non per forza di danza. Nel 1932 il matrimonio, quindi avanti con la figliolanza. E certo, tutto quanto il resto. Le aziende petrolifere e l’Inter.

La saga della famiglia Moratti e la storia di Milano: il petrolio, l'Inter e quelle commoventi cene con Gino Strada

Ce ne vorrebbe un po’, di gente dalla virtuosa penna, per narrare questa famiglia, questa saga, questa milanesissima avventura dei Moratti, che è stata, è, sarà, e che cambia nei decenni rivoluzionandosi come appena successo con la cessione del controllo delle storiche raffinerie; e così, al volo, in una prima cernita per epoche potremmo arruolare Alberto Savinio, Giorgio Scerbanenco, Alessandro Robecchi, laddove i Moratti sono (anche) un gran racconto di popolo immergendosi nel tifo e ad esso attingendo, un racconto di anime che secondo i codici sociali mai potrebbero incrociarsi, e invece, invece in una città siamo sempre tutti in viaggio alitandoci in faccia.

Il 12 dicembre 2017, in una classica serata interista, al Meazza venne per la Coppa Italia il Pordenone che militava in Lega Pro; faceva un freddo che nemmeno a descriverlo; pare ovvio che nonostante dovesse essere una pratica agevole si ricorse ai supplementari e ai rigori, e a momenti veniva l’alba; ebbene, nell’uscire dallo stadio andò così, come da racconto dello stesso Massimo Moratti: «Ero in macchina e si è accostato un pullmino che tornava in Friuli. Mi sono immaginato i chilometri e chilometri nella nebbia, l’arrivo a Pordenone, una doccia e via subito a lavorare. I tifosi mi hanno riconosciuto attraverso il finestrino. Sono scesi per salutarmi e sono sceso a mia volta. Ci siamo fermati a parlare. A lungo».

Se nel suo approccio al mondo, da bimbo e adolescente ferito dalla prematura perdita della mamma e da essa fortificato, assai sicuro di sé, un mood futurista nella quotidianità, il mantra del creare, estendere, creare di nuovo, un’indubbia voracità nel rilasciare ogni propria energia produttiva, Angelo Moratti poteva apparire un prototipo americano, ecco, Massimo forse rimanda più a certi intellettuali/artisti naif; insomma, suo padre a passo svelto su qualche avenue newyorchese e lui, magari, sulla riva gauche della Senna; il primo in pieno giorno, il secondo intorno al tramonto. 

La saga della famiglia Moratti e la storia di Milano: il petrolio, l'Inter e quelle commoventi cene con Gino Strada

E peraltro a Parigi, dove ha una casa, avvenne l’incontro con un grande amore calcistico, forse il più forte, ovvero Josè Mourinho. Il quale, convocato a un appuntamento e invitato a tacere sulla trattativa, raggiunse l’indirizzo rasentando i muri, a testa bassa, per mimetizzarsi; senonché nell’aprirgli la porta la colf di Moratti, portoghese come Mou, attaccò a urlare a oltranza, con l’eco che s’era diffusa nel palazzo e in strada, per l’emozione data da un simile incontro, e sempre sia benedetta la riservatezza visto che vicini e passanti si allarmarono pensando a una disgrazia in corso. A quelli che più tardi, nel giugno 2010, criticarono la fuga di Mourinho promessosi sposo al Real Madrid, vinta la Coppa dei Campioni, anzi subito dopo i festeggiamenti, Moratti rispose che beh, Mou andava ricordato come fosse l’amante che fin dalle presentazioni si porta dietro la filosofia del tempo determinato.

Lì, avanzando su quell’ipotetica riva della Senna, mentre il padre, sempre in uno scenario ipotetico, a New York avrebbe ammirato i grattacieli giurandosi che ne avrebbe costruiti di più alti e luccicanti, Massimo Moratti avrebbe di sicuro sostato insieme ad avventurieri, guasconi, ribelli, bulli soltanto di facciata, gli esseri illuminati dal naturale, divino dono del talento che sovente subito si scorge leggendo la timidezza oppure la strafottenza, purché se ne abbia voglia. Ha adorato, ed è storia nota, Ince, Cantona, Recoba, Ronaldo, il Totti che non portò all’Inter per non approfittarsi dei precipizi economici della famiglia Sensi, il Messi che, idem, non acquistò per non mancare di rispetto al Barcellona che l’aveva accolto e curato facendone un uomo.

Dopodiché, se invecchiando si diventa ancora più figli, e taluni schemi di scelte e comportamenti si radicalizzano, come Angelo Moratti inseguiva i generosi per sostenerli, finanziando missioni umanitarie, apprezzando i sognatori, così vale per Massimo. Ad esempio con Gino Strada. Ha detto di recente, in un fraseggio molto morattiano, molto milanese: «Ci incontravamo due, tre volte alla settimana. Ore e ore che non bastavano mai. Si parlava, si rideva, ci si faceva seri. Non che stessimo lì a raccontarci il lavoro, le cose note, quelle che ci impegnavano tutto il giorno. Con l’amico perfetto ti lasci andare e dialoghi sulla meraviglia della vita svelata da un incontro, un gesto, un pensiero. Il pensiero che andava alle nostre mamme e ai nostri papà, e ai compagni dell’esistenza; il pensiero di noi da bimbi, il pensiero ai nostri figli, le parole che magari non abbiamo detto loro oppure che invece loro ci hanno detto e che, senza noialtri darlo a vedere, ci hanno riempito o scosso l’anima».

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13 febbraio 2024

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