Rommel, il generale che amava la Germania più del Führer

Caro Aldo,
mio nonno, Vincenzo Farese, allora ufficiale del regio esercito e dopo il 43, combattente per la liberazione insieme alle truppe alleate, ci lasciò un diario con la sua campagna d’Africa. Tra tutti i ricordi fu però un suo racconto a voce a rimanermi nella memoria. Era allora un giovane ufficiale d’artiglieria che si ritrovò di fronte un esercito inglese di tutto rispetto e un alleato tedesco che veniva rispettato ma non troppo amato. Nel deserto gli accampamenti d’artiglieria erano piuttosto svantaggiati: per osservare il nemico dovevi costruire una pedana ma così ti esponevi e gli inglesi incominciavano a martellare. Un giorno gli fu annunciata un’inaspettata visita del generale Rommel. Non disse una parola e salì sulla pedana per osservare le linee nemiche con il binocolo. Dall’altra parte gli inglesi si accorsero che nel campo italiano stava succedendo qualcosa e incominciarono a tirare di cannone a tutto spiano. Fuggi fuggi generale. Ma non Rommel, lui se ne stette tutto il tempo in piedi sulla pedana a guardare gli inglesi con il cannocchiale, senza muoversi. Chi era veramente Rommel?
Luca Farese, Berlino

Caro Luca,
«Gli italiani non sono fatti per la guerra. Ma se tutti i popoli fossero fatti per la guerra, la civiltà non esisterebbe». Questa annotazione di Erwin Rommel fotografa bene sia il suo rapporto con gli italiani, sia il suo sguardo sulle cose. Rommel, a differenza di altri generali di Hitler, non era un fanatico, per quanto avesse creduto al nazismo. Era un soldato. Bravissimo comandante di truppe, meno abile nella valutazione strategica complessiva. A Caporetto si era fatto un’idea non grandiosa del soldato italiano: era un tenente di 26 anni, il suo reparto penetrò tra le nostre difese come un coltello. Rommel ordinò di avanzare senza aprire il fuoco, se non per necessità: catturò così più di novemila prigionieri, talora senza sparare un colpo. Nel deserto annotò che gli italiani erano buoni soldati, cattivi ufficiali, pessimi generali. Avanzò in modo brillante, poi tornò in Germania a curarsi, mentre a El Alamein il suo Afrika Korps e le nostre truppe venivano travolte, nonostante una resistenza accanita, dagli inglesi di Montgomery con i loro reparti coloniali. Il 9 marzo Mussolini 1943 riceve Rommel e gli intima di tenere la Tunisia «a ogni costo». Il maresciallo gli spiega come stanno le cose. Gli angloamericani avanzano sia dalla Libia sia dall’Algeria: l’Africa è perduta. Il Duce si irrita: nel cassetto ha una medaglia d’oro per il maresciallo, ma decide di tenersela. Rommel — non un oppositore; un generale nazista — ne dà un giudizio severo: «Ora il Duce vedeva svanire i suoi sogni, era un’ora amara per lui, ed era completamente incapace di addossarsene le conseguenze. Forse avrei dovuto parlargli alla fine differentemente; ma ero così cordialmente disgustato da tutto questo eterno ottimismo che proprio non riuscii a farlo». Diciotto mesi dopo, Rommel morirà suicida, per non essere ucciso a causa della parte che ebbe nel complotto per uccidere Hitler. Amava la Germania più del Führer.

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«Io notaio e il cliente che si presenta con 26 preventivi»

S ono un notaio. Vorrei condividere una riflessione su un aspetto non secondario della mia professione. Non vi sono più gli onorari, oggi si parla di parametri, parola che richiama alla mente il freddo inglese «benchmark». Questo già si sapeva, anche il nostro tariffario reca la locuzione «parametri», che evoca freddi concetti geometrici piuttosto che «oneri» e «onori», locuzioni, queste ultime, che ben si calzano, rispettivamente, ai pesi (responsabilità) del professionista e alla riconoscenza dei suoi meriti o, per converso, al riconoscimento dei suoi de-meriti. Ma nello scoprire che, per una pratica che una persona vorrebbe affidarmi, vi sono in lizza (e in lista di attesa...) ben ventisei (dico ventisei!) preventivi, mentre in materia di carpenteria, falegnameria, idraulica, elettricità, giardinaggio, al più se ne vagliano due oppure tre, mi vien fatto di pensare con commozione alle belle lettere ginnasiali e agli studi giuridici. E poi il pensiero si rivolge anche ai sacrifici che hanno fatto i nostri genitori degli anni Sessanta del secolo scorso, i quali talvolta sottraevano i figli alle botteghe, all’agricoltura, al commercio e chissà a quali altri settori, per curarne al meglio l’istruzione e farne dei professionisti, possibilmente di riguardo, di prestigio. Quando sarà terminata la strofa conclusiva dell’epicedio (canto funebre degli antichi greci ndr), insorgiamo.
Antonella Perrini notaio

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