La fame è una buona ragione per rubare nei supermercati?

Caro Aldo,
lo so che con i tempi che corrono si rischia di apparire indulgenti con chi delinque e ingiusti con chi è onesto, ma è doveroso chiedersi questo: se una persona è in uno stato di bisogno e ruba sul posto di lavoro, come il dipendente del supermercato di cui si è parlato di recente, è proprio necessario licenziarlo? Lei che ne pensa? §
Maria Dessi

Ma una brava persona dopo tanti anni di onesto lavoro può comportarsi da delinquente? Come poter escludere che non lo abbia già fatto? Purtroppo quando si perde la fiducia è così, forse poteva chiedere agevolazioni sulla spesa. Qualche dubbio ce l’ho...
Filippo Coraggio

Cari lettori,
Il principio generale è che un imprenditore non può consentire al collaboratore di rubare; o, se preferite un linguaggio più diretto, un padrone non può tollerare che il dipendente lo derubi. Poi esistono i casi specifici. Se un dipendente che si comporta bene da trent’anni e ha gravi difficoltà — la moglie insegnante precaria ha avuto un incidente stradale, il suo mutuo a tassi variabili si mangia quasi tutto lo stipendio — commette un furto da sette euro, si dovrebbero trovare sanzioni più lievi di un licenziamento che lo mette definitivamente sul lastrico. Questa storia ci riporta alla mente un passo di Collodi. Pinocchio, morso dalla fame, entra in un campo per cogliere due grappoli d’uva, ma viene preso nella tagliola predisposta dal contadino. Pinocchio chiede alla Lucciola di liberarlo, e lei non lo aiuta, anzi lo rimprovera: «La fame, ragazzo mio, non è una buona ragione per appropriarsi della roba che non è nostra…». La fame non giustifica il furto: questo era il principio codificato dal libro su cui per cent’anni si sono formati i ragazzi italiani (prima dell’avvento del telefonino e della playstation, ora giustamente vietata in Nazionale dal ct Spalletti). La Cassazione ha stabilito diversamente: nella primavera del 2016 annullò la condanna di un clochard che aveva tentato di rubare in un supermercato di Genova un würstel e un pezzo di formaggio dal valore di 4 euro e 7 centesimi. Ma la questione non è solo giuridica e morale. È anche sociale ed economica. Se nei supermercati rubano per disperazione non i burattini o i clochard, ma gli impiegati, è perché il fenomeno del lavoro povero sta segnando il nostro tempo. E forse sia la politica sia il giornalismo dovrebbero occuparsene di più.

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Storia

«Noi esuli dalmati, il delitto più grande è stato l’oblio»

Il 10 febbraio celebriamo il Giorno del Ricordo, che forse più propriamente potrebbe essere definito il Giorno del Risarcimento, ovviamente soltanto morale per decenni di indifferenza e di oblio verso un evento storico per mille motivi dimenticato dalla madrepatria. Risarcimento soltanto morale per 350.000 persone estirpate dalle loro case, per migliaia di povere persone infoibate. Ma non celebriamo il Giorno del Rendiconto. Non il Giorno per stabilire se Tito e i suoi collaboratori siano stati più feroci di Pirzio Biroli, Roatta e Robotti. La Storia lo sa già. Giorno del Ricordo quindi per recuperare un po’ del tempo perduto. Per far sentire alla generazione (sempre più sparuta, ahimè…) dei nati italiani a Zara, Fiume, Pola… che il delitto più grande non è stato la foiba ma l’oblio… Cerco di andare spesso in Dalmazia, non come erede di Pirzio Biroli, Roatta o Robotti, ma come interlocutore del Sindaco zaratino in carica, per raccontare a lui (età dei miei figli) quanto piacerebbe ai vecchi zaratini, fiumani, polesani che lui stesso si considerasse erede della storia romana, veneta e italiana delle terre perdute. Cerco di andare in Dalmazia per stare con gli amici di origine e sentimenti italiani e dire loro quanto sia importante la loro serietà, il loro rigore nel difendere quello che la patria non ha saputo difendere per decenni. E spero che il vento del tempo aiuti me e tutte le persone di buona volontà a considerare gli atroci delitti commessi verso popolazioni inermi una lontana infamia che peserà per millenni nell’anima di persone disumane. Ma soprattutto aiuti a conservare nei nostri cuori i ricordi di tempi diversi e forse migliori. E a seminarne di nuovi. Noi esuli siamo stati cacciati e non abbiamo pianto. Ci siamo risollevati.
Toni Concina, Presidente Associazione Dalmati Italiani nel Mondo

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