Gli agguati in Germania, ora l'attacco a Fico: l’irruzione della violenza nella campagna elettorale per le Elezioni Europee
Gli effetti sull'opinione pubblica, le accuse della politica: l’attentato al premier populista slovacco Robert Fico, una delle colonne del filo-putinismo nell’Ue, fa compiere una pericolosa torsione alla partita elettorale, introducendovi la variante della violenza
La campagna per le elezioni europee entra nella sua fase finale segnata da una successione di coup de théâtre che potrebbero impattare significativamente sia sul risultato del voto che sui suoi sviluppi. L’attentato al premier populista slovacco Robert Fico, una delle colonne del filo-putinismo nell’Unione europea, fa compiere un’altra, pericolosa torsione alla partita elettorale, introducendovi la variante della violenza. Giustamente, da tutta l’Europa e da ogni parte politica si levano forti voci di condanna dell’attacco.
Quella slovacca è una svolta clamorosa e grave, poiché la vittima è un capo di governo che ora lotta tra la vita e la morte. A Bratislava, gli esponenti della maggioranza accusano l’opposizione e i media di aver aizzato l’opinione pubblica, criticando i piani illiberali del premier, creando un contesto favorevole all’attentato. Ma è difficile non condividere le loro proteste contro il progetto di Fico di smantellare nella sua attuale struttura la televisione pubblica, sostituendola con un’agenzia sotto il diretto controllo governativo.
Purtroppo, il dramma slovacco non è il primo a funestare il voto europeo. Nei giorni scorsi, infatti, una serie di brutali atti di violenza sono stati perpetrati anche in Germania: contro Matthias Ecke, capolista socialdemocratico in Sassonia, finito in ospedale con una prognosi di parecchi giorni. Contro il borgomastro verde di Essen, circondato dopo un comizio da un gruppo che poi lo ha picchiato. E ancora contro militanti dei Grünen, presi a colpi di bastone mentre affiggevano manifesti a Lipsia, Chemnitz e Zwickau. Al punto da far ipotizzare l’esistenza di un piano deliberato, che punta a far salire la tensione e spargere paura, colpire un pugno di democratici per intimidirne centinaia. Sospettato numero uno: AfD, il partito di estrema destra, il solo a non deplorare senza ambiguità gli attacchi, mentre uno dei suoi leader, Björn Höcke, sorride soddisfatto di fronte alla condanna a pagare 13 mila euro per aver usato nei suoi discorsi una parola d’ordine nazista: «Alles für Deutschland», già grido di battaglia delle SA hitleriane.
Ma se queste sterzate sono interne all’Unione, ce n’è già stata un’altra esterna e non meno rilevante per la dinamica della campagna elettorale. Parliamo dell’ulteriore avanzata delle truppe russe in Ucraina, dove l’esercito invasore nelle ultime settimane ha conquistato più di 100 chilometri quadrati di territorio, facendo aumentare i timori sulla capacità di tenuta complessiva delle forze di Kiev.
Questo preoccupante sviluppo spinge già alcuni leader europei a rivedere le loro priorità: Charles Michel, liberale, presidente uscente del Consiglio europeo, ha detto nei giorni scorsi che la vera discriminante delle alleanze future in Europa sarà quella di essere pro o contro il sostegno all’Ucraina e quindi pro o contro Putin. La sua dichiarazione è stata interpretata come un’apertura alle forze di destra conservatrici, in linea con quella (più sfumata) fatta da Ursula von der Leyen. Ma siccome accade di rado che Michel parli senza l’assenso di Emmanuel Macron, suo protettore politico, forse siamo di fronte a un rimescolamento. E se poi registriamo la cronaca, ieri si è conclusa all’Aja la lunga trattativa, che ha portato alla coalizione tra l’estrema destra di Geert Wilders, i liberali dell’ex premier Mark Rutte, i centristi e il partito degli agricoltori, la prima del suo genere in Olanda.
Tornando all’attentato a Robert Fico, è difficile dire quali effetti produrrà sull’opinione pubblica slovacca ed europea. A Bratislava probabilmente favorirà lo Smer, il partito del premier. Negli altri Paesi europei potrebbe offrire qualche argomento a destra. Purtroppo, però, come mostra la Germania, l’irruzione della violenza in questa campagna elettorale è un vulnus che rischia di danneggiarci tutti.
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