
Premierato, dal leader senza maggioranza alla finta norma anti-ribaltone: le cinque falle della riforma di Meloni
Le cinque contraddizioni della riforma. Autentici bug del testo sul premierato che il governo sta portando avanti. Falle sulle quali diversi costituzionalisti hanno puntato l’indice: dalla possibilità che un presidente del Consiglio venga eletto con appena un terzo dei voti alla norma anti-ribaltone che non evita il ribaltone. Una galleria di errori, per qualcuno di orrori, cui rimediare, nella battaglia dell’esame del testo attualmente in Senato o attraverso legge elettorale.

Il premier della minoranza
Secondo l’attuale testo il presidente del Consiglio viene eletto direttamente dai cittadini ma non c’è la previsione di una soglia minima di voti. Ciò significa che, in attesa di una legge elettorale, la Costituzione lascerebbe la possibilità che un candidato vada a Palazzo Chigi anche solo con il 30 per cento dei voti. Ipotesi non da escludere in un sistema tripolare.
La doppia fiducia
La riforma consegna agli elettori la possibilità di scegliere il premier ma il candidato che viene scelto dal popolo non può insediarsi se non c’è la fiducia del parlamento. In caso venga negata, l’eletta può ripresentarsi una seconda volta davanti alla Camera. In caso di nuovo no, non potrebbe governare. A molti giuristi sembra una evidente contraddizione del sistema.
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Il secondo premier più forte del primo
Le norme sul premierato sanciscono il principio che il premier eletto può essere sostituito una volta, nel corso della legislatura, con un deputato o senatore della maggioranza che lo ha sorretto. Il secondo premier, scelto dal Parlamento, in caso di dimissioni, manda a casa tutti e si torna al voto. In questo caso succede evidentemente che il presidente del Consiglio voluto dal Parlamento abbia più forza di quello indicato dal corpo elettorale. Un altro corto circuito.
La norma contro il ribaltone che non lo impedisce
Nel testo è previsto che, nell’ipotesi che il Presidente eletto dal popolo sia costretto a lasciare, il successore può essere un parlamentare della stessa coalizione. Ma nulla dice sulla maggioranza chiamata a votare il secondo premier: ciò non esclude in sostanza che questa possa essere diversa dalla prima. Un ribaltone possibile contenuto nella norma ant-ribaltone.
Il rebus delle schede
Quante schede elettorali avrà a disposizione l’elettore? Un rebus che assilla gli esperti. Con una sola scheda per indicare il premier e i parlamentari preferiti ci sarebbe il problema della differente grandezza dei collegi fra Camera e Senato. Con due schede, non verrebbe esclusa la possibilità che un elettore scelga due premier diversi nelle due differenti schede. Resta la strada delle tre schede. Un fardello non indifferente per chi andrà alle urne. Specie in caso di election-day, le schede potrebbero essere un numero difficile da gestire.
Il pasticcio degli italiani all’estero
La previsione dell'elezione a suffragio universale e diretto attribuisce un peso eccessivo al voto degli Italiani residenti all'estero, che diventa sproporzionato rispetto ai seggi loro spettanti. In base all’ampiezza dei collegi, c’è infatti un eletto all’estero ogni 500 mila abitanti, in Italia uno ogni centomila. La conseguenza, sulla riforma, è che il candidato premier avrebbe un nugolo di “grandi elettori” sparsi per il mondo.