In un campo importante, ma in Italia a volte trascurato, come la storia militare, Giorgio Rochat, scomparso nella notte tra il 18 e il 19 ottobre all’et� di 88 anni, era senza dubbio una delle figure di maggior prestigio. Lo si poteva considerare il decano degli studi sugli ultimi 150 anni in fatto di eserciti e battaglie. A lungo docente di Storia contemporanea all’Universit� di Torino, aveva scandagliato con grande attenzione le vicende belliche dell’Italia unita, producendo diversi lavori di grande rilievo su nodi importanti e dolorosi della nostra vicenda novecentesca.
Morto Giorgio Rochat, studioso di storia militare. Raccontò la Grande Guerra
Decano degli studi sugli ultimi 150 anni in fatto di eserciti e battaglie, lo storico aveva 88 anni

Giorgio Rochat (1936-2024)
Nato a Pavia nel 1936 e allievo del grande studioso Piero Pieri, discepolo a sua volta di Gaetano Salvemini, Rochat aveva esordito nel 1967 con il saggio L’esercito italiano da Vittorio Veneto a Mussolini (Laterza) e poi si era occupato delle imprese coloniali, tema che all’epoca era poco frequentato dagli accademici e in gran parte rimosso dall’opinione pubblica.
In seguito aveva pubblicato a doppia firma con Pieri l’ampia biografia Pietro Badoglio (Utet, 1974), assai critica verso il maresciallo piemontese. Con una ricostruzione attenta del comportamento tenuto da Badoglio in alcuni momenti cruciali, si fornivano in quelle pagine convincenti dimostrazioni, per citare il testo, �della sua scarsa sensibilit� morale, del suo egoismo, della sua meschina difesa di interessi di casta e di gruppo�.
Rochat apparteneva alla comunit� religiosa valdese e si era occupato anche del rapporto tra potere mussoliniano e cristianesimo riformato nel saggio Regime fascista e Chiese evangeliche (Claudiana, 2000). Era sensibile anche per ragioni spirituali alle suggestioni antimilitariste, chiariva spesso che �la guerra � sempre un male�, soprattutto quando doveva concedere qualche riconoscimento a protagonisti di vicende belliche.
Divenuto professore dell’ateneo torinese nel 1980, alcuni anni dopo aveva pubblicato un’altra biografia, Italo Balbo (Utet, 1986), soffermandosi in particolare sul ruolo svolto dal gerarca fascista ferrarese come ministro dell’Aeronautica e come governatore della Libia. Importante e pionieristico il suo saggio Gli arditi della Grande guerra, edito nel 1981 da Feltrinelli e riproposto nel 1990 dalla Libreria Editrice Goriziana.
Le opere pi� note ed esaustive di Rochat vennero per� in seguito. Vale la pena di soffermarsi sul volume La Grande Guerra (La Nuova Italia, 2000, poi ripubblicato da altri editori), nel quale insieme al collega Mario Isnenghi aveva sviscerato ogni aspetto del primo conflitto mondiale. Una ricostruzione che prestava ovviamente la maggiore attenzione al fronte italo-austriaco, ma partiva dal 1914, quando il nostro Paese era neutrale, e non trascurava certo gli altri teatri bellici. Molto spazio era dedicato anche all’impatto della guerra sulla societ� italiana e sull’immaginario collettivo della nazione.
Quanto alle considerazioni pi� strettamente militari, gli autori mettevano in rilievo i limiti profondi della condotta tenuta da Luigi Cadorna, comandante supremo dell’esercito italiano fino alla disfatta di Caporetto, sia sotto il profilo strettamente operativo, sia per l’assoluta indifferenza mostrata dal futuro maresciallo per le condizioni di vita dei soldati, verso i quali l’unica preoccupazione rimase sempre quella di reprimere con severit� inflessibile ogni accenno di indisciplina.
Uomo di sinistra, Rochat era stato per un quadriennio, dal 1996 al 2000, presidente dell’Istituto per la storia del movimento di Liberazione (oggi Istituto Parri) e si era sempre impegnato perch� fosse dato il dovuto riconoscimento agli episodi in cui, dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943, i militari italiani si erano opposti ai tedeschi pagando un altissimo rezzo di sangue, come nel caso tragico dell’eccidio di massa avvenuto sull’isola greca di Cefalonia ai danni della divisione Acqui.
Nel 2005 poi Rochat aveva fatto i suoi �conti con il fascismo� attraverso un libro di notevole impegno Le guerre italiane 1935-1943 (Einaudi), nel quale evidenziava come fosse necessario considerare la politica militare del regime nel suo complesso, in quanto dall’invasione dell’Etiopia in poi si era manifestato un disegno aggressivo costante, per quanto confuso, che aveva portato all’alleanza sempre pi� subalterna con Hitler e poi allo sciagurato ingresso nel secondo conflitto mondiale.
Centrale nella riflessione di Rochat era l’analisi delle deficienze che il regime totalitario aveva determinato negli apparati militari. A suo avviso durante la Grande guerra la classe dirigente liberale nel suo complesso era stata all’altezza della situazione, pur con tutti i suoi limiti, mentre il fallimento del fascismo era senza appello, non tanto per l’esito dello scontro, reso inevitabile dai rapporti di forza tra i contendenti dopo il coinvolgimento di Usa e Urss, ma perch� quella prova, che pure aveva cercato e invocato di continuo, Benito Mussolini non aveva proprio saputo �condurla con l’intensit� che aveva promesso, neanche per salvarsi dal crollo�.
Al giudizio spietato sul dittatore e sulla classe dirigente che lo aveva sostenuto si accompagnava invece l’empatia verso i semplici combattenti, anche quelli impegnati nella repressione della lotta partigiana nei Balcani: �Penso agli alpini della mie valli — scriveva Rochat —, costretti a fare una guerra che era loro estranea, che condussero con disciplina e talvolta con furore. I morti e le devastazioni che lasciarono e gli eccessi che forse commisero vanno addebitati al regime fascista, non riesco a condannarli�.
19 ottobre 2024 (modifica il 19 ottobre 2024 | 21:14)
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