Russia, via al processo segreto contro Gershkovich, il reporter del Wsj: ecco perché è la pedina più pregiata in mano a Putin
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Nessuno avrà la possibilità di assistere al processo al reporter del Wall street journal arrestato il 29 marzo 2023 con l'accusa di spionaggio. E ancora una volta la Russia non ha fretta: sa che può usare la vita di un cittadino occidentale come merce di scambio
La targhetta con il prezzo di Evan Gershkovich verrà esposta alla fine di settembre, nel più rapido dei casi. Il valore del giornalista americano chiuso in un carcere russo da ormai più di un anno e mezzo sarà quantificato in anni di reclusione. Ma è certo che gli acquirenti, ovvero gli Usa, dovranno fare un notevole investimento per riaverlo indietro. Presso la Corte regionale Sverdlovskij di Ekaterinburg, a quasi quindici mesi dal fermo e dall’arresto, è cominciato il processo nei suoi confronti, al quale non assisterà nessuno. Porte chiuse, la prassi abituale nei casi in cui l’imputato sia accusato di spionaggio.
Di che cosa è accusato Gershkovich
Era il 29 marzo del 2023. Gershkovich, corrispondente dalla Russia per il Wall Street Journal, si trova negli Urali per preparare un reportage dedicato alla Brigata Wagner, e ai metodi di arruolamento della compagnia militare privata guidata da Evgenij Prigozhin, che in quei giorni sta facendo notizia soprattutto per le sempre più frequenti sfuriate del suo capo contro i vertici delle forze armate. Il giornalista vuole sapere anche che cosa ne pensano i russi. A Nizhnij Tagil, nella regione di Ekaterinburg, si trova la sede principale della Uralvagonzavod, una delle più grosse aziende per la produzione di armamenti, in particolare dei carri armati che vengono utilizzati anche nella guerra in Ucraina. Ancora non è dato sapere se fosse questa la ragione che aveva portato Gershkovich a raccogliere notizie e opinioni proprio in quel luogo, quasi 1800 chilometri a est da Mosca. Ma è senz’altro questo il pretesto che lo ha portato dietro le sbarre. I servizi segreti russi arrestano il giornalista e lo accusano di spionaggio a favore degli Usa: su commissione della Cia, avrebbe raccolto informazioni segrete sulla produzione e riparazione di materiali bellici, e lo avrebbe fatto «rispettando minuziose misure di cospirazione», come si legge sul capo d’accusa, qualunque cosa significhi. Secondo la versione dell’Fsb, stava spiando una importante azienda dell’Opk, la sigla che porta l’industria militare russa e la sua filiera.
Che cosa rischia
Per la prima volta dalla fine della guerra fredda, la Russia incarcera un giornalista americano. Gershkovich diventa il primo reporter straniero accusato di spionaggio dal 1986. Dagli Urali, viene subito trasferito nel penitenziario di Lefortovo a Mosca, dove finiscono non i criminali comuni ma gli accusati di cui si occupano i servizi speciali. L’unica consolazione è che pare offra condizioni di detenzione più umane di quelle riservate, ad esempio, ai molti dissidenti che languono nelle colonie penali siberiane. La pena massima prevista dall’articolo 276 del Codice penale russo che regola i casi di spionaggio ammonta a vent’anni di carcere. Al processo assisteranno solo il giudice, il procuratore, l’imputato e i suoi avvocati. Non saranno ammessi né parenti o amici di Gershkovich, né rappresentanti del consolato Usa, né giornalisti.
Questa mattina, prima dell’inizio dell’udienza, alcuni giornalisti sono potuti entrare nell’aula per pochi minuti per riprese «di protocollo». Con la testa rasata, Gershkovich li ha accolti con un sorriso. Ma a gesti ha lasciato capire che non avrebbe risposto alle domande dei colleghi, né avrebbe fatto commenti. «Il giornalismo non è un crimine», afferma la sua famiglia in un comunicato, mentre il suo giornale giudica «una montatura » le accuse rivolte al suo reporter.
