Ciro Grillo e lo stupro di gruppo, al processo è l’ora dei quattro giovani imputati
Tempio Pausania – Toccherà a loro, dopo cinque anni, ai quattro imputati di stupro di gruppo e di violenza sessuale, raccontare la loro verità di quella maledetta notte del 17 luglio 2019: quello che fino ad oggi per loro è solamente un rapporto sessuale senza alcuna estorsione, ma consensuale. Ai quattro giovani genovesi: Ciro Grillo (figlio del fondatore dei 5S), Edoardo Capitta, Francesco Corsiglia e Vittorio Lauria, da due anni a processo a Tempio Pausania. Tutti accusati di avere stuprato Silvia (nome di fantasia), una studentessa italo-norvegese; e di avere commesso abusi sessuali sulla sua amica e compagna di classe Roberta (pure questo nome inventato). Le udienze di oggi e domani, sempre a porte chiuse, dovrebbero vederli in aula, dal collegio giudicante (presidente Marco Contu) chiamati a deporre, anche se nella prima giornata dovrebbe scorrere con gli interrogatori dei consulenti della parte civile.

In ogni modo, se non oggi, domani si dovrebbe iniziare con loro, con gli accusati di quelle follie nella villetta di Cala di Volpe (Costa Smeralda) all’epoca in uso alla famiglia Grillo. Fino all’ultimo momento, però, non si sa chi dei quattro sarà presente. Chi parlerà e chi no. Gli avvocati difensori (Alessandro Vaccaro, Gennaro Velle, Ernesto Monteverde, Andrea Vernazza, Enrico Grillo, tutti del Foro di Genova; Mariano Mameli ed Antonella Cuccureddu del Foro di Sassari) mantengono riserbo, anche se trapela che qualcuno dei giovani potrebbe non sottoporsi alle domande del tribunale, del procuratore capo Gregorio Capasso e degli avvocati delle parti civili. Per strategia difensiva i loro legali potrebbero attenersi alle dichiarazioni rese a verbale ai carabinieri ed al procuratore capo nella primavera del 2020. Oppure, i quattro potrebbero presentarsi in aula e rilasciare dichiarazioni spontanee, senza alcun esame e controreplica da parte dell’accusa. Si vedrà.

Intanto, è stato depositato il verbale dell’interrogatorio del papà di Roberta, reso il 7 marzo scorso. Secondo quanto trapela, l’uomo ha raccontato ai giudici che la figlia dopo gli abusi sessuali subiti non voleva parlarne in famiglia e quell’anno (il 2020) «non riuscì a dare un solo esame all’università». E ancora: «E’ stata oggetto di attacchi di panico ben chiari… difficoltà respiratorie, piangente, assolutamente paralizzata a letto». Roberta, difesa dagli avvocati Vinicio Nardo e Fiammetta Di Stefano del Foro di Milano, è la studentessa milanese all’epoca appena maggiorenne come Silvia, che in quell’estate maledetta si trovava in Sardegna con l’amica. Le due ragazze avevano passato la notte prima in discoteca, al Billionaire di Briatore a Porto Cervo, poi nella villetta dei Grillo. Dopo lo stupro di gruppo su Silvia, i quattro (anche loro in quei giorni poco più che ventenni) avrebbero abusato anche dell’amica: mentre dormiva sul divano le avrebbero avvicinato i genitali al viso, scattando foto e producendo un video. Lei, però, avrebbe saputo tutto solo dopo, ovvero quando esplose l’inchiesta ed i carabinieri di Milano sequestrarono i telefonini dei giovani. «Solo allora lei ha preso consapevolezza della gravità dell’essere coinvolta – racconta ancora il padre, a verbale – e in un ambiente più stretto, probabilmente la cosa è emersa e l’atteggiamento difensivo è stato “recido tutta una serie di rapporti”, quelli del liceo, dell’ambiente , lei ha cambiato il tempo che passava con i vecchi amici ed i nuovi della Bocconi , praticamente ha chiuso con la quasi totalità. Notevoli i cambiamenti anche all’interno della nostra famiglia: ogni cinque minuti suonava il telefono, ho dovuto togliere il numero; sono venuti a citofonare sotto casa, abbiamo dovuto ampliare la nostra fascia di protezione».
La vita stravolta, come quella di Silvia, difesa da Giulia Bongiorno (senatrice della Lega e presidente della Commissione Giustizia) e da Dario Romano. La vista stravolta come quella degli stessi ragazzi accusati. E Roberta il 23 settembre scorso in aula, in lacrime ha raccontato la sua sofferenza. «Non ero una persona per loro in quel momento (quello degli abusi, ndr). Ero un oggetto, Perché alla fine tutti gli episodi di violenza sessuale... in verità di sessuale ha poco, è tutta una questione di potere. Chi commette questi atti sente di avere potere sulla vittima». Poi la paura che subentra e rimane: «Vorrei uscire con un ragazzo, mi interessa qualcuno e ho sempre il pensiero: come fai a sapere che non è uno che farebbe una cosa così?»