Premierato, primo sì all’elezione diretta Limite di due mandati

Passa a colpi di maggioranza l’elezione diretta del premier, cuore della “madre di tutte le riforme” imposta da Giorgia Meloni e destinata a cambiare ab funditus l’assetto istituzionale della Repubblica.

Al grido di «basta giochi di palazzo», nonostante i dubbi espressi dalla Lega, in commissione Affari costituzionali del Senato il centrodestra dà via libera all’emendamento del governo che riscrive l’articolo 92 della Carta. Tre le novità rispetto al testo varato in Cdm. Intanto sparisce il premio di maggioranza al 55%: resta il principio, ma la soglia minima verrà fissata nella prossima legge elettorale al ribasso (intorno al 40%) per evitare la sproporzione tra voti di lista e seggi aggiuntivi già in passato censurata dalla Consulta, e sarà accompagnata a un eventuale ballottaggio. Ancora: il presidente del Consiglio non potrà svolgere più di due mandati consecutivi. E avrà il potere di revoca dei ministri.

Per il resto, viene confermato l’impianto originario. Il Quirinale perderà tutte le sue prerogative fondamentali, in particolare il ruolo di mediatore e garante nella formazione dei governi e nella risoluzione delle crisi. Il Capo dello Stato, recita infatti l’art.3 del Ddl appena approvato, «conferisce al presidente del Consiglio eletto l’incarico di formare il governo; nomina e revoca, su proposta di questo, i ministri». Da motore della Repubblica a ruota di scorta di Palazzo Chigi. Tutto il contrario di quanto affermato in commissione da Casellati, subito rintuzzata dal dem Dario Parrini: «Lei ministra dice il falso quando sostiene che i poteri del capo dello Stato non verranno toccati. Quelli principali, di nomina del premier e di scioglimento delle Camere, diventano vincolati, mentre oggi sono liberi. E l’elezione diretta del premier provoca uno squilibrio di investitura e legittimazione a danno» del Colle. Lo dice chiaro anche Giuseppe Conte: «Stiamo andando verso una prospettiva che non porterà stabilità ma solo maggiori poteri al premier, un totale squilibrio», attacca il capo del M5S in tv. «Il presidente della Repubblica sarà un passacarte e il Parlamento sarà assoggetto al premier perché, se stanno insieme e cadono insieme, potrà esercitare un potere ricatto. Non c’è in nessun altro Paese al mondo, ci sarà una ragione». E dunque, «lo dico anche alla presidente Meloni: non ragioniamo per convenienze personali», l’appello.

Obiezioni che tuttavia non scalfiscono la maggioranza. Decisa a spianare le opposizioni — solo ieri l’ok alla proposta governativa ha fatto saltare 800 emendamenti della minoranza — e a concludere i lavori in Affari costituzionali «entro la fine di questo mese», scandisce la ministra delle Riforme, così da portare il testo in Aula entro inizio maggio. In tempo per accendere semaforo verde prima delle Europee.

Una corsa che neppure la Lega riesce a frenare: ci ha provato il salviniano Paolo Tosato a invocare un supplemento di riflessione per «migliorare il testo» e «garantire che il presidente del Consiglio eletto dai cittadini abbia sempre una maggioranza che lo sostiene». Circostanza quanto meno dubbia in assenza di una legge elettorale che definisca le regole di ingaggio. La stessa incognita che spinge Italia viva, pur favorevole, a non partecipare al voto.

Ma la destra non intende rallentare. «Non si è mai visto che si faccia una legge elettorale prima di avere uno scheletro della riforma costituzionale», chiude Casellati. «Se ne parlerà dopo l’approvazione del premierato in prima lettura sia al Senato sia alla Camera», precisa il presidente meloniano della commissione Alberto Balboni. Secondo cui la maggioranza si può garantire pure in un assetto tripolare, a patto di stabilire «una soglia minima, del 42 o 43%, sotto la quale si andrà al ballottaggio». Conferma Casellati: «È una delle ipotesi in campo».

Un disegno pericolosissimo, per il centrosinistra. Con il premierato «tutto verrà irrigidito e si esaurirà al momento del voto», attacca Andrea Giorgis, capogruppo del Pd in Affari costituzionali: «L’unico effetto sarà quello di ridurre la partecipazione democratica alla scelta del capo». Un autentico «stravolgimento della Costituzione che sono sicuro il popolo italiano boccerà al referendum», profetizza Peppe De Cristofaro di Avs. Pronto, insieme agli altri partiti progressisti, a riunirsi in un unico fronte: «Questo premierato è un “melonato”: una persona sola al comando e la fine della democrazia parlamentare», affonda Riccardo Magi di +Europa. «Senza modifiche a un tale obbrobrio, la nostra opposizione sarà durissima».