
Stretta su deficit e debito. Il nuovo Patto di stabilità mette l’Italia all’angolo
ROMA — Maratona notturna alla ricerca di un accordo sul nuovo Patto di Stabilità che fisserà le regole di bilancio per tutti i Paesi europei. Si è discusso anche durante la lunga cena tra i ministri finanziari, ieri a Bruxelles, al termine dell’Eurogruppo. Si prosegue oggi all’Ecofin, tra i governi. Il commissario all’Economia Paolo Gentiloni è ottimista: «Un accordo è possibile». Così la presidente di turno, la spagnola Nadia Calviño: «La notte sarà lunga». Anche per lei che auspica di diventare oggi la nuova presidente della Bei, la Banca europea degli investimenti.

La stretta della Germania
Piatto forte del menù sono le nuove regole su deficit e debito. La Germania spinge per vincolare il percorso di aggiustamento delle due variabili a un ritmo di discesa numerico ben definito, anziché legarlo – come faceva la proposta iniziale della Commissione, formulata il 26 aprile – a un piano di 4 anni estendibile a 7 da concordare con ogni singolo governo per una «riduzione plausibile» del debito, non definita a priori. Berlino vuole invece che sia garantita una discesa dell’1% all’anno del debito per i Paesi che ce l’hanno alto (sopra il 90% in rapporto al Pil) e dello 0,5% per i Paesi a debito medio (tra 60 e 90%). Resta il tetto al deficit del 3%. E una sua discesa, altra richiesta tedesca, all’1,5% di sicurezza quando il debito si sgonfia.
La mediazione della Francia
La Francia, all’inizio sulle posizioni italiane e vicina alla piattaforma di Bruxelles, si è spostata via via sulle richieste tedesche. Il ministro dell’Economia di Parigi, Bruno Le Maire, entrando al vertice, dice che «al 90% siamo d’accordo con la Germania». Mettendo però in trattativa una richiesta che non dispiace al governo italiano: ridurre dallo 0,5 allo 0,3% il ritmo di discesa annuale del deficit quando è alto, sopra al 3%. Quello 0,2% di differenza servirebbe, nell’idea francese, «a fare investimenti per non frenare la crescita». La risposta del suo collega tedesco Christian Lindner non si è fatta attendere: «Un accordo è possibile, ma serve più ambizione contro il deficit eccessivo». Da questo snodo passa l’intesa o lo stallo.

L’Italia verso la procedura per deficit eccessivo
L’Italia, rappresentata dal ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti, alla vigilia minacciava il veto, se a prevalere fossero stati «vincoli troppo stringenti». Eppure di sicuro le nuove regole, per come si prefigurano, sono migliori del vecchio Patto che costringeva a una riduzione del debito di un ventesimo all’anno e del deficit di mezzo punto.
In ogni caso, la situazione dei conti italiani non consente di schivare, in primavera o in estate dopo le elezioni europee di giugno, una procedura per deficit eccessivo visto che il disavanzo è al 5,3% quest’anno e sarà stabilmente sopra il 3% fino al 2025 per poi scendere al 2,9% solo nel 2026.
Ad un ritmo di calo, previsto dalla Nadef del governo Meloni, superiore a quello che si annuncia nel nuovo Patto. Una buona notizia che potrebbe consentire all’Italia di evitare una manovra correttiva in corso d’anno, per ora scongiurata anche dal commissario Gentiloni. Ma ad un prezzo politico altissimo.

Manovra zavorrata
Quello del congelamento di fatto della prossima legge di Bilancio. Le prime due di questo esecutivo sono state fatte in deficit: non potrà più accadere nel 2024. Il debito pubblico dovrà essere messo a dieta strettissima, perché a differenza del deficit, cala pochissimo e balla per anni attorno ad uno stratosferico 140% del Pil.
Ridurlo sarà un’impresa con qualunque Patto possa uscire da Bruxelles. Questo però significa due cose: tagli alla spesa e rinuncia a rinnovare per il 2025 il taglio al cuneo e all’Irpef. Uno smacco da 15 miliardi.
Lo scambio con il Mes
Sarà anche per questo che l’Italia potrebbe aprire alla ratifica del Mes, il fondo Salva Stati da sempre osteggiato dalla destra. «Il ministro Giorgetti ha detto che la ratifica sarà discussa dal Parlamento italiano la prossima settimana», diceva fiducioso ieri Pierre Gramegna, il direttore generale del Mes. Eccolo lo scambio che può tornar utile all’Italia.