Bremmer: «Paese sotto choc dopo l'attentato a Trump, c'è il rischio instabilità. Molti giustificano gli atti di violenza»
Il politologo statunitense: «Trump potrebbe contribuire ad allentare le tensioni. La disinformazione è un problema da combattere»

Una bandiera a stelle e strisce sventola sopra le tribune del comizio di Butler dopo la sparatoria (Ap)
Fino a due giorni fa, gli Stati Uniti erano un Paese in cui buona parte dei cittadini non era ancora nata, o non ricordava, il giorno in cui un altro presidente fu l’ultimo bersaglio di un tentato assassinio (era il marzo del 1981, fu colpito Ronald Reagan). E che ora, spiega Ian Bremmer, fondatore e presidente del think tank Eurasia, non dimenticherà mai le immagini di domenica, l’attentato a un candidato alla Casa Bianca nel pieno della campagna elettorale.
Come sta l’America il giorno dopo?
«È una nazione sotto choc. E questo trauma arriva in un momento estremamente delicato: nel mezzo di una campagna elettorale, che rende la posta in gioco molto più importante; e in un momento storico in cui il sistema politico statunitense è molto più disfunzionale, molto più diviso di quarantatré anni fa. Di conseguenza, l’impatto di ciò che è successo sarà molto più pericoloso».
Cosa teme che possa accadere?
«Credo che il rischio di instabilità sociale e violenza ora sarà molto più alto, specie via via che le elezioni si avvicineranno».
Si può fare qualcosa per prevenirlo?
«Il Paese dovrebbe riunirsi per denunciare questa violenza, a partire dai suoi leader. Biden l’ha fatto, lo speaker della Camera Mike Johnson l’ha fatto. Ma molti altri politici, e non certo personaggi che appartengono all’estrema destra del Maga, stanno accusando apertamente il presidente di essere responsabile in qualche modo».
Oggi a Milwaukee si apre la convention repubblicana. Trump tornerà sul palco per un discorso.
«Sarà accolto come Lazzaro, otterrà un consenso vastissimo dai delegati e dalla base del suo movimento. D’ora in poi la campagna elettorale sarà incentrata totalmente su di lui. E ha molte più chance di vincere».

54 anni
Perché?
«Per il confronto tra lui e Biden: il fatto che Trump sia riuscito ad rialzarsi e ad agitare il pugno senza avere idea se il killer fosse ancora in grado di colpirlo ... beh, è piuttosto straordinario. Una vera dimostrazione di quanto sia una forza della natura, di quanto desideri vincere. Ovviamente Biden non sarebbe mai stato in grado di farlo. Trump ha 78 anni, è troppo vecchio per essere candidato alla presidenza, ma mostra molta meno debolezza dell’attuale presidente.
Che Trump possiamo aspettarci nelle prossime settimane? Crede che sfumerà i suoi toni?
«Niente affatto: in fondo è convinto che gli attacchi che gli sono arrivati dai democratici siano uno dei motivi che ha spinto qualcuno a cercare di ucciderlo. Lui, invece, sente di non aver fatto nulla di sbagliato: dovrebbe ignorare il suo istinto, che da sempre lo guida».
E i suoi sostenitori? Come potrebbero reagire?
«Di sicuro c’è una cosa: negli Stati Uniti, il 25 per cento dei cittadini giustifica la violenza politica come strumento legittimo per rovesciare le istituzioni al fine di salvare il Paese. Aggiungiamo che ormai moltissimi credono che gli avversari politici siano una minaccia per la democrazia, e che per questo la violenza a volte sia necessaria. Aggiungiamo poi l’altissimo numero di armi nelle mani di quegli stessi cittadini, e l’alta incidenza di disturbi mentali. Quindi il problema è davvero serio».
E come si cura un Paese così diviso?
«Beh, Trump per primo potrebbe fare molto. Potrebbe dire che non governerà solo per i suoi sostenitori, ma per tutti i cittadini. E poi servirebbe un governo che limiti il potere degli algoritmi, che regoli il settore dei social e combatta la disinformazione che vi circola. Ma ci vorranno anni. Temevo che questa elezione sarebbe stata più violenta, più disfunzionale di qualsiasi altra del passato: speravo di sbagliarmi, ma è stato così».