La prima audizione è stata breve, neppure un’ora. La prossima è fissata per il 13 agosto. Per Andrej Mineev, presidente del collegio giudiziario di Ekaterinburg, è il secondo processo in pochi giorni che coinvolge un cittadino americano. Sei giorni fa ha aperto l’esame del caso di Xenia Karelina, con doppia cittadinanza, sposata con un americano e arrivata nello scorso gennaio a Ekaterinburg in visita ai parenti. Dopo un primo fermo per stato di ebbrezza, è stata anche lei accusata di spionaggio: il giorno dell’inizio del conflitto ucraino aveva mandato dagli Usa un bonifico di 52 dollari a un fondo di assistenza all’esercito di Kiev.
La storia del reporter
Gershkovitz è nato 32 anni fa a New York da una coppia di ebrei russi emigrati. I suoi genitori avevano lasciato l’Urss nel 1979. È cresciuto bilingue. Lavora al New York Times dal 2016 al 2017, poi decide di trasferirsi in Russia, motivando la scelta con la volontà di compiere un viaggio alle radici della sua famiglia. Lavora per tre anni al Moscow Times, giornale bilingue russo-inglese a quel tempo non ancora dichiarato agente straniero, poi due anni alla France Presse e infine l’assunzione al WSJ. Prima della guerra si era occupato di Coronavirus, sanità e di oligarchi russi. Aveva seguito le proteste contro la riforma delle pensioni, ultimo sussulto di società civile in Russia, e si era occupato della sorte sempre più precaria degli attivisti politici. Scorrendo i suoi social, e parlando con i suoi amici moscoviti, appare evidente il suo amore per il Paese nel quale viveva e che stava raccontando. Forse anche per questo, dopo l’inizio dell’Operazione speciale in Ucraina, diversamente dai suoi colleghi americani, è rimasto in Russia. Nel luglio 2022, otto mesi prima dell’arresto, aveva pubblicato un post su Twitter: «Preparando reportage sulla Russia: è ormai prassi diffusa osservare come i tuoi conoscenti finiscono in carcere per lunghi anni».
Il gioiello del "fondo di scambio" di Putin
Gershkovich è purtroppo diventato il gioiello del cosiddetto «fondo di scambio» russo, che Mosca usa per far tornare in patria i cittadini condannati all’estero e considerati di un qualche valore dal Cremlino. Non più una persona, ma una pedina. Un prodotto con il quale fare un baratto. Già nel settembre del 2023, proprio il WSJ aveva parlato di colloqui segreti tra Usa e Russia. Lo ha confermato poi più volte anche Vladimir Putin. Durante la celebre intervista a Carlson Tucker dello scorso febbraio, affermò che Mosca è pronta a pattuire lo scambio, se gli Usa consentiranno il ritorno di un «patriota» che «sta in prigione in un Paese-alleato degli Usa». La descrizione corrisponde al profilo di Vadim Krasikov, probabile agente dei servizi segreti russi che sta scontando l’ergastolo in Germania per l’assassinio avvenuto a Berlino nel 2019 dell’ex comandante dell’esercito ceceno e cittadino georgiano Zelimkhan Khangoshvili. Il presidente russo continua ad affermare che il canale di scambio è aperto, si tratta. Due giorni fa, anche il viceministro degli Esteri Sergej Ryabkov lo ha confermato all’agenzia Tass. «Il pallone sta sulla parte americana del campo. Aspettiamo di vedere come reagiranno alle nostre proposte».
Nel dicembre 2022 si svolse l’ultimo scambio di prigionieri tra i due Paesi. La cestista americana Brittney Griner, condannata pochi mesi prima a nove anni di reclusione per detenzione di olio di hashish, legale nel suo Paese, è stata scambiata con Viktor Bout, il signore della guerra, commerciante di armi russo condannato nel 2012 negli Usa a 25 anni di reclusione, e al ritorno in patria subito avviato a una carriera politica.
I cittadini americani reclusi in Russia sono una dozzina. Il più noto era Paul Whelan, ex ufficiale della Marina, rappresentante a Mosca di una nota marca automobilistica Usa. Fu arrestato nel 2018 con l’accusa di essere una spia che cercava di arruolare funzionari dell’Fsb e del ministero della Difesa. Nel giugno 2020, è stato condannato a sedici anni di prigione.
La Russia non ha alcuna fretta. Il tempo è dalla sua parte. Il conto che gli Usa dovranno pagare per ridare la libertà a giornalista che stava facendo solo il suo lavoro sarà molto salato.